Tolstoj considerava Anna Karenina (1873-1877) il primo vero romanzo uscito dalla sua penna: rispetto a Guerra e pace (1865), infatti, l’andamento di Anna Karenina è più strettamente narrativo, e non contempla le lunghe digressioni storiografiche e filosofiche che sono, secondo lo stesso autore, il nerbo dell’opera precedente. Qui Tolstoj decide di scrivere un romanzo in senso stretto, anche se, naturalmente, il suo pensiero è del tutto evidente e traspare dalle scelte che via via vengono fatte per caratterizzare i personaggi o per dare una direzione alla vicenda. Ambientato nel mondo dell’aristocrazia, il romanzo è la narrazione in parallelo delle vite e degli amori di un gruppo di personaggi legati tra loro da vincoli di parentela e amicizia: la protagonista, Anna, sposata senza amore e del tutto estranea al marito, l’ufficiale governativo Karenin, viene convocata a Mosca dal fratello Stiva (Stepan Arkad'ič Oblonskij), fedifrago e dissipatore, perché lo aiuti a convincere la moglie Dolly a non lasciarlo in seguito all’ennesimo tradimento; nella capitale Anna conosce l’ufficiale Vronskij, di cui si innamora, corrisposta; di Vronskij è inizialmente innamorata Kitty, sorella di Dolly, che ha a sua volta un pretendente, il possidente terriero Levin – in cui Tolstoj in parte adombra se stesso. I due amori Anna/Vronskij e Levin/Kitty sono i perni attorno ai quali è costruita la trama del romanzo: alla passione extraconiugale dei primi, che prosegue nonostante l’opposizione della società e le minacce di Karenin, Tolstoj contrappone l’amore puro, pazientemente perseguito dei secondi. Kitty e Levin, infatti, si sposano e conducono una vita serena: Levin è l’uomo – a dire il vero un po’ noioso – per il quale la vita si svolge secondo il suggerimento della natura e lontana dalle lusinghe del progresso e che, alla fine del libro, grazie a una vita semplice condotta a stretto contatto con il mondo contadino, troverà anche la fede. Al contrario, l’amore tra Anna e Vronskij vive sotto continue minacce: da quelle di Karenin, che a un certo punto vorrebbe impedire a Anna di vedere il figlio e rifiuta il divorzio, a quelle di una società ipocrita che condanna la relazione extraconiugale a un gelosia che diventa sempre più lacerante e che spingerà Anna al suicidio, in una delle scene madri della letteratura europea: alla stazione di Mosca, la donna si getta infatti sotto un treno ("Laggiù! Proprio in mezzo! Castigherò lui e mi libererò da tutti e da me stessa" 1).
Cominciato nel 1873, il romanzo ha avuto varie riscritture, nelle quali il personaggio di Levin otteneva sempre più spazio. È stato completato nel 1877. L’ultima delle otto parti è stata pubblicata a spese dell’autore poiché Michail Katkov, direttore del «Russkij vestnik» (Il messaggero russo), la rifiutò: secondo lui era troppo polemica nei confronti della guerra russo-turca, per cui parte Vronskij in seguito alla morte di Anna. Il tema fondamentale, al di là della descrizione delle piccinerie della classe dirigente e dell’aristocrazia dell’epoca, è quello della colpa, anticipato dall’epigrafe tratta dal Deuteronomio: "A me spetta la vendetta, e sarò io a ricompensare" 2. Anna, tuttavia, non è una dissoluta (come è invece Stiva, che Tolstoj però non punisce con il suicidio), ma una persona che, per amore, va al di là della propria morale: è per questo un personaggio che nasce tragico, con un destino che in qualche modo è già scritto. Piena d’angoscia, di sensi di colpa e di ossessioni, Anna condanna se stessa nel momento stesso in cui si innamora e in qualche modo si perde. La sua storia e quella di Levin corrono in parallelo facendosi da contrappunto e rivelando il conflitto interiore che accompagnava le riflessioni di Tolstoj alla metà degli anni Settanta: solo più tardi, infatti, il conte Lev comincerà a studiare i Vangeli e a elaborare con piena consapevolezza il proprio cristianesimo anarchico. Mentre scrive il romanzo, invece, è ancora diviso tra la vita semplice perseguita da Levin e il tumulto che agita Anna: Igor Sibaldi ha scritto a questo proposito che nella figura di Anna si intravvede Tolstoj mentre cerca di "commettere adulterio contro il proprio mondo, staccandosene e imparando a vederlo con occhi nuovi" 3. Tutto ciò spaventa Tolstoj come la colpa spaventa Anna: condannare Anna, perciò, è per Tolstoj un modo per autoaccusarsi e mettersi alla prova. Sulla fine di Anna Tolstoj può edificare il trionfo di Levin, ossia dare vita alla propria parte positiva e piena di fede. E tuttavia, Tolstoj non risolverà mai questo conflitto.
Anna Karenina ebbe un successo enorme: Dostoevskij ne parlò come di un’opera d’arte perfetta, a cui "niente della letteratura europea può essere paragonato". Un secolo più tardi, nelle sue Lezioni di letteratura russa, Nabokov definì il romanzo "il capolavoro assoluto della letteratura del XIX secolo". Eppure, come accadde in molte altre circostanze durante il corso della sua vita, Tolstoj rinnegò il romanzo: nel 1881, in una lettera al critico Strasov, scrisse: "Quanto alla Karenina: io vi assicuro che per me quello schifo di romanzo non esiste più" 4. Era ormai cominciata una nuova fase della vita di Tolstoj, che non poteva però sapere che quel conflitto che aveva messo in scena nel romanzo non si sarebbe risolto e, anzi, l’avrebbe infine portato alla morte.