A metà del Settecento l’Europa conosce un periodo di espansione senza precedenti che va sotto il nome di “rivoluzione industriale”. Tra le cause di questo fenomeno, che prende piede inzialmente in Gran Bretagna e che cambia in maniera definitiva l’aspetto del mondo moderno e contemporaneo, possiamo indicare:
- La grande espansione demografica nel corso del Settecento;
- L’espansione della produzione agricola, grazie a nuove tecniche di coltivazione quali l’agricoltura mista;
- La diffusione del sistema delle enclosures.
L’ampliamento dei mercati e dei commerci in Inghilterra, che si pone alla guida di questo cambiamento epocale, e il salto produttivo registratosi negli ultimi decenni del Settecento sono la diretta conseguenza della nascita dell’industria moderna, che si caratterizza per l’impiego su vasta scala di macchine azionate dall’energia meccanica, per l’uso intensivo dei combustili fossili come fonti di energia e di materiali che non si trovano in natura (come le leghe metalliche) e per la progressiva organizzazione del lavoro all’interno della fabbrica.
La Gran Bretagna arriva per prima al successo industriale anche per altri motivi (il mercato interno, il possesso di vaste colonie, lo sfruttamento delle rotte commerciali marittime, la disponibilità di manodopera e di capitali, il favorevole contesto politico) e per la diffusione di alcuni innovazioni tecniche (applicate in particolar modo al settore cotoniero e a quello siderurgico) che segnano un punto di svolta nell’industrializzazione mondiale. Dal procedimento del carbon coke fino alla macchina a vapore di James Watt (1736-1819), la Rivoluzione industriale può quindi espandersi in tutta Europa.
La lezione è a cura del Laboratorio LAPSUS (Università degli Studi di Milano).
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A metà del Settecento l’Europa conosce un periodo di espansione in ogni settore senza precedenti per intensità e durata. A differenziare questo moto espansivo da quelli del passato è il suo carattere irreversibile.
Tra le cause di questo fenomeno epocale, va innanzitutto considerato l’aumento della popolazione europea. Nel secolo che va dal 1700 al 1800 l’Europa registra una crescita dei propri abitanti che supera il 63% passando da circa 115 milioni a 190 milioni di abitanti. Questa vera e propria rivoluzione demografica apre un capitolo del tutto nuovo nella storia del vecchio continente, con conseguenze rilevanti per lo scenario di campagne e città. Le prime riprendono a popolarsi, le seconde conoscono un significativo processo di urbanizzazione. Molteplici fattori hanno contribuito a questa imponente crescita della popolazione:
Per prima cosa il
calo della mortalità, dovuto ai miglioramenti delle condizioni igienico-sanitarie, alla scomparsa della peste e ai minori danni causati dalle guerre alla popolazione civile dopo l’irrigidimento della disciplina degli eserciti;In secondo luogo
l’aumento della natalità legato alla diminuzione dell’età del matrimonio e alla riduzione del celibato. Entrambi questi fenomeni sono dovuti alla diffusione del lavoro salariato che consente di formare una famiglia più precocemente grazie a più ampie disponibilità economiche;Infine, il
forte incremento della produzione agricola che contribuisce a attenuare le carestie.
La produzione agricola europea alla fine del Settecento era raddoppiata rispetto all’inizio del secolo. In alcune regioni come l’Inghilterra e le Province Unite questo aumento si realizza in concomitanza a un incremento della produttività della terra.
La più importante innovazione agricola è lo sviluppo dell’agricoltura convertibile, conosciuta anche come agricoltura mista, che prevede l’alternanza di campi coltivati a cereali, leguminose e piante foraggere e pascoli temporanei in cicli pluriennali. Così facendo la terra non rimane mai improduttiva e si ottiene il duplice vantaggio di ripristinare la fertilità del suolo e permettere l’allevamento di una grande quantità di bestiame. Condizione importante per questi sviluppi è l’avanzare del fenomeno delle recinzioni, le enclosures, che suddividono le terre demaniali in grandi lotti destinati soprattutto ai grandi proprietari, e il conseguente consolidamento dei campi che permette un accorpamento della terra in unità produttive sempre più estese nelle quali diventa conveniente investire capitali. In Inghilterra quindi la crescente produttività dell’agricoltura permette di sostentare una popolazione rurale in continua crescita raggiungendo standard nutritivi via via più elevati facendo di quest’ultima un buon mercato per i prodotti manifatturieri.
È proprio quindi in Inghilterra che riscontriamo le origini della rivoluzione industriale, ossia di quell’insieme di cambiamenti nel modo di produzione dei manufatti che ha determinato a sua volta un mutamento nei consumi, nello stile di vita e nei rapporti sociali. Già all’inizio del Settecento diverse aree europee avevano sviluppato concentrazioni di industria rurale, chiamata anche industria a domicilio o protoindustria. Caratteristica di questo tipo di produzione, incentrata sui filati e i tessuti, è la figura di un imprenditore urbano che rifornisce di materia prima una forza-lavoro rurale, che spesso lavora a domicilio; il prodotto finito è poi smerciato in mercati lontani.
Per soddisfare la domanda in continua crescita del mercato nazionale e internazionale in espansione, c’è però bisogno di un salto di qualità produttivo che si verifica in Inghilterra a partire dagli ultimi decenni del Settecento. Nel corso di questa trasformazione a emergere sono quattro caratteristiche fondamentali che distinguono l’industria moderna da quella premoderna:
L’impiego su vasta scala delle
macchine azionate da energia meccanicaL’introduzione di
nuove fonti di energia inanimata, in particolare i combustibili fossili come il
carbone L’impiego sempre più generalizzato di materiali che normalmente non si trovano in natura, come il
carbon coke che richiede un processo di raffinamento prima di poter essere utilizzatoUn profondo
mutamento nelle forme stesse di organizzazione del lavoro che riuniva tutte le fasi del processo produttivo all’interno della fabbrica
Vediamo ora le ragioni del primato inglese, ossia l’insieme delle circostanze favorevoli alla creazione di un ambiente adatto al dispiegarsi della rivoluzione industriale:
La presenza di un
mercato interno in continua espansione grazie alla crescita demografica e alla rivoluzione agricola, come abbiamo già detto. Il possesso di
vasti domini coloniali e di una
potente flotta che assicura l’approvvigionamento di materie prime.Una
natura insulare che assicura all’Inghilterra la protezione dalle devastazioni delle guerre nel continente. Inoltre grazie alla linea costiera, ai porti naturali e ai numerosi corsi d’acqua navigabili viene eliminata la necessità di trasporti terrestri, che sono più difficoltosi e costosi rispetto a quelli su acqua.Una
grande disponibilità di manodopera, costituita dai contadini disoccupati dopo l’introduzione delle enclosures.La
disponibilità di capitali e imprenditori disposti al rischio per realizzare innovazioni che portino profitto.La fiducia nel
quadro politico e legislativo: con la Gloriosa Rivoluzione la monarchia inglese ha ormai abbandonato ogni tentativo di assolutismo e promuove invece su una leale collaborazione con il Parlamento, espressione dei principali interessi economici del paese. Inoltre vi è una particolare fiducia nella tutela dei diritti di proprietà sulle merci e sulle innovazioni tecnologiche, con l’introduzione dei primi brevetti già con Giacomo I (1566-1625) e poi Anna d’Inghilterra (1665-1714).
Il primo settore a registrare le innovazioni dell’industria moderna è stato quello del cotone. Il suo sviluppo a partire dagli anni ottanta del settecento è vertiginoso: le importazioni di cotone grezzo inglesi, che sono di circa 1,5 milioni di libbre all’anno nel 1740, nel 1789 superava già i 32 milioni di libbre. Le ragioni di questo successo sono molteplici: una materia prima abbondante e a basso prezzo proveniente dalle colonie, l’invenzione della sgranatrice meccanica inventata dall’americano Eli Whitney (1765-1825), la maggiore resistenza del cotone alla trazione rispetto alla lana e quindi una maggiore facilità nella lavorazione a macchina, un mercato più ampio e diversificato rispetto ai filati di lana non particolarmente adatti ai climi caldi.
Tutto ciò ha fatto sì che quella del cotone divenne la prima industria inglese a meccanizzarsi su larga scala, presentandosi come il settore di punta della prima fase della rivoluzione industriale (si parla appunto di “età del cotone”) e come modello del sistema di fabbrica che si va progressivamente estendendo anche ad altre lavorazioni.
Le esigenze di un settore tessile sempre più in espansione contribuiscono a determinare alcuni decisivi passi avanti nel campo della tecnologia. Due innovazioni di cardinale importanza vanno ricordate:
Il procedimento della fusione del metallo ferroso con il
carbon coke al posto del carbone da legna. Il carbon coke si ottiene come residuo della distillazione a secco del carbone fossile, fuso in forni ad alte temperature in assenza di ossigeno.L’invenzione della
macchina a vapore che sostituì i mulini ad acqua e a vento come fonte inanimata di energia.
Nel primo caso l’impiego del coke è già sperimentato già agli inizi del Settecento da Abraham Darby (1678-1717), ma inizialmente stenta a decollare a causa delle difficoltà di costruzione e costo di altiforni di grandi dimensioni e di temperature molto elevate. Superati questi problemi a cavallo tra Settecento e Ottocento la produzione di coke raddoppia, permettendo rese molto più alte rispetto al carbone da legna, in quanto il coke è depurato dalle scorie. Questo fatto, unito all’abbassamento dei costi di trasporto, ottenuto grazie alla costruzione di una fitta rete di canali navigabili, dà forte impulso alla sviluppo dell’industria siderurgica. La domanda di ferro infatti è in continuo aumento, in conseguenza sia dell’espansione agricola sia dei progressi dell’industria tessile. Inoltre si va affermando una nuova lega formata da ferro, carbonio e altri elementi molto più resistente e adatta alla lavorazione: la ghisa.
Tutto questo non avrebbe potuto svilupparsi senza il ricorso a fonti di energia inanimate che sostituiscono a poco a poco la forza umana e animale. I primi tentativi per sfruttare l’energia del vapore sono messi a punto tra Seicento e Settecento da Thomas Savery (1650-1715), che inventa un macchinario per prosciugare i pozzi più profondi delle miniere di carbone. Successivamente Thomas Newcomen (1663-1729) brevetta una sicura e più potente macchina a vapore che alcuni storici hanno definito “il fattore principale per lo sfruttamento delle ricchezze minerarie britanniche, attraverso il quale furono poste le fondamenta dello sviluppo industriale del paese”. Infine nel 1769 con l’invenzione della macchina a vapore di James Watt (1736-1719) si ha il vero e proprio salto di qualità che porta all’applicazione massiccia dell’energia del vapore nell’industria e, in seguito, ai trasporti, rivoluzionati dal treno e dalle ferrovie.