È Manzoni stesso che richiama l’attenzione sulla morte di Don Ferrante, con l’evidente volontà di metterne in evidenza il significato simbolico. Afferma infatti:
Di donna Prassede, quando si dice ch’ era morta, è detto tutto; ma intorno a don Ferrante, trattandosi che era stato dotto, l’anonimo ha creduto d’estendersi un po’ più; e noi, a nostro rischio, trascriveremo a un dipresso quello che ne lasciò scritto.
Segue poi il racconto di come il nobile intellettuale negasse risolutamente l’esistenza della peste appoggiandosi su “ragionamenti” basati sui principi della Scolastica “ai quali nessuno potrà dire almeno che mancasse la concatenazione”. Così ecco che l’esordio del “ragionamento” si presenta contrassegnato dall’espressione "In rerum natura", dunque rigorosamente in latino, la lingua della cultura per eccellenza. I sillogismi di questo ragionamento si snodano poi con uno sviluppo apparentemente implacabile nella sua logica ed allo stesso tempo elegante, retoricamente ben costruito. Tuttavia, alla fine, contro le intenzioni del loro sostenitore, quei sillogismi si rivelano semplici giochi di parole che non afferrano la realtà e non dicono nulla di questa. Manzoni infatti, attraverso le parole del personaggio stesso, fa in modo con sublime ironia, che egli, inconsapevolmente, pronunci la condanna della propria cultura e del proprio “ragionamento”, quando, a proposito della scienza ed alla questione del contagio, afferma:
la scienza è scienza; solo bisogna saperla adoperare. Vibici, esantemi, antraci, parotidi, bubboni violacei furoncoli nigricanti, son tutte parole rispettabili, che hanno il loro significato bell’e buono; ma dico che non han che fare con la questione.
La logica di don Ferrante si profila così un puro “saper adoperare” le parole, in definitiva come un cupo delirio della ragione, espresso nei toni leggeri di un raffinato ragionare accademico. La forma dimostra l’inesistenza del contagio e nel frattempo nel quotidiano si muore di peste. E quando poi, nell’impossibilità di negare “un male terribile e generale”, egli tenta di individuarne la causa, ecco che non sa fare di meglio che, ricorrendo all’astrologia, individuarla nella “fatale congiunzione di Saturno con Giove”. Il discorso di don Ferrante trova a questo punto la sua conclusione in un’altra espressione latina, che lo racchiude come in una cornice di preziosità e insensatezza:
His fretus, vale a dire su questi bei fondamenti, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s’attaccò; andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con la stelle.
Non solo il latino dunque è chiamato in causa, ma un preciso riferimento letterario ad un autore come Metastasio, emblema di quel tipo di letteratura osteggiato da Manzoni, suggella il giudizio sulla figura di don Ferrante e sulla problematicità della figura dell’intellettuale e della letteratura in generale. La realtà, nella sua oggettiva violenza brutale, si incarica di smentire l’articolato e diffuso (s)ragionare del dotto letterato: con tre rapide e asciutte espressioni verbali (“non prese nessuna precauzione; gli s’attaccò; andò a letto, a morire”) i fatti smentiscono le costruzioni della cultura, e la dispersione della “famosa libreria” di don Ferrante segna la sconfitta definitiva dell’intellettuale e la vendetta inarrestabile del vero per il tramite delle tonalità leggere, evasive e disimpegnate della letteratura metastasiana. L’ironia apparentemente leggera di Manzoni contiene invece l’aggressione al massimo grado.