"Il fu Mattia Pascal": analisi e commento critico

Progettato nel 1903 e pubblicato l’anno successivo sulla “Nuova Antologia”, Il fu Mattia Pascal parte da un episodio umoristico (“un caso [...] strano e diverso”) che ben illustra la poetica pirandelliana: un uomo - tale Mattia Pascal - è creduto morto da amici, familiari e compaesani e sfrutta questo equivoco per cominciare una nuova vita, sotto le mentite spoglie di Adriano Meis. Lo sgretolamento dell’identità individuale, centrale nella riflessione pirandelliana sia nei romanzi che nelle opere teatrali, è dunque il tema che attraverso tutta la narrazione, e che viene calato nel genere del “romanzo di formazione”, quasi per rovesciarlo dall’interno. Lo stesso Mattia, che ci racconta in prima persona la sua paradossale vicenda, si proclama da subito un narratore alquanto inattendibile, dato che dice che ci racconterà solo ciò che egli reputa “necessario”.
 
La vicenda di Mattia, infatti, mette in discussione ogni possibile certezza (e molti dei modelli ereditati dalla tradizione letteraria): le due Premesse al romanzo, di stampo filosofico, sostengono (in forme ironiche, sino all’esclamazione del protagonista: “Maledetto sia Copernico!”) che il relativismo dell’epoca moderna ha lasciato l’uomo contemporaneo ormai privo di ogni caposaldo, e certo della sua nullità all’interno del cosmo. Anche alcuni luoghi del romanzo (come quella nella biblioteca Boccamazza, dove Mattia stende le proprie memorie e che può riportarci alla memoria quella di don Ferrante de I Promessi Sposi o de Il nome della Rosa di Umberto Eco) “smontano”, con le risorse dell’umorismo pirandelliano qui incarnate da Anselmo Paleari, le poche sicurezze rimaste al protagonista (e al lettore del Mattia Pascal): il caos regna sovrano anche nel luogo del sapere e della conoscenza.