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“Ultimo viene il corvo” di Italo Calvino: commento e riassunto della raccolta

Introduzione alla raccolta

 

Ultimo viene il corvo è la prima raccolta di racconti di Italo Calvino, pubblicata da Einaudi nel 1949. I testi sono trenta, tutti scritti tra il 1945 e il 1948 1; la tematica prevalente è quella legata alla Seconda guerra mondiale e all’esperienza della Resistenza, vissuta in prima persona dall’autore.

Ai racconti di stampo bellico-partigiano, contraddistinti da tematiche già presenti ne Il sentiero dei nidi di ragno (1947), come Andato al comando o Campo di mine, si susseguono allora ricordi autobiografici dell’infanzia (Il giardino incantato), divisi tra la Liguria costiera e turistica e quella più selvaggia dell’entroterra, e storielegate al mondo popolare, in cui Calvino cala la figura del “picaro”, ovvero del personaggio furbo e imbroglione, protagonista di avventure di tipo eroicomico (Furto in pasticceria); non mancano poi racconti di ambientazione realistica, sullo sfondo delle difficoltà sociali del Dopoguerra e del confronto tra la realtà borghese cui appartiene l’autore e il mondo popolare (Pranzo con un pastore). Al tempo stesso, la narrazione breve è per Calvino un laboratorio formale, che gli permette di sperimentare la narrazione in prima o in terza persona, di modulare il tono della narrazione dall’ironico al grottesco, dal divertito al drammatico, di sviluppare la narrazione tra discorso indiretto e dialogato dei personaggi, di creare piccoli congegni narrativi incentrati sulla suspense.

 

Riassunto di Ultimo viene il corvo

 

Il racconto Ultimo viene il corvo, composto nel 1947, descrive un episodio di vita partigiana.

Durante la guerra alcuni partigiani e un ragazzo pescano trote in riva a un fiume. Per catturare i pesci utilizzano le stesse armi che portano al fianco. A un certo punto il ragazzo chiede il fucile a uno degli uomini che, non conoscendolo, glielo porge dubbioso. Sotto gli occhi dei presenti il ragazzo dimostra una mira eccezionale, tanto che centra ogni trota che affiora dall’acqua, un falchetto e le pigne di un albero che sta sull’altra sponda. I partigiani, sbalorditi, lo prendono con sé. Durante il cammino il ragazzo continua a sparare a ogni animale che vede, mentre gli altri lo intimano di far silenzio, per non venire scoperti dai nazifascisti. Arriva la notte e si fermano a una baita, ma al primo chiarore dell’alba il ragazzo si arma ed esce per conto suo, continuando a sparare a ogni cosa che vede muoversi e allontanandosi così dalla baita dove dormono gli altri uomini. Incontrato un gruppo di soldati nemici, il ragazzo apre fuoco e, dopo aver ricevuto in risposta una raffica di colpi, si nasconde, pur continuando a sparare. I partigiani, sentendo lo sparo, lo raggiungono e iniziano a sparare, ma il ragazzo si lancia all’inseguimento di un soldato nemico nel bosco. Arrivato in una radura, il soldato si nasconde dietro una grossa pietra e il ragazzo, pur assediandolo là dietro, uccide ogni uccello che passi sopra di loro. Anche quando il soldato, senza altre armi, lancia una granata verso il protagonista, questa la fa esplodere in volo con un colpo precisissimo.

Quando un corvo comincia a volteggiare sopra i due duellanti, il ragazzo lo ignora e mira alle pigne di un albero lì vicino, che cadono una ad una. Il corvo continua a girare sopra le loro teste e il soldato, divorato dalla tensione poiché il giovane si ostina a non colpirlo, esce improvvisamente dal proprio rifugio, indicando il volatile. Il ragazzo lo colpisce in pieno petto, proprio sull’aquila cucita sull’uniforme.

Suggestivo e amaro, il racconto che dà nome all’intera raccolta si pone come una riflessione sulla problematicità della morale umana e sul problema del discernimento del bene dal male. Il ragazzo infatti non si unisce al gruppo partigiano per salde convinzioni ideologiche o per desiderio di libertà dall’invasore; semplicemente, amando sparare, desidera l’arma che i partigiani gli hanno prestato lungo il fiume. Estranea alle dinamiche della guerra è anche l’uccisione finale del soldato nazifascista: il giovane lo insegue come inseguirebbe una qualsiasi altra preda, e lo uccide con una fredda strategia, che prevede il sacrificio degli altri animali di passaggio. Ultimo viene il corvo è caratterizzato da uno stile netto e rapido, fatto di dialoghi e frasi semplici; il ritmo, inizialmente lento, accelera nei frangenti dello scontro e dell’inseguimento, mentre la sequenza finale viene narrata dal punto di vista del soldato, di cui si seguono ossessivamente i pensieri, oscillanti tra l’attesa della morte e la speranza di salvarsi all’ultimo minuto.

 

Riassunto di Campo di mine

 

Campo di mine, scritto nel 1946, è ambientato nell’immediato Dopoguerra e affronta ancora una tematica bellica. Pubblicato su l’Unità, valse a Calvino un premio letterario indetto dal quotidiano.

A guerra finita, dopo un lungo e faticoso cammino, un uomo viene avvertito da un vecchio contrabbandiere che il passo di montagna che deve valicare è ancora ricoperto di mine. L’uomo prova a capire se il vecchio sappia quale sia la strada sicura, ma senza ottenere informazioni sostanziali. Il protagonista allora riprende il cammino, riflettendo (e facendosi coraggio tra sé e sé) sui segnali della possibile posa delle mine. Attanagliato anche dai morsi della fame e circondato dai richiami delle marmotte che abitano la valle, l’uomo si dirige al passo, per scoprire che esso è ormai interamente coperto dai rododendri, che, dopo la fine delle ostilità, sono ricresciuti là dove sono state posate le mine, ovvero in uno stretto canalone dove il passaggio è obbligatorio. Impossibilitato a tornare indietro, l’uomo si affida al caso, muovendo un passo dopo l’altro, in un clima di tensione crescente. L’uomo, al culmine della tensione, si ferma per scrutare il proprio volto in un minuscolo specchio che ha con sé. Il suo ultimo passo chiude il racconto:

La terra che divenne sole, l’aria che divenne terra, il ghiii delle marmotte che divenne tuono. L’uomo sentì una mano di ferro che lo afferrava per i capelli, alla nuca. Non una mano, ma cento mani che lo afferravano ognuna per un capello e lo strappavano fino ai piedi, come si strappa un foglio di carta, in centinaia di piccoli pezzi.

Come in altri racconti della raccolta, anche in Campo di mine la guerra sembra finita, ma le sue conseguenze sono drammaticamente presenti nella vita di tutti i giorni e il suo carico di violenza si annida sempre nell’apparente tranquillità della vita di tutti i giorni. Metafora di questa condizione di “reduce” è proprio la vallata di rododendri che si stende di fronte agli occhi del soldato e in cui si celano le mine. Da un lato, i rododendri sono il simbolo della riconquista della Natura sulle violenze dell’uomo; da un altro, sono il tranello in cui cade il protagonista sulla via del ritorno. La narrazione, che si apre in medias res, prosegue alternando discorso diretto, discorso indiretto e discorso indiretto libero, focalizzando l’ansia crescente del protagonista, i suoi ragionamenti che a poco a poco cedono all’angoscia della morte, il ritmo incerto dei suoi passi che si affiancano alle riflessioni sul significato del destino (“Formulò questo pensiero sul destino senza convinzione: non credeva al destino. Certo, se egli faceva un passo era perché non poteva fare diversamente, era perché il movimento dei suoi muscoli, il corso dei suoi pensieri lo portavano a fare quel passo. Ma c’era un momento in cui poteva fare tanto un passo quanto l’altro, in cui i pensieri erano in dubbio, i muscoli tesi sena direzione. Decise di non pensare, di lasciar muovere le gambe come un automa, di mettere i passi a caso sulle pietre; ma sempre aveva il dubbio che fosse la sua volontà a scegliere se voltarsi a destra o a sinistra, se posare un piede su una pietra o sull’altra”). Il finale, improvviso ed esplosivo, recide di colpo tutto questo, mimando quasi sulla pagina l’esplosione dell’ordigno. Lo stile è semplice e scarno, teso a mantenere l’atmosfera angosciosa che pervade tutto il racconto e che deflagra nelle ultime righe.

1 Ultimo viene il corvo, che dà il titolo alla raccolta, compare anche sulle pagine dell’Unità nel 1947.