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Lucrezio, “De rerum natura”: il miele e l’assenzio

Introduzione

 

Verso la conclusione del primo libro del De rerum natura, Lucrezio si sofferma su un importante aspetto filosofico e poetico, che costituisce una sorta di secondo proemio al suo poema, dopo quello di apertura noto come l’Inno a Venere (libro I, vv. 1-43): qui l’autore, epicureo convinto, affronta il complesso tema della liceità dell’espressione in versi per veicolare al meglio i duri e difficili concetti del maestro Epicuro. Ad aiutarlo, interverrà la celebre immagine del miele e dell’assenzio.

La scelta lucreziana è radicalmente innovativa, ma si inserisce anche in un preciso contesto storico-culturale, cui è bene accennare. La poesia era stata infatti uno degli elementi aggreganti della cultura greca: basta leggere un qualsiasi dialogo platonico per rendersi conto di come, per un greco colto dell'epoca classica, fosse normale conoscere a memoria un vastissimo repertorio di versi di Omero e di altri poeti arcaici, che egli citava frequentemente per dare forza al proprio discorso. L'Iliade e l'Odissea erano dunque un modello per il giovane fanciullo greco e in larga misura continuavano a influenzare il comportamento dell'uomo adulto, che spesso, come Alessandro Magno (356-323 a.C.), teneva sotto il proprio letto una copia dell'Iliade. Data l'importanza che la poesia aveva nell'immaginario collettivo greco, non ci deve stupire che Platone ed Epicuro - i due filosofi che avevano criticato maggiormente la società e che volevano cambiarla radicalmente, seppure in maniera molto diversa tra loro - finirono per criticare i poemi di Omero e la poesia in generale: per loro, i versi erano come una magia capace di influenzare l'animo umano e, se si facevano portavoce di ideali sbagliati, non potevano che essere rimossi dall'educazione dei giovani. Nella fattispecie Platone propose di eliminare i poeti tradizionali 1 e di creare una nuova poesia “filosofica”, capace di veicolare messaggi appropriati al bene comune. Da par suo, Epicuro, per quanto ne sappiamo, non fece nessuna proposta al riguardo, limitandosi a criticare Omero. Tra i successori di Epicuro la poesia venne trascurata, vista al massimo come un divertimento lezioso e superfluo 2. Il De rerum natura, un poema epico-didascalico di natura filosofica, appare dunque come un esempio isolato nella tradizione epicurea, tanto che Lucrezio si sentì quasi in dovere di giustificare la sua scelta poetica mediante una breve apologia 3 in cui venivano espressi i motivi che avevano condotto l'autore a compiere una strada mai battuta in precedenza.

Lucrezio sa bene che il messaggio epicureo doveva essere diffuso il più possibile, dato che questa dottrina mira al raggiungimento della felicità da parte degli uomini e non può quindi rimanere nota solo a pochi eletti. Ma la sua missione si scontra subito con la difficoltà concettuale dell’argomento trattato (estraneo al pubblico “di massa”), oltre a scontare la sottovalutazione del verso poetico all’interno della stessa cerchia epicurea. Lucrezio conta però sul fatto che il linguaggio poetico addolcisca in qualche modo la durezza della filosofia epicurea, favorendone la diffusione ed incitando i lettori alla conversione al vero bene. L'autore sa del resto di avere illustri precedenti: il filosofo agrigentino Empedocle (V secolo a.C), che aveva composto un poema fisico-lustrale in lingua greca, e il latino Ennio (239-169 a.C.), di cui Lucrezio riprende lo stile grave e pieno di arcaismi. E tutto sommato Lucrezio non ha fatto male i suoi calcoli: ancora oggi il De rerum natura è, per molti aspetti, l'unica fonte della filosofia epicurea. Se Lucrezio non avesse composto la sua opera in versi, il suo lavoro sarebbe probabilmente stato cancellato dal corso della storia e buona parte della dottrina del suo amato maestro sarebbe andata irrimediabilmente persa.

Metro: esametro dattilico.

 

  1. Nùnc age 4, quòd 5 super èst, cognòsc(e) et clàrius 6 àudi.
  2. Nèc m(e) animì fallìt 7 quam sìnt obscùra 8; sed àcri
  3. pèrcussìt thyrsò 9 laudìs spes màgna meùm cor
  4. èt simul ìncussìt suavèm m(i) in pèctus amòrem 10
  5. Mùsarùm 11, quo nùnc instìnctus 12 mènte vigènti
  6. àvia Pìeridùm 13 peragrò loca 14 nùllius ànte 15
  7. trìta 16 solò 17. Iuvat ìntegròs accèdere 18fòntis 19
  8. àtqu(e) haurìre 20 iuvàtque novòs decèrpere flòres
  9. ìnsignèmque meò capitì peter(e) ìnde corònam 21,
  10. ùnde priùs nullì velàrint tèmpora Mùsae;
  11. prìmum quòd magnìs doceò de rèbus 22 et àrtis
  12. rèligiòn(um) animùm nodìs 23exsòlvere pèrgo,
  13. dèinde quòd obscùra de rè tam lùcida pàngo
  14. càrmina 24 mùsaeò contìngens cùncta lepòre.
  15. Ìd 25 quoqu(e) enìm non àb nullà ratiòne vidètur;
  16. sèd vel utì puerìs absìnthia 26tàetra medèntes
  17. cùm dare cònantùr, prius òras pòcula cìrcum
  18. còntingùnt mellìs dulcì flavòque liquòre,
  19. ùt pueròr(um) aetàs inpròvida lùdificètur 27
  20. làbrorùm tenus 28, ìntereà perpòtet amàrum
  21. àbsinthì laticèm decèptaque 29 nòn capiàtur,
  22. sèd potiùs talì factò 30 recreàta valèscat,
  23. sìc ego nùnc, quoni(am) hàec ratiò plerùmque vidètur
  24. trìstior 31 èsse quibùs 32 non èst tractàta, retròque
  25. vòlgus abhòrret ab hàc, voluì tibi suàviloquènti
  26. càrmine Pìeriò 33ratiòn(em) expònere nòstram
  27. èt quasi mùsaeò dulcì contìngere mèlle,
  28. sì tibi fòrt(e) animùm talì ratiòne tenère
  29. vèrsibus ìn nostrìs possèm, dum pèrspicis òmnem
  30. nàturàm rerùm, qua cònstet còmpta figùra.
  31. Sèd quoniàm docuì solidìssima màteriài 34
  32. còrpora 35 pèrpetuò volitàr(e) invìcta per aèvum,
  33. nùnc age sùmmaì 36 quaedàm 37 sit fìnis eòrum
  34. nècne sit èvolvàmus 38; itèm quod inàne 39 repertùmst 40
  35. sèu locus àc spatiùm, res ìn quo quaèque geràntur,
  36. pèrvideàmus 41 utrùm 42 finìtum fùnditus òmne 43
  37. cònstet an ìmmensùm pateàt vastèque profùndum.
  1. Ora, orsù, conosci ciò che rimane e ascolta meglio.
  2. E non mi sfugge quanto queste cose siano oscure: ma
  3. con un duro tirso una grande speranza di lode colpì
  4. il mio cuore e nello stesso momento mi incusse nel petto
  5. il soave amore delle Muse, ispirato dal quale ora
  6. con animo forte giro per i luoghi intatti delle Pieridi,
  7. mai toccati prima dal piede di nessuno. È bello
  8. avvicinarsi alle fonti mai toccate e bere, ed è bello
  9. raccogliere nuovi fiori e da lì procurarsi una corona illustre
  10. per la mia testa con cui le Muse non hanno coperto prima
  11. le tempie a nessuno; in primo luogo perché insegno
  12. grandi concetti e mi sforzo di liberare l'animo dagli stretti
  13. nodi delle religioni, poi perché, su una materia tanto oscura,
  14. faccio versi tanto chiari toccando tutte le cose
  15. con la dolcezza delle muse. Infatti anche questa cosa sembra
  16. avvenire con raziocinio; ma, come i medici, quando
  17. tentano di dare ai bambini il tetro assenzio, prima
  18. cospargono l'orlo intorno alla tazza con il dolce miele
  19. e il biondo liquido affinché la sprovveduta età dei fanciulli
  20. venga illusa fino alle labbra, e intanto beva l'amaro succo
  21. dell'assenzio e, una volta sviata, non resti danneggiata,
  22. ma piuttosto, guarita con una tale azione, recuperi le forze,
  23. così ora io, poiché sembra che questa dottrina sia per lo più
  24. troppo severa per quelli da cui non è stata trattata e che
  25. la gente si allontana da questa, ti volli esporre col canto
  26. delle Pieridi la nostra dottrina e quasi aspergerlo
  27. col dolce miele della Musa, per veder se, per caso,
  28. potessi in tale modo legarti nostri versi, fino a che
  29. tu intenda tutta la natura delle cose, e di quale forma
  30. ordinata consista. Ma poiché ho insegnato che
  31. i solidissimi corpi della materia girano in eterno
  32. invitti nel tempo, ora, orsù, esaminiamo
  33. quale sia il limite del loro insieme, e no;
  34. e poi il vuoto che è stato scoperto
  35. ovvero il luogo e lo spazio, in cui ogni cosa viene fatta,
  36. vediamo se il tutto risulti completamente finito
  37. o se si spalanchi immenso ed enormemente profondo.

1 Per Platone i poeti dovevano essere cacciati dalla sua città ideale, dato che davano una idea sbagliata della divinità e della vita dopo la morte. Così leggiamo all'interno della Repubblica. Una identica critica si trova anche all'interno delle Leggi.

2 Basti pensare al riguardo alle poesie dell'epicureo Filodemo di Gadara (110 ca. -35 ca. a.C.), che non parlavano di filosofia.

3 Questa “apologia” viene per altro ripetuta ben due volte all'interno dell'opera, in questo passo e poi ai vv. 1-25 del quarto libro.

4 age: si tratta di una interiezione. Vuol dire “orsu!”, “suvvia!”.

5 quod: il pronome relativo si riferisce a un pronome personale id sottinteso. Si tratta del fenomeno dell'ellissi del dimostrativo.

6 clarius: si tratta del comparativo dell'avverbio clare.

7 me animi fallit: il verbo fallo, fallis, fefelli, falsum, fallere è un verbo semi-impersonale, in cui viene posto all'accusativo (in questo caso, “me”) la persona a cui “sfugge” qualcosa.

8 quam sint obscura: si tratta di una subordinata interrogativa indiretta, che ha, come di norma, il verbo al congiuntivo in consecutio temporum.

9 acri [...] thyrso: si tratta di un iperbato, dal momento che il sostantivo “thyrso” viene separato dal suo aggettivo “acri”dal verbo “percussit”. Dal momento che questi due elementi si trovano in due versi separati, ci troviamo anche di fronte anche a un enjambement. Il tirso consisteva in una canna avvolta in un ramo di edera, con in cima una pigna. Simbolo di Dioniso, questo oggetto veniva brandito dalle baccanti durante le loro danze estatiche. Forse l'utilizzo del tirso in questo contesto è una allusione a Platone (Leggi II, 659) dove si legge che “molti agitano il tirso, ma pochi sono i veri baccanti”.

10 suavem [...] amorem: si tratta di un altro iperbato.

11 Musarum: le Muse erano un gruppo di nove divinità protettrici della poesia e delle arti, figlie di Zeus e Mnemosyne, la personificazione della Memoria. Bisogna tenere presente che i primi poeti come Omero dovevano necessariamente conoscere e tramandare a memoria le proprie opere, data la mancanza della scrittura. Spesso le Muse rappresentano per metonimia la poesia stessa.

12 Instinctus: si tratta del participio perfetto del verbo instinguo, instinguis, instinxi, instinctum, instinguere.

13 Pieridum: con questo nome vengono di norma indicate le Muse all'interno della poesia latina. L'origine di questa parola deriverebbe dal fatto che le dee sarebbero nate nella Pieria, una regione non lontana dal monte Olimpo, in Grecia.

14 avia [...] loca: si tratta di un iperbato.

15 ante: ha valore avverbiale e va quindi tradotto come “prima”.

16 loca [...] trita: si tratta di un forte iperbato con enjambement. Con questa prima metafora, Lucrezio vuole evidenziare la novità della sua opera: nessuno prima di lui aveva infatti composto un poema filosofico dedicato alla dottrina epicurea e quindi, metaforicamente, questi erano “luoghi” inesplorati per il pensiero e la poesia.

17 solo: questo termine indica in origine la “base” o il “fondamento” di qualcosa. Dal momento che la base del corpo umano consiste nei piedi, la parola andò a indicare la base dei piedi (basti pensare in italiano alla “suola” delle scarpe) o, più in generale, i piedi stessi.

18 accedere: questo verbo regge di norma l'accusativo del luogo o della persona a cui ci si vuole avvicinare (in questo caso “integros fontis”).

19 fontis: forma arcaica per “fontes”.

20 haurire: questa seconda metafora è di origine ellenistica: il poeta Callimaco (310 ca. - 240 ca. a.C.) all'interno di un suo componimento (Epigramma XXVIII), facendo una scherzosa dichiarazione di poetica, aveva affermato di “non bere dalla fonte (dove bevono tutti)”, intendendo con questo dire che la sua poesia era unica e ricercata. Il paradigma del verbo è haurio, hauris, hausi haustum, haurire.

21 insignem [...] coronam: si tratta di un forte iperbato, dal momento che un termine si trova all'inizio del verso, mentre l'altro alla sua fine. Nell'antichità venivano spesso donate delle corone di fiori come premio per i propri meriti; nell’esercito a esempio le corone avevano una funzione molto simile a quella delle nostre medaglie. Anche i poeti venivano premiati con corone, spesso di alloro, pianta sacra ad Apollo. Il confronto tra la poesia e i fiori è comunque di origine ellenistica. Il poeta Meleagro di Gadara (I secolo a.C.) aveva creato la prima antologia poetica della storia, introdotta da un suo componimento in cui vari poeti venivano paragonati a un fiore. Lo stesso termine “antologia” deriva dalla consuetudine inaugurata da quest'opera e vuol dire letteralmente “raccolta di fiori”.

22 magnis [...] de rebus:Iperbato e Anastrofe. Le “grandi cose” di cui tratta Lucrezio sono ovviamente i precetti fondamentali della filosofia epicurea.

23 artis [...] nodis: secondo la filosofia epicurea la religione è uno dei più grandi ostacoli al fine del raggiungimento della felicità. Questa infatti ci fa credere che esista una provvidenza superiore e che gli dei si occupino di noi, facendoci temere di subire tremende punizioni per il nostro comportamento quotidiano. In realtaà, questi castigi non arriveranno mai: per Epicuro, gli dei infatti esistono, ma sono esseri beati che vivono eternamente nello spazio tra un mondo e l'altro, disinteressandosi completamente di quello che avviene tra gli uomini.

24 obscura de re tam lucida [...] carmina: da notare la forte contrapposizione tra l'oscurità della materia (“obscura de re”) e la lucidità - o, per meglio dire, chiarezza - dei versi di Lucrezio. Il fine di quest'opera era infatti diffondere e divulgare al numero più alto possibile di persone i principi dell'epicureismo. Secondo Epicuro la filosofia non era una scienza complessa riservata a un numero stretto di eletti, ma una via di salvezza per l'umanità, che doveva quindi essere comprensibile da tutti. Lo stesso Epicuro aveva sviluppato una raccolta di sentenze facili da memorizzare, in cui venivano condensati i principi necessari al raggiungimento della felicità per quanti non avevano abbastanza istruzione per addentrarsi tra le questioni filosofiche più complesse.

25 Id: con questo pronome l'autore si riferisce al “lepore Musaeo” del verso precedente.

26 absinthia: fin dall'antichità l'assenzio era una pianta famosa per le sue virtù medicinali. Il suo sapore amaro ne rendeva sgradevole l'assunzione, tanto che veniva mescolato a sostanze più dolci (come appunto il miele) per renderlo più dolce. In questo contesto l'assenzio viene paragonato alla difficoltà della dottrina epicurea, mentre il miele viene ovviamente a essere la poesia, usata per rendere più dolce l'asprezza del contenuto.

27 ut ludificetur: si tratta di una subordinata finale con il verbo (ludifico, ludificas, ludificavi, ludificatum, ludificare) al congiuntivo imperfetto.

28 Labrorum tenus: la preposizione “tenus” regge il genitivo “labrorum” e vuol dire “fino a”.

29 deceptaque: si riferisce ancora ad “aetas”, da decipio, decipis, decepi, decepta, decipere, “illudere, ingannare, sfuggire a”.

30 tali facto: si riferisce all'assunzione dell'assenzio da parte del bambino malato.

31 tristior: in italiano l'aggettivo in forma comparativa richiede per forza un secondo termine di paragone inteso o sottinteso. In latino questo non avviene per forza, e quando il secondo termine di paragone viene a mancare ci troviamo di fronte a un “comparativo assoluto”, che andrà tradotto preceduto da avverbi come “molto”.

32 quibus: il pronome relativo si riferisce a un iis sottinteso (è il fenomeno dell'ellissi del dimostrativo).

33 Pierio: anche questo aggettivo si riferisce alle Muse (chiamate anche “pieridi” perché nate nella regione della Pieria).

34 materiai: forma di genitivo singolare arcaico per materiae.

35 solidissima corpora: il riferimento è agli atomi, che secondo gli epicurei (che avevano ripreso la loro dottrina da Leucippo e Democrito), sono indistruttibili.

36 summai: forma di genitivo arcaico per summae. Con questo termine si indicano i composti atomici (tra cui possiamo contare anche i mondi) che, a differenza degli atomi, non sono immortali ma hanno un limite temporale.

37 quaedam:concorda con “finis” e introduce una subordinata interrogativa indiretta.

38 evolvamus: si tratta di un congiuntivo esortativo, che va dunque tradotto come un imperativo.

39 inane: con questo termine viene indicato il vuoto, insieme agli atomi uno dei due componenti fondamentali dell'universo secondo gli epicurei. Tutte le cose infatti nascerebbero dal vuoto e dagli atomi che si aggregano nello spazio in maniera diversa da elemento a elemento. A causa della egestas verborum (“povertà delle parole”) del latino, che rendeva difficile rendere in questa lingua la terminologia della filosofia greca, che aveva ormai una tradizione secolare alle spalle, Lucrezio si trovò costretto a inventare diversi termini nuovi o adattarne di preesistenti attribuendogli nuovi significati. Il vuoto viene reso in latino anche come vacuum o vacans.

40 repertumst: crasi per repertum est.

41 pervideamus: si tratta di un altro congiuntivo esortativo, dal verbo pervideo, pervides, pervidi, pervisum, pervidere, “vedere bene, riconoscere, discernere”.

42 utrum: questo avverbio interrogativo introduce una subordinata interrogativa indiretta di tipo disgiuntivo, data la presenza di “an”.

43 omne: con questo termine Lucrezio indica l'universo nel suo insieme. La domanda cui Lucrezio cerca di dare risposta è se il Cosmo sia o meno finito. Secondo la filosofia epicurea il cosmo è infinito e privo di centro, composto da infiniti mondi che si creano e si distruggono a partire dagli atomi, eterni e infiniti.