Introduzione
L’amante di Gramigna, preceduta da una fondamentale Prefazione che, insieme con Fantasticheria, costituisce il nucleo teorico fondamentale di Vita dei campi e della poetica del Verismo, è una novella pubblicata con il titolo L’amante di Raja sulla «Rivista minima» di Salvatore Farina nel mese di febbraio del 1880. È la storia dell’amore fatale tra Peppa e il brigante Gramigna, sullo sfondo della Sicilia rurale del tempo.
Riassunto
La vicenda è ambientata nella vallata del Simeto, fiume siciliano che attraversa la provincia di Catania. Al centro degli eventi, accaduti “parecchi anni or sono” 1, c’è il bandito Gramigna, che ormai da “due mesi” 2 è braccato dalle forze dell’ordine, che lo inseguono ovunque senza successo. Mentre la fama di Gramigna, figura tanto temuta quanto affascinante, si diffonde ovunque 3, Peppa, “una delle più belle ragazze di Licodia” e promessa sposa di compare Finu, rinuncia ad un vantaggiosissimo matrimonio perché è innamorata di Gramigna, pur non avendolo mai visto.
Se la madre di Peppa si dispera, invocando addirittura l’intervento del prete per scacciare dalla mente della figlia la passione per “quel diavolo di Gramigna” 4, la ragazza, quando scopre che il bandito è sotto assedio e i carabinieri stanno per catturarlo, fugge di casa e raggiunge Gramigna nel suo nascondiglio. Peppa si guadagna poi la fiducia del bandito, che decide di tenerla con sé, procurandosi una ferita sulla spalla per portargli un fiasco d’acqua. I due fuggono insieme, finché una notte le forze dell’ordine attaccano Gramigna e, dopo averlo gravemente ferito, lo conducono in paese, per mostrarlo come un trofeo alla popolazione.
La cattura di Gramigna corrisponde alla disgrazia per Peppa e la famiglia: la madre è costretta a vendere quasi tutti i propri bene per le spese del processo, mentre la ragazza, nella considerazione popolare, è ormai additata come una ladra, compromessa anche dal fatto di aver avuto un bambino dal famigerato criminale. Dopo la morte della madre, Peppa si trasferisce col figlio in città, per stare vicino al carcere in cui è rinchiuso il suo amante; scopre però che Gramigna da tempo è stato trasferito sulla terraferma. A Peppa non resta che vivere da sola con l’ossessione della passione e con l’etichetta di “amante di Gramigna”.
Eros e “roba” ne L’amante di Gramigna
In accordo con il proposito esposto nella Prefazione di redigere un “documento umano” che studi scientificamente il “misterioso processo” 5 delle passioni umani, Verga ne L’amante di Gramigna realizza un caposaldo della narrazione verista. La cronaca della vicenda di Peppa e Gramigna si attiene così al canone dell’impersonalità per provare a sviscerare e a comprendere il mistero della passione; in tal senso, l’amore di Peppa per il suo bandito è a-razionale come quello della Lupa per Nanni nella novella omonima:
“Io non l’ho visto. Ne ho sentito parlare. Sentite! ma lo sento qui, che mi brucia!” 6.
La narrazione, affidata come nelle altre novelle ad una voce corale che rappresenta il punto di vista della comunità, contribuisce a defintre le caratteristiche di Gramigna, e a formulare un giudizio negativo su di lui. Gramigna è l’elemento del disordine che sconvolge gli equilibri della società rurale, minacciandone la stabilità economica; la presenza del bandito nelle campagne coincide con il periodo della mietitura, e tutti i contadini sono costretti ad interrompere i lavori per paura d’incontrarlo 7. Secondo un meccanismo tipico della mentalità popolare per etichettare il fuorilegge o il “diverso” (oltre alla Lupa, si pensi anche a Rosso Malpelo e alle dicerie su di lui alla cava della rena) Gramigna è una creatura demoniaca, dannosa come una pestilenza e dotata di capacità sovrumane:
era solo, ma valeva per dieci, e la mala pianta minacciava di abbarbicare. [...] se lo cacciavano dinanzi come una mala bestia per tutta la provincia, di giorno, di notte, a piedi, a cavallo col telegrafo. [...] egli solo, Gramigna, non era stanco mai, non dormiva mai, s’arrampicava sui precipizi, strisciava fra le messi, correva carponi nel folto dei fichidindia, sgattajolava come un lupo nel letto asciutto dei torrenti 8.
In netta antitesi con Gramigna, eroe “negativo” della novella, c’è ovviamente il polo rappresentato da compare Finu, detto “candela di sego” 9, il “miglior partito del villaggio” che riunisce in sé solo qualità “positive”:
[...] aveva terre al sole e una mula baia in stalla, ed era un giovanotto grande e bello come il sole, che portava lo stendardo di Santa Margherita come fosse un pilastro, senza piegare le reni. 10
SI capisce allora che l’innamoramento di Peppa per Gramigna costituisce una gravissima trasgressione delle leggi non scritte della comunità: la protagonista rifiuta la “roba” di compare Finu per assecondare la pulsione erotica, che per di più la spinge verso un ladro che terrorizza l’intero paese, mettendone a repentaglio la sicurezza economica. La scelta di Peppa è del tutto incomprensibile all’interno del sistema di valori della comunità, che non a caso ricorre alla fede religiosa per esorcizzare, in maniera superstiziosa, ciò che non riesce a comprendere:
La povera madre aveva acceso una lampada alle anime del purgatorio, e persino il curato era andato in casa di Peppa, a toccarle il cuore colla stola, onde scacciare quel diavolo di Gramigna che ne aveva preso possesso. [...] Allora la vecchia la chiuse in casa, perché non sentisse più parlare di Gramigna; e tappò tutte le fessure dell’uscio con immagini di santi 11.
Secondo l’ideale dell’ostrica, tematizzato nella Prefazione a Fantasticheria, impone allora che chi si distacca “dal gruppo per vaghezza dell’ignoto, o per brama di meglio” 12 debba incorrere nella sconfitta. Quella di Peppa è una punizione su tutti i livelli: alla rovina economica e fisica (per cui Peppa si imbruttisce come Gramigna) si aggiunge il pregiudizio morale, che culmina nell’esclusione radicale dalla comunità:
La povera madre di Peppa dovette vendere «tutta la roba bianca» del corredo, e gli orecchini d’oro, e gli anelli per le dieci dita, onde pagare gli avvocati di sua figlia , e tirarsela di nuovo in casa, povera, malata, svergognata, brutta anche lei come Gramigna, e col figlio di Gramigna in collo. [...] Dopo che fu venduta la casa e quei pochi arnesi che restavano se ne andò via dal paese, di notte come era venuta, senza voltarsi indietro a guardare il tetto sotto cui aveva dormito tanto tempo [...].[/fn]Ivi, pp. 197-198.[/fn]
L’impassibilità del resoconto de L’amante di Gramigna non esclude però la raffinatezza dell’analisi psicologica, sempre filtrata attraverso il comportamento esterno di Peppa. L’ossessione dell’eros e la rabbia animalesca per la propria condizione è così ravvisabile da due elementi; da un lato “l’ammirazione bruta della forza” 13 che porta Peppa a guardare con desiderio i carabinieri del carcere presso cui vive, non senza sentire un brivido quando si ricorda del suo amante 14, dall’altro la reazione furiosa quando le viene ricordato che suo figlio è di Gramigna:
e quando il suo marmocchio giocherellava coglia ltri monelli nella spainata davanti al carcere, correndo fra le gambe dei soldati, e i monelli gli dicevano «il figlio di Gramigna, il figlio di Gramigna!» ella si metteva in collera, e li inseguiva a sassate 15.
1 G. Verga, L’amante di Gramigna, in Tutte le novelle, Milano, Mondadori, 2004, vol I, p. 192.
2 Ivi, p. 193.
3 Ivi, p. 193: “Il principale argomento di ogni discorso, nei crocchi, davanti agli usci del villaggio, era la sete divorante che doveva soffrire il perseguitato, nella pianura immensa, arsa, sotto il sole di giugno. I fannulloni spalancavano gli occhi”.
4 Ivi, p. 195.
5 Ivi, p. 191.
6 Ivi, p. 194. In maniera simile la passione di gnà Pina, soprannominata “la Lupa”, per Nanni è qualcosa di assoluto e divorante: “[...] proprio quello che si dice innamorarsi, sentirsene ardere le carni sotto al fustagno del corpetto, e provare, fissandolo negli occhi, la sete che si ha nelle ore calde di giugno, in fondo alla pianura” (ivi, pp. 186-187).
7 Ivi, p. 193: “Per giunta si approssimava il tempo della messe, il fieno rera già steso pei campi, le spighe chinavano il capo e dicevano sì sì ai mietitori che avevano già la falce in pugno, e nonostante nessun proprietario osava affacciare il naso al disopra della siepe del suo podere, per timore d’incontrarvi Gramigna che se ne stesse sdraiato fra i solchi, colla carabina fra le gambe, pronto a far saltare il capo al primo che venisse a guardare nei fatti suoi,”.
8 ivi, p. 193. da notare come questo meccanismo, dettato ovviamente dalla paura che il bandito incute nella popolazione, si capovolge, nell’ottica del narratore popolare, non appena Gramigna viene arrestato: “Il giorno dopo lo strascinarono per le vie del villaggio, su di un carro, tutto lacero e sanguinoso. la gente che si accalcava per vederlo, si metteva a ridere trovandolo così piccolo, pallido e brutto, che pareva un pulcinella” (ivi, p. 197).
9 Ivi, p. 193. Il “sego”, variante popolare del termine “sevo”, è un grasso animale che veniva usato, tra le altre cose, per la fabbricazione di candele. Il soprannome allude alla forza fisica e alla ricchezza di compare Finu.
10 Ivi, p. 194.
11 Ivi, p. 195. Gli stessi procedimenti si ritrovano a proposito della Lupa, considerata anch'essa una creatura diabolica.
12 Ivi, pp. 127-128.
13 Ivi, p. 198.
14 Ivi, p. 195: “La festa, quando li vedeva col pennacchio, e gli spallini lucenti, rigidi ed impettiti nell’uniforme di gala, se li mangiava cogli occhi [...] quando montavano a cavallo, sotto il lampione che faceva luccicare la carabina, e udiva perdersi nelle tenebre lo scalpito dei cavalli, e il tintinnìo della sciabola, diventava pallida ogni volta, e mentre chiudeva la porta della stalla rabbrividiva”.
15 Ibidem.