In questo sonetto (il trentacinquesimo del Canzoniere) scritto da Petrarca prima del 1337, la solitudine è descritta come la situazione più congeniale al tormento amoroso del poeta: egli rifugge lo sguardo altrui, al quale il proprio sentimento risulterebbe manifesto, e, prediligendo l’immensità della natura, cerca invano un riparo alla propria passione.
Metro: sonetto con schema ABBA ABBA CDE CDE.
- Solo et pensoso 1 i più deserti campi
- vo mesurando 2a passi tardi et lenti,
- et gli occhi porto per fuggire intenti
- ove vestigio human la rena stampi 3.
- Altro schermo non trovo che mi scampi 4
- dal manifesto accorger de le genti,
- perché negli atti d’alegrezza spenti
- di fuor si legge com’io dentro avampi 5:
- sì ch’io mi credo omai che monti et piagge
- et fiumi et selve 6 sappian 7 di che tempre
- sia la mia vita, ch’è celata altrui.
- Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
- cercar non so, ch’Amor non venga sempre
- ragionando con meco, et io co·llui 8.
- Solo e pensieroso mi aggiro e misuro a passi
- le più deserte pianure a passi affaticati e lenti,
- e tengo lo sguardo vigile per fuggire qualsiasi luogo
- dove ci siano tracce di umanità.
- Non trovo altra difesa in grado di proteggermi
- dalla folla delle genti, alla quale risulta manifesta
- la mia condizione, perché, venuto meno ogni impeto di allegria,
- fuori si palesa il mio fuoco interiore:
- al punto che io ormai credo che monti, pianure,
- fiumi e boschi sappiano che genere di vita
- io conduca, e che resta sconosciuta agli altri uomini.
- Pur tuttavia non sono capace di trovare percorsi
- così impervi e inaccessibili, che Amore non venga sempre
- a discorrere con me, e io con lui.
1 Solo e pensoso: la poesia si apre con una dittologia che esprime efficacemente lo stato d’animo del poeta, e spiega bene come, anche in questo caso, la dominante del testo sia quella della riflessione egocentrica su se stesso; l’esperienza amorosa diventa motore per ragionare sui propri tormenti, e per proiettarli sullo spazio circostante.
2 vo mesurando: la sfumatura continuativa del verbo indica che la ricerca della solitudine e il tormento amoroso sono due costanti dell'esistenza del poeta, e che la sua ricerca di pace nella Natura è sempre insoddisfatta.
3 la rena stampi: e cioè, dove la sabbia (che rimanda ai "diserti campi" del v. 1) porti su di sé indizi e tracce di quella presenza umana che Petrarca, preso dalle sue angosce di cuore, dice di voler evitare.
4 Altro schermo non trovo che mi scampi: espressione che richiama la dantesca Così nel mio parlar voglio esser aspro (“non trovo scudo ch’ella non mi spezzi”, v. 14).
5 L’opposizione tra gli avverbi di luogo “fuor” e “dentro” non potrebbe essere più netta: rimarca, come spesso accade nel Canzoniere, il timore che il sentimento amoroso, vicenda tutta interiore, possa essere scoperto e reso manifesto. È questa un’antitesi che attraverserà tutta l’opera petrarchesca.
6 Si noti come la catena di referenti fisici che ospitano la confessione del poeta siano spezzati dall'enjambement tra i vv. 9-10, che sottolinea ulteriormente la vastità degli spazi naturali attraversati dal poeta "solo et pensoso".
7 La natura è personificata e ad essa si attribuisce un ruolo almeno in parte consolatorio, determinato non tanto da un autentico alleviamento della pena amorosa, quanto dal suo occultamento: il remedium amoris si rivela pertanto del tutto inefficace.
8 La reciprocità espressa attraverso il parallelismo finale (“et io co·llui”) ribadisce quanto la fuga dal sentimento amoroso sia sì ricercata, ma mai veramente voluta fino in fondo, come se Petrarca, alla fine, si compiacesse narcisisticamente del proprio tormento interiore.