È la forza di eros, l’amore, ad occupare la riflessione platonica condotta in un dialogo, il Fedro, di incerta datazione ma assai rilevante all’interno dell’intera filosofia di Platone, tanto da essere ad oggi considerato uno dei punti massimi dell’idealismo greco. L’amore è l’argomento di discussione proposto a Socrate, sullo spunto di un’orazione di Lisia, dal personaggio che dà il nome al dialogo. Il maestro di Platone coglie però la palla al balzo per innalzare il livello della discussione fino alla funzione della dialettica, che nel sistema platonico è strumento essenziale per giungere alla verità e alla compresione dello statuto ontologico delle idee. Socrate, recuperando il mito di Er, immagina l’anima come un carro celeste condotto da due destrieri di natura opposta:
Si raffiguri l’anima come la potenza d’insieme di una pariglia alata e di un auriga. [...] Innanzitutto, per noi uomini, l’auriga conduce la pariglia: poi dei due corsieri uno è nobile e buono, e di buona razza, mentre l’altro è tutto il contrario ed è di razza opposta. Di qui ne consegue che, nel nostro caso, il compito di tal guida è davvero difficile e penoso.
L’anima, in continuo movimento, tende al “sommo della volta celeste” dove Socrate (e Platone con lui) colloca il mondo delle divinità e soprattutto delle idee; è l’Iperuranio (da hypèr, “sopra” e ouranòs, “cielo”), simbolicamente collocato al di là di ogni esperienza sensibile terrena. Dice infatti il filosofo:
Questo sopraceleste sito nessuno dei poeti di quaggiù ha cantato, né mai canterà degnamente. Ma questo ne è il modo, perché bisogna pure avere il coraggio di dire la verità soprattutto quando il discorso riguarda la verità stessa. In questo sito dimora quella essenza incolore, informe e intangibile, contemplabile solo dall’intelletto, pilota dell’anima, quella essenza che è scaturigine della vera scienza.
La ricerca della conoscenza si unisce allora alla pulsione amorosa: Eros, che per Platone è desiderio di bellezza e forza motrice della mente umana, nella sua più alta accezione diventa appunto (liberatosi dai più bassi appetiti sessuali) una vera e propria forza che guida la mente razionale alla conoscenza suprema della filosofia:
Ecco dove l’intero discorso viene a toccare la quarta specie di delirio: quello per cui quando uno, alla vista della bellezza terrena, riandando col ricordo alla bellezza vera, mette le ali, e di nuovo pennuto e agognante di volare, ma impotente a farlo, come un uccello fissi l’altezza e trascuri le cose terrene, offre motivo d’essere uscito di senno. Quel delirio, dico, che è la più nobile forma di tutti i deliri divini e procede da ciò che è più nobile, tanto per chi ne è preso quanto per chi ne partecipa; e chi conosce questo rapimento divino, ed ami la bellezza, è detto amatore.
Questa alta concezione d’amore, spiritualizzato ed idealizzato, si ritrova per certi aspetti anche nel ben noto Simposio, celebre confronto tra le voci più autorevoli della società e della cultura ateniese del tempo, sullo sfondo di un banchetto (ciò appunto significa il termine “simposio”). Socrate, protagonista anche di questo dialogo, narra il mito della nascita di Eros da Penìa (“povertà”) e Pòros (“risorsa”) per alludere alla sua natura mista, e contestare le tesi degli altri commensali. Eros è un “demone”, come Socrate dice di aver appreso conversando con “una donna di Mantinea”, tale Diotima:
“E allora - dissi - che cosa sarebbe Amore? Un mortale?” ”Per nulla” “Ma che cosa allora?” “Come i casi precedenti - rispose - qualcosa di intermedio tra il mortale e l’immortale” “Che cosa, dunque, Diotima?” “Un gran demone, Socrate, perché tutto ciò che è demonico è intermedio tra dio e mortale”.
Ed è sempre Diotima a precisare la simbiosi tra Amore e Filosofia:
“Chi sono allora, Diotima, quelli che filosofano, se non lo sono né i sapienti né gli ignoranti?” “È chiaro anche a un bambino ormai - disse - che sono quelli a metà tra questi due e che di essi fa parte anche Amore. La sapienza, infatti, fa parte delle cose più belle e Amore è amore del bello, sicché è necessario che Amore sia filosofo e, in quanto filosofo, sia in mezzo tra il sapiente e l’ignorante. E anche di questo è causa la sua nascita, perché è di padre sapiente e pieno di risorse, ma di madre priva di sapienza e di risorse. Tale, dunque, caro Socrate, è la natura del demone”.