Il canto sesto del Paradiso si apre con la prosecuzione del discorso di Giustiniano, già iniziato al canto precedente; la digressione sulla storia dell’Impero e sul suo significato corona il ragionamento politico di Dante, che si è aperto con Ciacco nel girone infernale dei golosi e poi sviluppato nell’invettiva a Firenze e all’Italia nel sesto canto del Purgatorio.
Qui naturalmente la prospettiva si amplia ad un orizzonte universale, individuando nell’Impero l’unica istituzione in grado di realizzare il disegno della Provvidenza divina.
- “Poscia che Costantin 1l’aquila volse
- contr’ al corso del ciel 2, ch’ella seguio
- dietro a l’antico che Lavina tolse,
- cento e cent’ anni e più l’uccel di Dio
- ne lo stremo d’Europa si ritenne,
- vicino a’ monti de’ quai prima uscìo;
- e sotto l’ombra de le sacre penne
- governò ’l mondo lì 3 di mano in mano,
- e, sì cangiando, in su la mia pervenne.
- Cesare fui e son Iustinïano 4,
- che, per voler del primo amor ch'i' sento,
- d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano 5.
- E prima ch’io a l’ovra fossi attento,
- una natura in Cristo esser, non piùe,
- credea, e di tal fede era contento 6;
- ma ’l benedetto Agapito 7, che fue
- sommo pastore, a la fede sincera
- mi dirizzò con le parole sue.
- Io li credetti; e ciò che ’n sua fede era,
- vegg’ io or chiaro sì, come tu vedi
- ogni contradizione e falsa e vera.
- Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,
- a Dio per grazia piacque di spirarmi
- l’alto lavoro, e tutto ’n lui mi diedi;
- e al mio Belisar 8 commendai l’armi,
- cui la destra del ciel fu sì congiunta,
- che segno fu ch’i’ dovessi posarmi.
- Or qui a la question prima s’appunta
- la mia risposta; ma sua condizione
- mi stringe a seguitare alcuna giunta 9,
- perché tu veggi con quanta ragione
- si move contr’ al sacrosanto segno
- e chi ’l s’appropria e chi a lui s’oppone.
- Vedi quanta virtù l’ha fatto 10 degno
- di reverenza; e cominciò da l’ora
- che Pallante 11 morì per darli regno.
- Tu sai ch’el fece in Alba sua dimora
- per trecento anni e oltre, infino al fine
- che i tre a’ tre 12pugnar per lui ancora.
- E sai ch’el fé dal mal de le Sabine
- al dolor di Lucrezia in sette regi,
- vincendo intorno le genti vicine 13.
- Sai quel ch’el fé portato da li egregi
- Romani incontro a Brenno 14, incontro a Pirro 15,
- incontro a li altri principi e collegi;
- onde Torquato e Quinzio 16, che dal cirro
- negletto fu nomato, i Deci 17 e ‘ Fabi
- ebber la fama che volontier mirro.
- Esso atterrò l’orgoglio de li Aràbi 18
- che di retro ad Anibale passaro
- l’alpestre rocce, Po, di che tu labi.
- Sott’ esso giovanetti trïunfaro
- Scipïone e Pompeo; e a quel colle
- sotto ’l qual tu nascesti 19 parve amaro 20.
- Poi, presso al tempo che tutto ’l ciel volle
- redur lo mondo a suo modo sereno,
- Cesare per voler di Roma il tolle 21.
- E quel che fé da Varo infino a Reno,
- Isara vide ed Era e vide Senna
- e ogne valle onde Rodano è pieno 22.
- Quel che fé poi ch’elli uscì di Ravenna
- e saltò Rubicon, fu di tal volo,
- che nol seguiteria lingua né penna 23.
- Inver’ la Spagna rivolse lo stuolo,
- poi ver’ Durazzo, e Farsalia percosse
- sì ch’al Nil caldo si sentì del duolo 24.
- Antandro e Simeonta, onde si mosse,
- rivide e là dov’ Ettore si cuba 25;
- e mal per Tolomeo poscia si scosse 26.
- Da indi scese folgorando a Iuba 27;
- onde si volse nel vostro occidente,
- ove sentia la pompeana tuba 28.
- Di quel che fé col baiulo 29 seguente,
- Bruto con Cassio ne l’inferno latra 30,
- e Modena e Perugia fu dolente 31.
- Piangene ancor la trista Cleopatra,
- che, fuggendoli innanzi, dal colubro
- la morte prese subitana e atra 32.
- Con costui corse infino al lito rubro;
- con costui puose il mondo in tanta pace,
- che fu serrato a Giano il suo delubro 33.
- Ma ciò che ’l segno che parlar mi face
- fatto avea prima e poi era fatturo
- per lo regno mortal ch’a lui soggiace,
- diventa in apparenza poco e scuro,
- se in mano al terzo Cesare 34 si mira
- con occhio chiaro e con affetto puro;
- ché la viva giustizia che mi spira,
- li concedette, in mano a quel ch’i’ dico,
- gloria di far vendetta a la sua ira 35.
- Or qui t’ammira in ciò ch’io ti replìco:
- poscia con Tito a far vendetta corse
- de la vendetta del peccato antico 36.
- E quando il dente longobardo morse
- la Santa Chiesa, sotto le sue ali
- Carlo Magno 37, vincendo, la soccorse.
- Omai puoi giudicar di quei cotali 38
- ch’io accusai di sopra e di lor falli,
- che son cagion di tutti vostri mali.
- L’uno al pubblico segno i gigli gialli
- oppone, e l’altro appropria quello a parte,
- sì ch’è forte a veder chi più si falli 39.
- Faccian li Ghibellin, faccian lor arte
- sott’ altro segno, ché mal segue quello
- sempre chi la giustizia e lui diparte;
- e non l’abbatta esto Carlo novello
- coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli
- ch’a più alto leon 40 trasser lo vello 41.
- Molte fïate già pianser li figli
- per la colpa del padre, e non si creda
- che Dio trasmuti l’armi per suoi gigli 42!
- Questa picciola stella 43 si correda
- d’i buoni spirti che son stati attivi
- perché onore e fama li succeda:
- e quando li disiri poggian quivi,
- sì disvïando, pur convien che i raggi
- del vero amore in sù poggin men vivi.
- Ma nel commensurar d’i nostri gaggi
- col merto è parte di nostra letizia,
- perché non li vedem minor né maggi 44.
- Quindi addolcisce la viva giustizia
- in noi l’affetto sì, che non si puote
- torcer già mai ad alcuna nequizia 45.
- Diverse voci fanno dolci note;
- così diversi scanni in nostra vita
- rendon dolce armonia tra queste rote.
- E dentro a la presente margarita 46
- luce la luce di Romeo, di cui
- fu l’ovra grande e bella mal gradita 47.
- Ma i Provenzai 48 che fecer contra lui
- non hanno riso 49; e però mal cammina
- qual si fa danno del ben fare altrui 50.
- Quattro figlie 51 ebbe, e ciascuna reina,
- Ramondo Beringhiere 52, e ciò li fece
- Romeo, persona umìle e peregrina 53.
- E poi il mosser le parole biece
- a dimandar ragione a questo giusto,
- che li assegnò sette e cinque per diece 54,
- indi partissi povero e vetusto;
- e se ’l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe
- mendicando sua vita a frusto a frusto,
- assai lo loda, e più lo loderebbe”.
- “Dopo che Costantino portò il simbolo
- dell’impero da occidente ad oriente, che
- seguì Enea, colui il quale sposò Lavinia,
- più di due secoli l’aquila rimase in Oriente,
- a Bisanzio, vicino a quei monti da cui
- [con Enea] si era mossa in precedenza;
- e sotto il comando dei vari imperatori
- governò il mondo passando da uno all’altro
- e, così cambiando, giunse fino a me.
- Fui imperatore nel mondo e sono Giustiniano,
- che, per voler dello Spirito Santo che provo,
- dalle leggi romane tolsi ciò che era superfluo.
- E prima che mi dedicassi all’opera legislativa,
- credevo che Cristo fosse in una sola natura,
- ed ero contento in questa fede;
- ma grazie al benedetto Agapito, che fu papa,
- riuscii a portarmi verso la fede corretta e pura
- grazie alle sue parole.
- Io gli credetti, e quella che era sua fede,
- qui io lo vedo bene, come tu sai
- che in ogni posizione esiste il vero ed il falso.
- Non appena camminai in accordo con Dio,
- ad Egli piacque aiutarmi nel mio importante
- lavoro, e mi dedicai totalmente ad esso;
- e al mio Belisario affidai l’esercito, e fu aiutato
- dal cielo a tal punto che si capiva che
- io mi dovessi dedicare solo all’opera legislativa.
- Così termina la risposta alla prima domanda,
- ma la sua natura mi costringe
- ad aggiungere alcune precisazioni,
- affinchè tu veda con quanta ragione si
- muovano contro il simbolo imperiale
- sia i ghibellini sia i guelfi.
- Guarda quanta virtù l’ha resa degna
- di reverenza, cominciò infatto nel momento
- in cui Pallante morì per dare il regno ad Enea.
- Tu sai che l’aquila fissò la sua prima dimora
- in Albalonga, per oltre tre secoli, fino a che
- gli Orazi e i Curiazi lottarono per il potere.
- E sai che fece [l’aquila] nel periodo dei sette re,
- sottomettendo i popoli confinanti, dal ratto
- delle Sabine al suicidio di Lucrezia.
- Sai che fece [l’aquila], portata dai valorosi
- condottieri romani, contro Brenno, contro Pirro,
- contro altre monarchie e repubbliche,
- tra cui Torquato e Quinzio (chiamato Cincinnato
- per via dei capelli) i Deci e i Fabi
- ebbero la fama che qui giustamente onoro.
- L’aquila sconfisse l’orgoglio di Cartagine
- che seguendo Annibale attraversarono
- le Alpi, da cui tu, o Po, scendi.
- Sotto questo segno trionfarono, giovani,
- Scipione e Pompeo, e l’aquila fu grave
- per Fiesole, dove tu sei nato.
- Poi, avvicinandosi il momento in cui il cielo
- volle riportare il mondo al suo sereno ordine,
- Cesare per volere di Roma prese l’aquila.
- E quello che l’aquila fece dal Varo al Reno,
- vide l’Isère e la Senna ed ogni valle
- in cui scorrono gli affluenti del Rodano.
- Quello che fece l’aquila dopo che passò
- Ravenna e attraversò il Rubicone,
- fu così rapido che nessuno potrebbe dire.
- L’aquila guidò l’esercito verso la Spagna,
- poi verso Durazzo, sconfisse Pompeo a Farsalo,
- così che se ne sentì l’effetto fino in Egitto.
- L’aquila rivide Antandro e il Simoenta,
- da dove salpò Enea e là dove è la tomba
- di Ettore; e dopo riprese il volo, purtroppo per Tolomeo.
- Dall’Egitto arrivò in un lampo a Giuba;
- da dove, poi, tornò in occidente, in Spagna,
- dove sentiva la tromba di guerra di Pompeo.
- Di quello che l’aquila fece con Ottaviano Augusto,
- nell’Inferno è attestato da Bruto e Cassio,
- e Modena e Perugia se ne dolsero.
- Ne piange ancora la dolente Cleopatra,
- che, scappando dall’aquila, si tolse la vita
- in modo repentina ed atroce con un aspide.
- Con Ottaviano giunse fino al mar Rosso,
- con lui l’aquila portò la pace nel mondo
- chiudendo le porte del tempio di Giano.
- Ma tutte le imprese che l’aquila mi fece dire
- che aveva fatto e che avrebbe fatto in futuro
- per il regno mortale che soggiace a Dio,
- diventano una cosa piccola e sono senza gloria,
- se si pensa a cosa fece con il terzo Cesare,
- riflettendo con animo privo di pregiudizi;
- perchè la vera giustizia che mi ispira,
- concedette all’aquila, sotto l’impero di Tiberio,
- la gloria di soddisfare la giusta ira di Dio.
- Ed ora tu ammira quello che ti spiego:
- dopo l’aquila con Tito corse per vendicare
- il peccato antico della crocifissione di Cristo.
- E quando i Longobardi attaccarono
- la Chiesa, Carlo Magno le venne in aiuto
- proteggendola sotto le sue ali.
- Ormai puoi giudicare coloro i quali
- io già accusai prima e i loro sbagli,
- che sono il motivi di tutti i vostri mali.
- I guelfi al segno dell’Impero opponevano il giglio
- giallo, gli altri si appropiano del segno come fosse
- loro, così che è difficile capire chi più sbaglia.
- I ghibellini facciano tutto ciò sotto un altro
- simbolo, poichè non può esserne seguace
- chi divide la giustizia dell’impero;
- e non lo potrà abbattere Carlo II d’Angiò
- con i suoi guelfi, ma abbia timore degli artigli
- che al più forte leone strapparono il pelo.
- Molte volte già piansero i figli
- per le colpe de padre, e non si creda che Dio
- cambi il suo simbolo con i tuoi gigli!
- Questa piccola stella di Mercurio si orna
- di buoni spiriti che sono stati attivi
- perché fama e onori li seguano:
- e quando i desideri incitano alle cose terrene,
- allontanandoci [dal vero bene], è giusto
- che l’amore per le cose divine sia meno intenso.
- Ma quando equipariamo i nostri premi
- con il merito, perchè non li vediamo né maggiori
- né minori, cio è parte della nostra beatitudine,
- quindi la giustizia divina addolcisce
- i nostri sentimenti, così che
- non si può mai rivolgerli ad alcun male.
- Diverse voci producono armoniose melodie;
- così i diversi gradi di beatitudine
- producono armonia tra gli spiriti di questi cieli.
- E nel cielo di Mercurio splende
- l’anima di Romeo, la cui opera fu bella,
- importante e non ricompensata giustamente.
- Ma i cortigiani che agirono contro di lui
- poi non risero; e perciò percorre una strada
- cattiva chi ritiene un danno il fare del bene agli altri.
- Raimondo Berengario ebbe quattro figlie,
- ciascuna regina, e tutto ciò lo fece
- Romeo, persona umile e pellegrina.
- E poi gli movvero accuse calunniose
- e chiesero a quest’onesto di render conto,
- lui che riuscì ad aumentare il patrimonio della contea,
- dalla Provenza se ne partì povero e vecchio;
- e se il mondo sapesse la forza che ebbe
- nel mendicare il pane tozzo a tozzo,
- lo loderebbe ancora di più di quanto lo loda”.
1 Costantin: Costantino I (274-337 d.C.) imperatore dal 306 ricordato, oltre che per una consistente riforma dell’amministrazione e dell’esercito, per aver spostato la capitale dell’Impero a Bisanzio (poi detta Costantinopoli) e per l’Editto di Milano (313 d.C.) che sancì la libertà religiosa e favori la diffusione del Cristianesimo.
2 contr’al corso del ciel: il corso ed il movimento normale del cielo è da est a ovest; in questo caso invece il potere imperiale di sposta da Roma, ovest, a Bisanzio, est.
3 lì: in Oriente.
4 Iustiniano: Giustinano (482-565 d.C.) imperatore romano d’Oriente dal 527; la sua importanza, oltre che per un periodo di prosperità per l’Impero, anche per la compilazione del Corpus Iuris Civilis, diffuso a partire dal 535 e che riordinò l’insieme di legislazioni dell’Impero. Il Corpus di Giustiniano costuisce a tutt’oggi la base del diritto civile.
5 trassi il troppo e ‘l vano: Giustiniano nel suo Corpus tolse quanto vi era di superato della legislazione romana.
6 una natura in Cristo esser, non piùe, | credea, e di tal fede era contento: si è creduto che Giustiniano avesse aderito all’eresia monofisita che sosteneva che Cristo avesse solo la natura divina, in quanto quella umana si annullava nel momento in cui si univa a quella divina.
7 Agapito: papa Agapito I, avrebbe riportato all’ortossia cristiana l’imperatore Giustiniano allontanandolo dall’eresia monofisita. Gli studiosi concordano nell’individuare nel Tresor di Brunetto Latini la fonte di questi passi, non priva di errori.
8 Belisar: Belisario fu uno dei generali dell’esercito di Giustiniano, che portò alla vittoria l’esercito imperiale contro i Goti, i Vandali ed i Persiani. Il possessivo “mio” ha valore affettivo, quasi a significare che Dante non fosse a conoscenza dei torti subiti dal generale da parte dell’imperatore (secondo un’altra ipotesi, l’aggettivo sarebbe invece da intendersi come un pentimento postumo di Giustiniano per il suo atteggiamento).
9 alcuna giunta: parte da questa volontà di Giustiniano di precisare la propria condotta la storia dell’aquila imperiale (vv. 37-96).
10 l’ha fatto: il complemento oggetto è appunto l’aquila, simbolo dell’Impero.
11 Pallante: Pallante, figlio di Evandro, si alleò con Enea e morì combattendo contro Turno; viene identificato qui come il primo caduto per il trionfo del futuro impero.
12 i tre a’ tre: riferimento allo scontro tra i tre fratelli Orazi (che rappresentavano Roma) e i tre Curiazi (che difendevano Albalonga). Il mito è emblematico del passaggio di potere da Albalonga a Roma.
13 Terzina che sintetizza alcune vicende mitologiche della storia di Roma: dal “ratto delle Sabine” sotto il rengo di Romolo alla cacciata di Tarquinio il Superbo, il cui figlio Sesto Tarquinio aveva disonorato Lucrezia, una nobildonna romana.
14 Brenno: Brenno era il capo militare dei Galli che saccheggiò Roma nel 390 a.C.; fu cacciato da Furio Camillo.
15 Pirro: re dell’Epiro che aiutò la città di Taranto in guerra contro Roma tra il 280 e il 275 a.C.
16 Quinzio: Lucio Quinzio Cincinnato, vincitore degli Equi, e celebre per esser tornato a coltivare i propri campi dopo aver assunto la carica di dictator (“dittatore”) per esigenze belliche. Cincinnatus significa appunto “riccioluto”.
17 Deci: cognomen di due condottieri romani, padre e figlio, che sconfissero i Latini ed i Sanniti, morendo entrambi in battaglia.
18 Arabi: con un evidente anacronismo, dovuto anche a ragioni di rima, Dante chiama “arabi” i Cartaginesi (contro cui Roma condusse tre cicli di guerre tra 264-241 a.C., 218-202 a.C. e 149-146 a.C.). Le guerre puniche furono fondamentali, tra secondo e primo secolo avanti Cristo, per l’espansione di Roma nel Mediterraneo, e per gettare le basi dell’Impero romano. Annibale (v. 50) è il grande condottiero (247-183 a.C.) che durante la seconda guerra punica mise in crisi l’esercito romano (battaglia di Canne, 216 a.C.), entrando in Italia dalle Alpi.
19 sotto ‘l quale tu nascesti: Firenze, città in cui nacque Dante.
20 Giustiniano ricorda le azioni politico-militari di Cornelio Scipione, detto l’Africano, e di Gneo Pompeo; ad essi è attribuita la distruzione di Fiesole (un colle a circa sei chilometri a nord di Firenze) durante la guerra contro Catilina e il suo tentativo di colpo di stato.
21 Viene così introdotta la figura di Giulio Cesare, considerato il fondatore di un Impero retto ed unificato da un unico monarca; il sogno politico di Dante si spiega in un’ottica provvidenziale: la pace universale è la condizione per l’avvento e l’affermazione del Cristianesimo.
22 In questa terzina sono elencate le imprese in Gallia di Cesare, attraverso la citazione di fiumi affluenti del Rodano (v. 60), che scorre appunto in quei territori.
23 Prosegue il racconto delle imprese di Cesare: il potere imperiale passa rapidissimamente da Ravenna (sede del protettorato di Giustiniano in Italia durante la cosiddetta “guerra gotica” dal 535 al 553 a.C.) al Rubicone, il fiume che scorre nei pressi di Forlì e il cui attraversamento da parte di Cesare nel 50 a.C. segnò lo scoppio della guerra civile.
24 sì ch’al Nil caldo si sentì duolo: Gneo Pompeo, sconfitto nella celebre battaglia di Farsàlo in Tessaglia (48 a.C.), fuggì in Egitto, dove fu ucciso a tradimento da Tolomeo
25 là dov’ Ettore si cuba: secondo la Pharsalia di Lucano (libro IX, vv. 950 ss.) Cesare dopo aver sconfitto Pompeo volle visitare i luoghi delle rovine di Troia (Antandro è il porto da cui salpò Enea fuggendo dalla città, mentre il Simoenta è un fiume vicino alla città), e la tomba di Ettore. In tal senso, l’aquila imperiale, con Cesare tornò sui luoghi da cui era partita secoli addietro.
26 Tolomeo poscia si scosse: Dante allude qui alla deposizione di Tolomeo in favore di Cleopatra (69-30 a.C.).
27 Iuba: Giuba, re della Mauritiana e sostenitore di Pompeo, venne deposto dopo la battaglia di Tapso (46 a.C.).
28 pompeana tuba: la battaglia della Munda (45 a.C.) fu l’ultimo tra l’esercito cesariano e gli ultimi sostenitori di Pompeo, e chiuse di fatto la fase delle guerre civili a Roma.
29 Baiulo: dal latino baiulus, “portatore, reggitore”; è un latinismo che Dante usa per indicare chi, come gli imperatori, saranno i portatori dell’aquila, simbolo dell’impero universale. Dopo Cesare, il compito tocca ad Ottaviano (63 a.C.-14 d.C.), con cui Roma diventa a tutti gli effetti un principato monarchico.
30 latra: il verbo, anche se nell’ultimo canto dell’Inferno Bruto “non fa motto” (Inferno XXIV, vv. 64-67) potrebbe alludere alle grida del dannato per la punizione divina (Bruto e Cassio, i cesaricidi delle Idi di marzo, sono nella Caina insieme con Giuda, traditore di Cristo). In tal senso, queste grida attestano e rendono esplicito il percorso necessario ed inarrestabile del potere imperiale.
31 Ottaviano è considerato il secondo imperatore dopo Cesare; le sue imprese sono attestate dalla presenza negli Inferi di Bruto e Cassio (puniti in quanto traditori dell’Impero) e dalla distruzione di Modena (dove fu sconfitto Marco Antonio) e di Perugia (saccheggiata da Ottaviano).
32 Cleopatra si fece mordere da un aspide dopo la sconfitta di Azio (31 a.C.) e la morte di Marco Antonio.
33 Ottaviano dopo aver sconfitto Cleopatra giunse fino al mar Rosso e dopo queste vittorie vennero chiuse le porte del tempio di Giano a significare che nell’impero non erano in corso guerre, ma si era in un periodo di pace. “Delubro” è termine latino proprio per indicare il santuario.
34 terzo Cesare: Tiberio (42 a.C. - 37 d.C.), successore di Ottaviano.
35 gloria di far vendetta a la sua ira: la giustizia divina, sotto il regno di Tiberio, fece sì che l’Impero diventasse lo strumento che, proprio condannando Gesù Cristo alla crocifissione, permise il riscatto dell’ira divina per il peccato originale di Adamo ed Eva. L’Impero si fa quindi strumento del progresso della storia dell’umanità, che ha il suo punto centrale - per il pensiero medievale - nella Redenzione cristiana.
36 la vendetta del peccato antico: Dante allude alla distruzione di Gerusalemme (70 d.C.) ad opera di Tito, considerata la giusta punizione contro il popolo ebraico.
37 Carlo Magno: Carlo Magno (742-814 d.C.), sovrano del Sacro Romano Impero, che combatté contro i Longobardi in Italia in difesa del Papato su queste vicende, Alessandro Manzoni ambienterà il suo Adelchi).
38 quei cotali: i guelfi e i ghibellini. Le terzine successive sono di ferma condanna per l’operato di entrambe le fazioni.
39 I guelfi, avendo come fulcro politico gli Angioini a Napoli, utilizzavano il giglio giallo dei francesi come loro emblema, mentre i ghibellini si erano appropriati del simbolo dell’impero stesso come fosse del loro stesso partito.
40 leon: l’immagine del leone vuole significare che l’impero riuscì senza alcun problema a fiaccare e sconfiggere signori molto più forti delle fazioni guelfe e dei ghibelline presenti in Italia.
41 In queste due terzine Giustiniano dice che nè i ghibellini nè i guelfi possono impossessarsi del simbolo dell'Impero in quanto in entrambi i casi la giustizia e la rettitudine morale non sono le finalità del potere e non sono quindi degni di poter conservare questo simbolo.
42 Giustiniano vuole dire con questa terzina in maniera chiara e netta che i diritti dell’impero non passeranno alla casata d’Angiò.
43 picciola stella: Mercurio, nel cui cielo ci si trova in questo canto; qui sono presenti gli spiriti che operarono per la gloria terrena e il cui amore nei confronti di Dio è stato meno intenso, come spiegato alla terzina successiva (vv. 115-117).
44 La terzina vuol dire: se vediamo che il premio divino corrisponde esattamente (“non li vedem minor né maggi”). Insomma, Giustiniano spiega come la giustizia divina premia ciascuno secondo i propri meriti.
45 Giustiniano riprende le parole di Piccarda (nel terzo canto del Paradiso, vv. 70-87) in cui si dice che non esiste l’invidia per i gradi maggiori di beatitudine.
46 margarita: “perla, gemma” è un latinismo; in questo caso si riferisce al cielo di Mercurio.
47 Romeo di Villanova (Romieu di Villeneuve, 1170-1250), fu siniscalco (e cioè una sorta di primo ministro o alto funzionario di corte) presso il conte di Provenza Raimondo Berengario IV. Ottimo amministratore, Romeo fu vittima delle invidie di corte e, caduto in disgrazia presso Raimondo, fu costretto all’esilio. Evidente che Dante si riveda nella vicenda di Romeo, dopo la cacciata da Firenze.
48 Provenzai: i conti della Provenza che calunniarono Romeo di Villanova.
49 non hanno riso: la Provenza nel 1245 passò nelle mani della casata d’Angiò, con Carlo I.
50 e però mal cammina | qual si fa danno del ben fare altrui: è un riferimento alle persone invidiose.
51 quattro figlie: le quattro figlie di Raimondo che, grazie alle politiche matrimoniali di Romeo di Villanova, furono date in sposa a grandi famiglie regnanti d‘Europa.
52 Raimondo Berengario (1198-1245), conte di Provenza, figlio di Alfonso II d’Aragona, fu un sovrano lodato per le doti politiche, economiche e sociali. La sua corte fu anche un importante cenacolo culturale dell’epoca.
53 persona umile e peregrina: una leggenda medievale vuole che Romeo fosse giunto alla corte di Raimondo come un semplice pellegrino e, dopo l’ascesa e la caduta nella carriera di corte, se ne fosse andato tale e quale era arrivato.
54 assegnò sette a cinque per dieci: Romeo di Villanova accrebbe notevolmente il patrimonio del conte di Provenza (sette più cinque è maggiore di dieci).