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L’origine del Sistema Solare: l'ipotesi della nebulosa primordiale

Scienziati, filosofi e letterati di diverse epoche si sono posti una domanda alla quale ancora oggi è difficile dare una risposta: come hanno avuto origine il Sistema Solare e i corpi celesti che ne fanno parte? 

Nel corso dei secoli, personaggi illustri hanno proposto la loro soluzione: il filosofo e matematico francese René Descartes (Cartesio) ipotizzò la presenza, in origine, di una nube di materiale cosmico, roteante come un mulinello, dal quale si formarono il Sole e i pianeti. Il filosofo tedesco Immanuel Kant propose invece un modello secondo cui parte di una nuvola di gas si sarebbe contratta verso il proprio centro a causa della forza gravitazionale, mentre il resto del materiale avrebbe orbitato intorno ad esso, addensandosi fino a formare i pianeti. Poiché anche il matematico francese Pier Simon de Laplace propose in modo indipendente un'analoga teoria, questa ipotesi venne chiamata modello di Kant-Laplace: proprio su questa base si sono sviluppate le successive teorie, con molte modifiche legate ai nuovi dati ottenuti dagli astronomi, e con strumentazioni sempre più sofisticate. Nessuna teoria tuttavia fornisce risposte complete: di un evento che risale a circa 5 - 4,6 miliardi di anni fa, non possiamo che avere poche prove significative, come accade anche per le teorie sull’origine dell’Universo.

Il modello attualmente più accreditato ipotizza che il Sistema Solare abbia avuto origine a partire da un nebulosa costituita da gas e polveri, all’interno della quale erano presenti non solo elementi leggeri (come idrogeno ed elio) ma anche elementi chimici pesanti, poco diffusi nell’Universo. Per questo motivo si pensa che questa nebulosa primordiale sia in realtà costituita dai resti di esplosioni di supernovae ancora più antiche. Per motivi ancora non chiari la nebulosa primordiale iniziò a contrarsi collassando su se stessa. Questo fenomeno ricorda la nascita di una stella: al centro della nebulosa si sarebbe formato il corpo celeste poi diventato il Sole, che prende il nome di protosole. In questa fase non sono ancora iniziate le reazioni termonucleari che permetteranno di aumentare di molto l’energia complessiva del sistema. Nel frattempo la materia che non ha subito direttamente questa contrazione si sarebbe disposta in una sorta di disco intorno alla protostella, roteando intorno ad essa a causa della sua forza gravitazione e appiattendosi sempre di più a causa della accellerazione centrifuga. Proprio a causa della forza gravitazionale parte della materia, precipitando verso il centro, avrebbe continuamente accresciuto la massa della protostella, mentre un’altra parte si sarebbe aggregata formando corpi chiamati planetesimi. Questi, a loro volta, fondendosi in aggregati di forma sferica ancora più grandi (qualche migliaio di km), avrebbero dato origine ai protopianeti. Questi ultimi, a seguito di violenti scontri, avrebbero inglobato la maggior parte dei planetesimi intorno a loro, liberando zone di spazio in cui si stabiliranno le orbite di quelli che ormai sono i pianeti. Un pianeta infatti deve essere nettamente distaccato da altri di dimensioni paragonabili ad esso. Plutone infatti non è più considerato un pianeta, ma un pianeta nano, principalmente a causa delle ridotte dimensioni.

Il materiale originale della nebulosa che non è entrato a far parte né del Sole e né dei pianeti costituisce satelliti, asteroidi, comete e pulviscolo cosmico, oppure è stato espulso dal Sistema durante le fasi della sua evoluzione.

A favore di questa teoria ci sono alcuni dati: per esempio la datazione, mediante l’uso di isotopi radioattivi, di alcuni meteoriti, di rocce lunari e terrestri, confermerebbe l’età del Sistema Solare. Anche la composizione dei pianeti è interessante: i pianeti interni, o rocciosi o terrestri (Mercurio, Venere, Terra e Marte) contengono elementi pesanti che li rendono per la maggior parte solidi, mente i pianeti esterni, o gassosi o gioviani (Giove, Saturno, Urano e Nettuno) sono ricchi di elementi leggeri, similmente al Sole. Questo dato può suggerire che il Sole già in forma di protosole fosse in grado, a causa della sua grande energia, di emanare nello spazio un flusso di particelle cariche, chiamato vento solare, il quale ha allontanato gli elementi leggeri spingendoli verso l’esterno. Anche la temperatura ha avuto un ruolo importante in questo processo: nelle zone limitrofe al Sole infatti, dove la temperatura è più alta, solo gli elementi con un punto di fusione abbastanza alto, come ferro, magnesio, silicio e ossigeno, hanno resistito all’evaporazione, mentre in zone più lontane, e quindi più fredde, i pianeti esterni hanno potuto incorporare molecole leggere come metano (CH4) e ammoniaca (NH3).

Tuttavia questa teoria non è in grado di spiegare alcune “anomalie” che non sarebbero previste secondo questo modello: per esempio Mercurio ha un’orbita molto ellittica, Venere ha un moto di rotazione retrogrado rispetto a tutti gli altri pianeti, mentre Urano ha un asse di rotazione inclinato di 90° rispetto al piano dell’eclittica. Il primo fenomeno può essere attribuito alla grande forza di gravità esercita dal Sole su Mercurio, che tende a modificarne l’orbita, mentre gli altri due fenomeni potrebbero essere dovuti a collisioni antiche con grandi corpi celesti, che ne hanno profondamente modificato le caratteristiche.

In tempi recenti gli astronomi stanno osservando la formazione di altri sistemi solari al di fuori del nostro, alcuni dei quali a oggi ancora in formazione, per raccogliere dati utili a ricostruirne l’origine, nonostante l’evidente difficoltà dovuta all'estrema complessità di queste indagini.

La nebulosa di Orione. Grazie allo sviluppo di strumenti sempre più sofisticati è stato possibile identificare al suo interno alcuni dischi proto stellari, che potrebbero portare alla formazione di nuovi sistemi solari. (Immagine NASA)