Genere e finalità dell’opera
Il De rerum natura è un poema didascalico in esametri suddiviso in sei libri, che Lucrezio dedica al suo protettore Gaio Memmio 1 con lo scopo di divulgare in latino il pensiero del filosofo Epicuro (342-270 a.C.): non a caso il titolo è un calco della sua opera principe, il perduto Perì phýseos. Il testo, che manca della revisione definitiva 2, si inserisce dunque nella complessa relazione tra la morale tradizionale romana, l’apporto delle filosofie ellenistiche e le forme artistico-letterarie che investe la cultura latina a partire dal II secolo a.C.
L’epicureismo in particolare è da sempre ostacolato dai ceti elevati della società romana, che non possono tollerare le idee propugnate da Epicuro, cui contestano soprattutto il disimpegno politico e lo scarso peso degli dei negli affari umani, che poco si conciliano con la concezione romana dello stato e possono rendere vano lo strumento grazie al quale la classe dirigente deteneva il potere, ovvero la religio. Tuttavia, nel corso del I secolo, l’epicureismo riesce non solo a conquistare parte degli stati popolari romani, ma anche a penetrare in alcuni settori delle classi elevate, come sappiamo per esempio dalle testimonianze di Ercolano, dove faceva lezione il filosofo Filodemo di Gadara 3, e di Napoli, dove era attivo Sirone 4, maestro di Virgilio e forse Orazio.
Modelli
Per divulgare la dottrina epicurea Lucrezio non sceglie la prosa ma il poema didascalico, nonostante Epicuro avesse a suo tempo condannato la poesia, che era poco chiara, ricca di miti e dunque incapace di insegnare il vero. Per Lucrezio, al contrario, il suo messaggio, difficile da veicolare, viene addolcito dalla soavità della poesia ed è perciò appetibile per le classi colte di Roma, come egli stesso mette in luce attraverso la metafora dei ragazzi che prendono più volentieri l’amara medicina che li guarisce se sulla coppa che la contiene è cosparso del miele (De rerum Natura, I, vv. 921-950 e De rerum natura, IV, vv. 1-25).
Perciò non è un caso che il De rerum natura si ricolleghi più al Perì phýseos in esametri del greco Empedocle, filosofo del V secolo a.C. elogiato da Lucrezio alla fine del primo libro, che alle opere di divulgazione filosofica in prosa o ai poemi didascalici ellenistici, in cui vengono descritti - con il tipico compiacimento alessandrino per l’argomento erudito e un interesse filosofico minore - fenomeni scientifici 5.
In assenza di confronti certi con opere didascaliche latine precedenti, di cui ci rimangono solo titoli o rarissimi frammenti, si può perciò affermare che Lucrezio aggiri la tradizione ellenistica per rifarsi direttamente ad Esiodo e ai presocratici come Empedocle, restituendo al poema didascalico la funzione di reale mezzo di insegnamento incentrato sul rapporto tra poeta-maestro e lettore-discepolo, cui sono rivolti frequenti appelli nel corso dell’opera. In questo invito piuttosto rude al dialogo e nell’uso sottile dell’ironia, che accompagna le false opinioni della massa, è presente sicuramente anche l’influsso della diatriba 6, oltre a toni che ricordano, in qualche modo, la satira.
Struttura, temi e contenuto
Il De rerum natura è articolato in tre diadi, cioè gruppi di due libri, in cui il poeta spiega rispettivamente:
- i principi della fisica epicurea (I-II libro);
- la natura dell’organismo umano e il rapporto tra anima e conoscenza (III-IV libro);
- l’origine del mondo e dei fenomeni naturali (V-VI libro).
L’opera è scandita da ben quattro elogi di Epicuro, ringraziato per aver liberato l’umanità dalla religio e dalla vana paura della morte, (uno all’inizio di ciascuna diade più uno aggiuntivo all’inizio del VI libro) e da due proemi, quello vero e proprio in apertura del primo libro (il cosiddetto Inno a Venere) e un altro a metà opera, nel IV libro, dove Lucrezio illustra la novità della sua poesia e ne spiega il fine educativo attraverso la metafora del ragazzo che prende più volentieri la medicina se i bordi del bicchiere sono cosparsi di miele.
Nel primo libro viene introdotta la teoria degli atomi (primordia rerum) secondo cui tutto l’universo è formato dagli atomi - invisibili ed eterni - e dal vuoto, che interagendo tra loro formano ogni cosa, senza nessun limite di spazio e senza quindi che possa trovarsi un centro dell’universo; il libro contiene anche una confutazione delle teorie filosofiche naturalistiche di Eraclito, Empedocle e Anassagora. Il secondo libro spiega il modo in cui si aggregano gli atomi: essi seguono un movimento in linea retta che viene deviato da una forza obliqua detta clinamen, la quale fa in modo che gli atomi si incontrino e si combinino tra loro in base alle loro forme, dando vita a un numero limitato di generi di strutture atomiche, che possono però essere infinitamente replicate ed essere formate da un numero illimitato di atomi. Proprio per questo esistono infiniti mondi.
Dopo l’elogio di Epicuro, il terzo libro si concentra sulla struttura atomica dell’organismo umano e in particolare dell’animus (parte razionale dell’uomo) e dell’anima (principio vitale), che sono materiali quanto il corpo, da cui non possono mai separarsi, neanche nel momento della disgregazione atomica, che comunemente si chiama morte. Lucrezio invita il lettore a non temere la morte, perché nel momento in cui arriva non esiste più nessuna sensibilità e quindi non può far soffrire. Nel quarto libro è esposta la teoria gnoseologica di Epicuro, secondo cui i sensi non sono altro che l’interazione degli atomi dell’uomo con i simulacra rerum, delle specie di membrane superficiali di tutte le cose che si staccano e interagiscono con gli atomi degli organi di senso e che poi, permanendo, sono all’origine dei pensieri e dei sogni. La teoria dei simulacra rerum spiega anche l’amore, che non è altro che una reazione fisica al simulacrum di un’altra persona.
Il quinto libro contiene la teoria sulla non eternità del mondo, che è frutto di un’aggregazione atomica e per questo è destinato ad avere anche una fine, e quella sugli dei, che sono anch’essi fatti di atomi, come tutto, e vivono senza interessarsi affatto degli uomini. Si trovano poi spiegati alcuni fenomeni naturali, come l’alternanza notte-giorno e il movimento dei corpi celesti; infine Lucrezio espone una storia dell’umanità, dall’età primitiva alla scoperta del linguaggio e del fuoco, per poi parlare della nascita delle società. Infine nel sesto libro, dopo la spiegazione di altri numerosi fenomeni naturali (tuono, lampo, fulmine, tempesta, arcobaleno, terremoto, eruzione vulcanica, magnetismo), Lucrezio si sofferma sulle cause delle epidemie e ricorda in particolare la famosa peste di Atene del V sec. a.C., che determinò la perdita di ogni senso religioso e di ogni umanità.
Lucrezio espone questi argomenti con un rigoroso procedimento argomentativo e cerca l’interazione con il lettore, sollecitandolo con appelli e accompagnandolo quasi per mano durante la spiegazione dei fenomeni descritti.
Lingua e stile
Anche studiare il De rerum natura da un punto di vista linguistico permette di cogliere l’originalità dell’esperimento lucreziano. Il poeta, infatti, utilizza un linguaggio concreto che cerca di riprodurre in latino termini filosofici greci, anche attraverso perifrasi, similitudini, immagini tratte dalla vita quotidiana e neologismi: la parola “atomo”, per esempio, che in greco significa letteralmente “indivisibile” è tradotta con semina o primordia rerum. Lucrezio stesso è consapevole di dover affrontare un compito arduo quando nel primo libro (vv. 136-139) afferma che “non sfugge al mio animo ch’è difficile dar luce, in versi latini, alle oscure scoperte dei Greci, soprattutto poiché molte cose occorre trattarle con nuove parole, per povertà della lingua e novità dell’oggetto” 7.
Per favorire l’ordine del discorso e indirizzare il discepolo alla piena comprensione dei fenomeni, Lucrezio si rivolge spesso al lettore ideale, con cui instaura un fitto discorso: i passaggi logici sono scanditi da ripetizioni e nessi argomentativi (quali igitur, praeterea, denique, nunc age, huc accedit, postremo)che costituiscono una costante del suo modo di procedere. Si tratta, in definitiva, di uno stile concitato, segnato da frequenti cambi di prospettiva e persona, ma in generale alto e sublime, anche tramite il ricorso agli arcaismi che innalzano il tono della descrizione (aggettivi composti sul modello enniano, infinito passivo di terza coniugazione in -ier, genitivo singolare di prima declinazione in -ai e così via).
Fortuna
Secondo la testimonianza di Girolamo il De rerum natura sarebbe stato pubblicato postumo da un convinto avversario dell’epicureismo, Cicerone, il quale però nelle sue opere di argomento filosofico non fece mai cenno a Lucrezio, ricordandolo solo una volta in una lettera, in termini per altro elogiativi 8. Anche gli altri autori latini della tarda repubblica e dell’età augustea non dedicarono particolare attenzione a Lucrezio, che viene infatti menzionato solo da Cornelio Nepote 9, Vitruvio 10 e Ovidio 11; eppure non mancano indizi che fanno capire come la poesia di Lucrezio fosse ben presente anche ad autori come Virgilio e Orazio. Nella successiva età imperiale ricordano Lucrezio Stazio, Tacito e Quintiliano e ne apprezzano la lingua arcaizzante autori come Frontone e Aulo Gellio. Dagli autori cristiani Lucrezio fu invece fortemente criticato per la sua filosofia materialista e nel Medioevo cristiano, che perseverò nel darne un giudizio negativo, il De rerum natura smise di essere letto e copiato; venne riscoperto a Fulda nel 1417 da Poggio Bracciolini e, nonostante fosse in seguito messo all’Indice negli anni del concilio di Trento, divenne un’opera di riferimento per moltissimi intellettuali moderni: Tommaso Moro, Giordano Bruno, William Shakespeare, Michel de Montaigne, Galileo Galilei e molti altri ancora 12
Bibliografia selettiva
- Tito Lucrezio Caro, La natura delle cose, introduzione di G. B. Conte, traduzione di L. Canali e note di I. Dionigi, Milano, Mondolibri, 2002.
- Tito Lucrezio Caro, La natura delle cose, a cura di G. Milanese, introduzione di E. Narducci, Milano, Mondadori, 1992.
- L. Canfora, Vita di Lucrezio, Palermo, Sellerio, 1993.
- M. Paladini, Bibliografia epicurea e lucreziana fondamentale e sue abbreviazioni, Napoli, Liguori, 2011.
1 È probabile che si tratti dello stesso Gaio Memmio che Catullo segue in Bitinia, regione di cui Memmio diventa governatore nel 57 a.C.; durante il viaggio, il poeta avrebbe visitato la tomba del fratello, come ricordato nel carme 101 del suo Liber.
2 Secondo Girolamo sarebbe stato Cicerone a pubblicare l’opera dopo la prematura morte del poeta.
3 Filodemo di Gàdaraè un filosofo epicureo attivo nel I secolo a.C., ospite per un lungo periodo ad Ercolano nella cosiddetta Villa dei Papiri di Lucio Cornelio Pisone, suocero di Cesare.
4 Filosofo epicureo la cui scuola viene frequentata a partire dalla metà del I secolo a.C. da Virgilio e da altri esponenti che poi entreranno a far parte del circolo di Mecenate.
5 Tra queste opere in poesia di argomento scientifico ricordiamo per esempio i Fenomeni di Arato di Soli (III secolo a.C.) e i Theriakà e gli Alexiphármaka di Nicandro di Colofone (II secolo a.C.): il primo è un poema sui fenomeni celesti, il secondo si occupa degli animali velenosi e il terzo degli antidoti. Gli argomenti trattati sono ridotti quasi a pretesto per far sfoggio al tempo stesso di erudizione contenutistica e tecnica poetica.
6 Con diatriba si intende una conversazione di contenuto etico diretta a un pubblico vasto e perciò dal tono popolare, a volte ironico e aggressivo.
7 Traduzione di G. Milanese. Il testo latino è il seguente: “Nec me animi fallit Graiorum obscura reperta | difficile inlustrare Latinis versibus esse, | multa novis verbis praesertim cum sit agendum | propter egestatem linguae et rerum novitatem”.
8 Cicerone, Ad Quintum fratrem II, 9, 3.
9 Cornelio Nepote, Vita di Attico 12, 4.
10 Vitruvio, De architecturea,9, praef. 17.
11 Ovidio, Amores I, 15, 23-24 e Tristia II, 423-428.
12 Sulla fortuna del De rerum natura in epoca moderna e contemporanea si può leggere G. Greenblatt, Il manoscritto. Come la riscoperta di un libro perduto cambiò la storia della cultura europea, Milano, Rizzoli, 2012.