Straniamento
Definizione
Tecnica letteraria per cui la percezione della realtà da parte del lettore viene alterata e distorta per mezzo di varie tecniche per fargli scoprire lati inediti della realtà, smontando e decostruendo la percezione più usuale e più convenzionale del mondo attorno a noi.
Spiegazione ed esempi
Dal punto di vista teorico, lo straniamento è stato formulato e promosso per la prima volta dalla scuola dei “formalisti russi” (come quelli dell’OPOJAZ fondato a San Pietroburgo nel 1916 o del Circolo Linguistico di Mosca nato l’anno precedente) e in particolare dal critico Viktor Šklovskij (1893-1984) nel suo saggio L’arte come artificio (1917).
Secondo il principio dello “straniamento” (otstranenie, in russo), in un’opera letteraria è possibile “disautomatizzare” la percezione della realtà presentandone lati inediti a livelli diversi e secondo diverse tecniche. Da un lato, ci può essere l’intervento sul piano linguistico, con descrizioni inconsuete di oggetti, persone o situazioni comuni (magari utilizzando termini aulici per elementi “bassi” e comuni, oppure descrivendo in maniera comica qualcosa di solenne); dall’altro ci può essere l’uso di una focalizzazione o di un punto di vista particolari, che osservano gli eventi narrati da una prospettiva originale.
Lo straniamento - che nel suo funzionamento può coinvolgere molti altri procedimenti retorici e avere finalità drammatiche, ironiche, satiriche o sarcastiche - è dunque una tecnica sperimentale e d’avanguardia, che, per essere decodificata, richiede particolari competenze culturali da parte dei lettori. Tipici procedimenti stranianti sono, ad esempio, il fonosimbolismo della poesia di Giovanni Pascoli e il suo ricorso allo straniamento del “fanciullino” (in componimenti quali L’assiuolo o La cavalla storna) e, nei racconti e nei romanzi veristi di Giovanni Verga, la regressione del punto di vista della narrazione alla mentalità popolare (come dimostrato magistralmente in Rosso Malpelo o ne I Malavoglia). Anche la poetica dell’umorismo di Pirandello è assai vicina allo straniamento, come dimostrato da Il fu Mattia Pascal o da Uno, nessuno, centomila.
Nel teatro novecentesco, è poi famosa la tecnica di recitazione straniante prevista dal “teatro epico” di Bertolt Brecht (1898-1956), come L’opera da tre soldi (1928) e Madre Coraggio e i suoi figli (1938-1939), per cui un attore non deve immedesimarsi nel suo personaggio, ma descriverlo anzi dall’esterno al pubblico affinché l’opera teatrale non sia solo fonte di svago e divertimento ma anche di riflessione critica sulle storture della società contemporanea.
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