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Boccaccio, "Ninfale fiesolano": introduzione e commento all'opera

Il Ninfale fiesolano è un’opera di Giovanni Boccaccio che si suppone sia stata composta attorno al 1345. Il poemetto è strutturato in ottave di endecasillabi, e preceduto da un proemio. Il sapore e il contesto del componimento sono mitologici, ma il filo conduttore della trama rimane sempre quello amoroso. Questa volta la vicenda sentimentale narrata dal Boccaccio vede come protagonisti un pastore di nome Africo e una meravigliosa ninfa, Mensola.

 

Un giorno Africo s’imbatte per caso in una riunione di ninfe e, rimasto ad ammirarle per la loro bellezza, s’innamora perdutamente di una di esse, la giovane Mensola. Cerca così di avvicinarsi al gruppo di donne, ma queste scappano spaventate alla vista di un uomo. Africo, colto da profondo sconforto per questa reazione da parte delle ninfe, si rifugia nella solitudine della sua stanza senza uscirne per giorni, destando così l’angoscia e la preoccupazione dei genitori, gli affettuosi Alimena e Girafone. Il disperato Africo, non trovando soluzione al suo patimento amoroso neanche nelle parole dell’amato padre, si appella alla dea dell’amore, Venere. Questa decide di comunicare con lui in sogno, e gli consiglia di travestirsi da donna per potersi confondere tra le ninfe senza intimorirle. Il pastore, dopo aver vestito abiti femminili, riesce dunque ad unirsi alle ninfe. Un giorno però sopraggiunge il momento del bagno, che si rivela problematico per il nostro Africo: spogliandosi infatti, il pastore manifesta la sua vera identità. Le ninfe, riconosciuto l’inganno, scappano dalla vista dell’uomo, ma Africo riesce a raggiungere Mensola e, agguantandola, la fa sua. La ninfa, devota a Diana e quindi sottomessa al voto di castità, soffre per l’oltraggio compiuto e perde i sensi. Dopo essersi ripresa però, cede alle lusinghe di Africo, e pecca nuovamente. Il senso di colpa nei confronti di Diana ha però la meglio sulla ninfa devota, che decide di non incontrare più il suo amante. Africo, vedendo sfumare così le proprie speranze amorose, e convinto di aver perso per sempre l’oggetto del suo desiderio, si suicida buttandosi in un fiume, che si chiamerà appunto Africo. Mensola, a sua volta, scopre di essere incinta e, dopo aver partorito, viene punita da Diana che tramuta anch’essa in un fiume, il fiume Mensola. Il frutto dell’amore proibito tra i due giovinetti, il piccolo Pruneo, viene affidato ai genitori di Africo, che lo accudiscono e lo crescono. In conclusione del poema troviamo il mito fondatore della città di Fiesole, e dunque della futura Firenze.