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“My mistress’ eyes are nothing like the sun” di Shakespeare: traduzione e analisi

Introduzione

 

Il sonetto 130 di William Shakespeare, My mistress’ eyes are nothing like the sun, è uno dei testi più famosi inclusi nella raccolta dei Sonnets, pubblicata nel 1609. In questo testo, inserito nella sezione dell’opera dominata dalla figura della “dark lady” (i testi che vanno dal sonetto 127 al 154 e che chiudono la raccolta), Shakespeare parodizza la tradizione lirica che fa capo a Francesco Petrarca e al suo Canzoniere, assai influente in Inghilterra ad inizio del XVII secolo. Il poeta capovolge infatti tutte le qualità convenzionalmente attribuite alla donna amata (la bellezza pura e angelicata, i capelli dorati come il Sole, l’incarnato rosa, la soavità della voce, la somiglianza con una divinità) che, del tutto scollegate dalla realtà, suonano ormai come vuoti formalismi poetici. Ai poeti che seguono in modo pedissequo e puramente imitativo i modelli della poesia petrarchesca, Shakespeare con My mistress’ eyes are nothing like the sun oppone un modello più reale e più concreto: non a caso l’ultimo distico - secondo la tipica funzione che ha all’interno del sonetto elisabettiano - afferma che, nonostante la normalità quasi banale della figura femminile, il poeta la ama.

 

Analisi e tematiche

 

L’introduzione delle liriche di Petrarca in Inghilterra (e la cospicua tradizione che ne deriva) fa capo a Thomas Wyatt (1503-1542) e Henry Howard (1517-1547), che ricalcano lo stile, i moduli e le tematiche del poeta italiano. La figura di Laura (grazie a liriche quali Erano i capei a l’aura sparsi, Chiare, fresche e dolci acque oppure Pace non trovo, et non ò da far guerra) diventa il modello convenzionale per una lirica d’amore altamente convenzionale, che prolunga la sua influenza culturale sino alle opere di Philip Sidney (1554 - 1586), Edmund Spenser (1552-1599) e Michael Drayton (1563-1631). La celebrazione di questi amori letterari ed assolutamente scollegati dalla realtà è l’obiettivo polemico di My mistress’ eyes are nothing like the sun: nella prima quartina, il poeta “smonta” uno per uno i topoi della descrizione classica dell’amata, confessando sin dal primo verso che non c’è nulla in comune tra gli occhi della sua donna e il Sole. Shakespeare prosegue poi nel raffinato gioco letterario e intertestuale ribaltando altre caratteristiche fisiche tipiche: le sue labbra non sono rosse (v. 2: “coral is far more red, than her lips red”), la pelle è scura (v. 3: “if snow be white, why then her breasts are dun;”), i suoi capelli sono corvini (v. 4 “If hairs be wires, black wires grow on her head”). La seconda quartina prosegue l’operazione di sovvertimento delle convenzioni poetiche attraverso l’evocazione di termini di paragone classici (le guance come rose, il profumo sublime) messi in antitesi con le qualità dell’amata reale, che incarna un canone di bellezza originale e alternativo. La terza quartina conclude la demistificazione della finzione letteraria, rivelando che la voce della “dark lady” non è affatto dolce come musica (ma non per questo meno gradita al poeta). La donna amata, lontano dall’essere una divinità irraggiungibile, è una figura tutta concreta e terrena (v. 12: “my mistress, when she walks, treads on the ground”). Spetta dunque al distico finale (vv. 13-14) spiazzare il lettore: il poeta, nonostante la sua donna non possieda nemmeno una delle qualità del canone poetico, giura di amare la sua “mistress” (v. 13), che è un dono raro quanto le eteree e irreali figurazioni che i poeti petrarcheschi inseriscono nei loro versi per mezzo di un paragone illusorio (v. 14: “false compare”).

Nel sonetto 130 è insomma assai rilevante la componente di gioco letterario, tanto che tutto il componimento può essere letto come una prova di stile e di abilità poetica. Va però anche ricordato che My mistress’ eyes are nothing like the sun si inserisce nella particolare struttura dei Sonnets shakespeariani, divisi tra una prima parte (sonetti 1-126) dedicata alla figura del “fair youth” e ai temi dominanti della procreazione e del trascorrere del tempo 1 (come in Shall I compare thee to a summer’s day) e una seconda sezione in cui prevale l’amore sensuale e terreno per la “dark lady”. In quest’ottica, il sonetto 130 può essere letto come un punto di passaggio dal rapporto spirituale e platonico con il “fair youth” a quello reale e più esplicitamente sessuale.

 

Parafrasi

Metro: sonetto elisabettiano con schema di rime ABAB CDCD EFEF GG

  1. My mistress' eyes are nothing like the sun 2,
  2. coral is far more red, than her lips red;
  3. if snow be white, why then her breasts are dun 3,
  4. if hairs be wires, black wires grow on her head.
  5. I have seen roses damask'd, red and white 4,
  6. but no such roses see I in her cheeks;
  7. and in some perfumes is there more delight
  8. than in the breath that from my mistress reeks 5.
  9. I love to hear her speak, yet well I know
  10. that music hath a far more pleasing sound;
  11. I grant I never saw a goddess go:
  12. my mistress, when she walks, treads on the ground.
  13. And yet by heaven, I think my love as rare 6
  14. as any she 7 belied with false compare.
  1. Gli occhi della mia amata non sono per nulla simili al sole,
  2. il corallo è molto più rosso, di quanto non siano le sue labbra;
  3. se la neve è bianca, perché allora il suo petto è scuro,
  4. se i capelli sono fili dorati, fili neri germogliano sul suo capo.
  5. Ho visto rose damascate, rosse e bianche,
  6. ma non vedo rose simili sulle sue guance;
  7. e in alcuni profumi c’è più dolcezza
  8. che nel respiro della mia amante.
  9. Amo sentirla parlare, eppure so bene
  10. che la musica ha un suono molto più piacevole;
  11. garantisco di non aver mai visto camminare una dea:
  12. la mia amante, quando cammina, tocca il terreno.
  13. E tuttavia, in nome del Cielo, credo che il mio amore sia unico
  14. quanto ogni donna imbrogliata da paragoni bugiardi.

1 Va specificato che all’interno del primo gruppo c’è una serie di sonetti (dal sonetto 76 al sonetto 86) dedicati alla figura ignota del “poeta rivale”.

2 Nella prima e nella seconda quartina il poeta ironizza sui canoni estetici femminili esaltati nella poesia petrarchesca, spiegando come la sua donna sia lontana da essi nell’aspetto e nella grazia.

3 dun: si tratta di un colore marrone-grigiastro, del tutto opposto alla pelle chiarissima della donna petrarchesca.

4 red and white: possibile allusione alla Guerra delle due Rose (1455-1485), che ha visto contrapporsi la rosa rossa simbolo dei Lancaster a quella bianca simbolo della casata York.

5 reeks: qui usato nel senso di “esalare”, ma il principale significato di to reek è “puzzare”. Il termine viene infatti usato dal poeta in senso parodico.

6 Nel distico finale il poeta riconosce pienamente l’unicità della donna amata, malgrado non somigli alle dame petrarchesche.

7 She: utilizzato per intendere “donna”.