Introduzione
Quella di Tancredi e Ghismunda è la prima novella del quarto giorno del Decameron di Giovanni Boccaccio. Il re Filostrato sceglie un tema cupo, ben più di quanto non siano stati quelli precedenti, come annota Fiammetta, la prima narratrice. Si parlerà infatti di amori dall’esito tragico, in perfetta coerenza con il nome stesso di Filostrato, cioè “vinto d’amore”. Anche la scelta del nome Fiammetta è significativo: nelle altre opere di Boccaccio, in particolare nell’Elegia di Madonna Fiammetta, il personaggio cela Maria d’Aquino, la donna amata in gioventù da Boccaccio, che la narratrice qui, a sua volta, in parte richiama.
Riassunto
Fiammetta esordisce esprimendo preoccupazione e disagio per il tema cupo scelto da Filostrato, cui però intende attenersi secondo le regole stabilite. Ella dunque narrerà una storia degna delle loro lacrime.
Tancredi, principe di Salerno, è un uomo di grande umanità e indole generosa, padre di una giovane, Ghismunda, che ama immensamente, tanto che dapprima ne ritarda il matrimonio e poi, quando ella è rimasta vedova, ne prolunga lo stato di solitudine, pur di averla vicina a sé. La ragazza, affezionata al padre ma infelice per l’isolamento, comincia a nutrire il desiderio di innamorarsi, disposta anche ad avere un amante. In tale disposizione d’animo, subisce il fascino di un valletto del padre, Guiscardo, di bell’aspetto e animo nobile, benché povero e di umili origini. A sua volta il giovane ha notato la bellezza e nobiltà di lei e la ama segretamente. Ghismunda a questo punto trova il modo di incontrare in modo discreto e privato il suo amato e lo avverte facendogli avere con l’astuzia un messaggio nascosto in una canna di bambù. La camera della giovane è collegata, mediante una scala segreta che tutti hanno dimenticato da tempo, ad una grotta scavata nel monte a ridosso del palazzo, in cui Guiscardo può calarsi con una corda per poi raggiungere le stanze dell’amata. I due giovani coronano così il loro amore e continuano a vedersi clandestinamente in diverse occasioni.
Un giorno però Tancredi, secondo un’abitudine consolidata, va a trovare Ghismunda nelle sue stanze e, non trovandola, si siede ad aspettarla dietro un baldacchino, dove si addormenta. Nel frattempo Ghismunda, che non sospetta della presenza del padre, riceve in segreto Guiscardo. Tancredi si sveglia quando ormai il loro legame è evidente. Il principe, pur consapevole di quello che sta succedendo e profondamente addolorato, decide di restare nascosto per evitare lo scandalo e avere il tempo di decidere a mente fredda quali provvedimenti prendere.
Il principe decide quindi di arrestare Guiscardo e rinchiuderlo in una stanza con delle guardie che lo sorvegliano giorno e notte; poi comunica a Ghismunda di aver scoperto la sua tresca con un uomo che, oltre a non essere suo marito, è soprattutto di condizione inferiore, il che costituisce un’onta inaccettabile per un uomo tanto nobile quanto Tancredi. Ghismunda, pur temendo che Guiscardo sia già morto, mantiene un atteggiamento decoroso e controllato. In un lungo e accorato discorso, in cui dimostra la sua nobiltà d’animo e la sua eloquenza, confessa al padre il suo amore per il valletto, esaltandone la virtù e la grandezza interiore, che nulla hanno a che fare con la classe sociale inferiore cui appartiene. Ghismunda per altro insiste sul fatto che tutti gli uomini nascono uguali e che spesso la sorte ne cambia all’improvviso la condizione. Infine, ella lascia intendere al padre che ha intenzione di porre fine alla propria vita, qualora l’amante muoia.
Tancredi, accecato dalla sua folle gelosia e incapace di credere alla minaccia della figlia, comprende comunque di non potersi vendicare sulla figlia e decide di concentrare la propria crudeltà sul giovane. Ordina perciò alle sue guardie di strangolare Guiscardo e portargliene il cuore. Egli poi lo fa consegnare in una coppa d’oro alla figlia, accompagnato da una frase che chiarisce l’intento vendicativo del gesto. Ma Ghismunda, che temendo il peggio aveva già distillato delle radici velenose, dopo aver a lungo elogiato il suo amato e pianto la sua morte, versa la fiala di veleno sul cuore dell’amato e da lì la beve. Sul letto accostando il cuore dell’amante al suo, aspetta la morte. Le ancelle di Ghismunda corrono quindi a informare dell’accaduto Tancredi, il quale corre al capezzale della figlia: ma è ormai troppo tardi. Ghismunda, come suo ultimo desiderio, chiede al padre di seppellirla al fianco di Guiscardo; poi spira. Tancredi, pentitosi troppo tardi della propria crudeltà, fa seppellire i due amanti nella stessa tomba.
Analisi e commento
L’elemento strutturale preminente nella novella è quello cortese, tipico della letteratura romanzesca e della poesia lirica, soprattutto occitanica. I valori di quella tradizione rappresentano per il mondo borghese cui appartiene Boccaccio la sfera ideale, sebbene per lo più non realistica, cui tendere come modello esistenziale e sociale. Gli aspetti più caratteristici riproposti nel racconto sono:
- il rapporto determinante tra esperienza amorosa ed elevazione morale, che contraddistingue entrambi gli amanti;
- la contrapposizione tra nobiltà di sangue e nobiltà d’animo, importantissima anche nell’orizzonte stilnovistico, ben noto all’autore;
- diversi spunti tematico-narrativi, come la presenza della caverna e le difficoltà anche fisiche che il giovane deve affrontare per incontrare l’amata - che ricordano la tradizione delle prove d’amore -, oppure il tema topico del cuore strappato all’amato e consegnato all’amante, o infine l’immagine di un amore che rende ciechi, tanto che i due protagonisti non si accorgono di essere osservati tanta è la gioia di essere insieme.
Appaiono invece tipicamente boccacciani sia l’importanza della Fortuna nelle sorti degli amanti, scoperti per caso, sia la caratterizzazione realistica del personaggio femminile: Ghismunda è infatti una donna forte, coraggiosa, dignitosa, intelligente, capace di prendere l’iniziativa e di trovare un modo per realizzare ciò che desidera, e soprattutto eloquente (cioè, una delle doti che maggiormente Boccaccio dimostra di apprezzare). Guiscardo, per quanto rimanga in secondo piano, è un personaggio affine, per nobiltà e virtù. In netto contrasto si trova invece Tancredi, figura complessa ed incoerente, che al confronto con la lineare coerenza degli affetti di Ghismunda, rivela un irrisolvibile contrasto interiore: egli è infatti un principe virtuoso ma un padre vendicativo, capace di ammirare la grandezza della figlia ma anche incline ad un amore morboso - e quasi incestuoso - nei suoi confronti. Questa contrapposizione riproduce la discrepanza tra due mondi, due concezioni diverse: l’apertura al nuovo e il senso del moderno della gioventù da una parte, l’aristocrazia chiusa e superba, incapace di cambiare se stessa, dall’altra.
Anche l’amore è presentato in termini molteplici e complessi: da una parte l’istinto naturale che non può essere arginato dall’esterno, cioè l’amore sensuale, alla cui forza non è possibile resistere. Dall’altra l’amore che non presta attenzione ai criteri economici e sociali, ma solo alla dimensione interiore e spirituale, dunque nobile e puro. Infine, l’amore tragico e contrastato di Ghismunda e l’alto valore retorico del suo discorso ricordano quelli di Francesca nel canto quinto dell’Inferno di Dante 1: in entrambi i casi si parla infatti di donne nobili e colte che hanno ceduto alla passione amorosa, benché - si noti bene - Boccaccio non condanni assolutamente la sua Ghismunda, come invece Dante fa con Paolo e Francesca.
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1 A questo proposito è da sottolineare anche come la frase pronunciata da Guiscardo, “Amor può troppo più che né voi né io possiamo” ricordi molto il famoso motto pronunciato da Francesca da Rimini nel canto quinto: “Amor, ch’a nullo amato amar perdona” (Inferno, V, v. 103).