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Catullo, carme 101: traduzione e commento

Introduzione

 

Componimento tra i più celebri e noti del Liber catulliano, il carme 101 affronta una tematica assai intima e privata: il dolore per la morte del fratello, di cui il poeta visita la tomba nella regione della Troade, in Asia Minore, mentre nel 57 a.C. Catullo, al seguito del politico Gaio Memmio, si sta recando in Bitinia. Il testo è costruito così su una doppia dimensione: da un lato, la ritualità funebre tradizionale (come si vede nell’uso dei termini: “inferias”, v. 2; “postremo munere”, v. 3; “prisco more parentum”, v. 7; “tristi munere”, v. 8), che avvicina il carme 101 al genere dell’epigramma, dall’altro la spiccata sensibilità del poeta che, pur consapevole dell’inellutabilità del destino, cerca un’ultima possibilità di contatto con il fratello. Da qui, la tensione ad “alloquere cinerem” (v. 4, come se le ceneri del fratello potessero rispondere), il rilievo alla sfera semantica del dolore e del lutto (“miseras inferias”, v. 2; “mihi tete abstulit ipsum”, v. 5; “heu miser [...] frater”, v. 6; “fraterno [...] fletu”, v. 9).

In questo senso, l’atteggiamento di Catullo nel carme Multas per gentes non è molto lontano dal Catullo che inneggia al trionfo felice dell’amore (come in Vivamus, mea Lesbia, atque amemus) o da quello che si tormenta per i tradimenti della donna amata (come nel famosissimo Odi et amo); come nota il critico Luca Canali:

Questo carme è un addio come pronunciato sulla tomba, in un sommesso colloquio con il defunto: il dolore, come l’amore, è sentito ed espresso da Catullo al presente, con grande intensità e urgenza drammatica 1

Tradizionalmente, il carme 101 è stato da sempre affiancato al sonetto Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo di Ugo Foscolo (1778-1827), in cui il modello catulliano (quello di un’elegia funebre di stampo autobiografico) è ripreso in molti aspetti fondamentali (la fuga “di gente in gente”, la morte del fratello giovane, il dialogo “col tuo cenere muto”) ma anche con significative differenze: Foscolo, confrontandosi con la morte del fratello, si presenta come un esule cui il destino è avverso, e prefigura per se stesso un simile, tragico destino.

Metrica: distici elegiaci.

 

  1. Mùltas pèr gentès 2 et mùlta per aèquora 3 vèctus
  2. àdvenio 4 hàs miseràs, fràter 5, ad ìnferiàs 6,
  3. ùt te pòstremò donàrem mùnere mòrtis 7
  4. èt mutàm nequìquam àlloquerèr 8 cinerèm 9,
  5. quàndoquidèm fortùna 10 mihì tete àbstulit ìpsum 11,
  6. hèu miser ìndignè fràter adèmpte mihì!
  7. Nùnc tamen ìnterea haèc, priscò quae mòre parèntum 12
  8. tràdita sùnt tristì mùnere ad ìnferiàs,
  9. àccipe fràternò multùm manàntia 13 flètu,
  10. àtque in pèrpetuùm, fràter, ave àtque valè 14.
  1. Condotto per molte genti e molti mari
  2. sono giunto a queste (tue) tristi spoglie, o fratello,
  3. per renderrti l’estrema offerta della morte
  4. e per parlare invano alla (tua) muta cenere,
  5. poiché la sorte mi ha portato via proprio te, ahimè,
  6. infelice fratello ingiustamente strappatomi via!
  7. Ora questi pegni, che secondo l’usanza degli avi
  8. sono stati consegnati come triste omaggio funebre,
  9. accettale, stillanti di molto pianto fraterno,
  10. e per sempre, o fratello, ti saluto e ti dico addio.

 

1 L. Canali, Antologia della letteratura latina, Torino, Einaudi, 1999, p. 176.

2 Multas per gentes: metonimia usata da Catullo per indicare il lungo viaggio per molti paesi prima di giungere alla tomba del fratello. L’uso dell’aggettivo multas, in forma iperbolica, serve a evidenziare l’intesità del dolore del poeta di fronte alla morte del fratello, anche a causa della distanza che lo separa dalla tomba del fratello. L’incipit del testo è però molto curato dal punto di vista stilistico (come si conviene alla poetica dei neoteroi): si noti l’anastrofe (ovvero l’inversione dell’ordine sintattico abituale) e il rimando intertestuale alle prime righe dell’Odissea, dove la figura errante era quella di Ulisse.

3 aequora: termine poetico usato al posto di mare, “mare” e che letteralmente significa “distesa”, “superficie”.

4 advenio: il verbo (advenio, is, adveni, adventum, advenire) ha sfumatura di passato (“sono giunto”), come capito di trovarlo anche in Plauto e Terenzio.

5 Invocazione del poeta che accompagna le offerte votive fatte sulla tomba del fratello deceduto. Si possono rintracciare altri riferimenti alla morte del fratello sia nella traduzione della Chioma di Berenice (carme 65) e in due passi del carme 68 (v. 19 ssg. e v. 89 e ssg.).

6 miseras inferias: il sostantivo inferiae, -arum indica nello specifico le “esequie” o le “offerte votive” che tradizionalmente devono essere lasciate sulle tombe dei defunti per le divinità dei Mani (ovvero le anime dei defunti o degli antenati). Si noti la figura retorica dell’ipallage, per cui il poeta trasferisce alle spoglie del fratello l’aggettivo miseras (“triste”, “doloroso”) che in realtà descrive il suo stato d’animo.

7 postremo munere mortis: letteralmente “l’ultimo dono di morte”; Catullo si è recato sulla tomba del fratello per rendere gli onori funebri - intesi qui come doni - al fratello. Il verbo donarem (dono, donas donavi, donatum, donare) regge l’ablativo della cosa donata (appunto, il “postremo munere”) e l’accusativo della persona a cui si dona (“te”).

8 adloquerer: composto ad + loquor, il verbo (adloquor, adloqueris, adlocutus sum, adloquere) ha un significato tecnico solitamente utilizzato per invocazioni e ringraziamenti agli dei, nei discorsi militari alle truppe e nelle consolationes, cioè nei discorsi di consolazione. In questo caso, unito all’avverbio nequiquam, contribuisce a dare una sfumatura rituale e religiosa all’addio del poeta al fratello.

9 mutam cinerem: si tratta di una personificazione delle ceneri del fratello a cui il poeta si rivolge invano, dal momento che non può più parlare con lui. Questo componimento e in particolare questo verso sono il modello del sonetto di Ugo Foscolo In morte del fratello Giovanni. In questo caso il poeta romantico canta la morte del fratello suicida, riprendendo l’immagine delle ceneri mute, in particolare ai vv. 5-6: “La madre or sol, suo dì tardo traendo, | Parla di me col tuo cenere muto”.

10 fortuna: il termine (in latinom “sorte, destino”) è un’ulteriore personificazione, che ha crudelmente diviso Catullo da suo fratello, portandolo via (v. 5: “abstulit”) e strappandolo da lui (v. 6: “adempe mihi”).

11 tete ipsum: “tete” è un costrutto rafforzativo del pronome te mentre ipsum (da ipse, letteralmente “esso stesso, in persona”), sottolinea ulteriormente la crudeltà della sorte; in questo verso e nel seguente si tocca insomma il vertice della tensione drammatica e del dolore intimo del poeta. Si noti nella seconda parte di questo verso l’accumulo di pronomi pronomi personali, come a mimare un dialogo impossibile tra Catullo e il fratello morto.

12 more parentum: il termine letteralmente indica “l’usanza dei genitori”, ovvero i riti funebri tradizionali, in cui si prevede un’offerta votiva e un sacrificio sulla tomba del parente defunto (solitamente costituito da doni quali cibo, bevande o fiori). Per Catullo si tratta di un rito necessario ma inutile, dal momento che non riporterà in vita il fratello, con cui ormai non ha più la possibilità di parlare; tutto il componimento si basa su questa opposizione tra le formalità del rito funebre tradizionale e l’urgente necessità di un ultimo, impossibile contatto col fratello defunto.

13 manantia: dal verbo mano, manas, manavi, manatum, manare, “stillare, grondare, sgorgare”.

14 ave atque vale: formula tradizionale di saluto ai defunti, che normalmente veniva pronunciata durante i funerali; la forma completa è salve, vale, ave. Si tratta dell’ultimo saluto del poeta al fratello.