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Manzoni, "Il Natale": le sonorità

Basta prendere l’inizio de Il Natale di Manzoni per rendersi conto della rottura con molti degli aspetti della tradizione lirica italiana. La similitudine che occupa la le prime quattro strofe può infatti ritenersi emblematica, sia per il piano formale che per quello dei contenuti, del tipo di lirica perseguito dall’autore. Significativo per la ricerca di varietà ritmica e di effetti di dissonanza è già lo schema metrico adottato: strofe di sette settenari, dei quali i primi quattro alternativamente sdruccioli liberi e piani rimati; il quinto e il sesto piani e rimati fra loro e l’ultimo tronco in rima con l’ultimo settenario della strofa successiva.

 

Innanzitutto nella prima strofa colpisce proprio l’effetto prodotto dal gioco degli accenti, posti in modo che le sillabe toniche producano un effetto fonosimbolico. Al settenario iniziale, con due accenti ritmici forti contigui ("quàl màsso") su vocale identica "a" e un terzo, ritardato, su parola sdrucciola ("vértice"), con effetto di rallentamento del ritmo, segue il secondo settenario in cui il ritmo è più incalzante e ribattuto, con tre accenti ritmici forti ("lùnga érta montàna") su vocali che vanno dal suono cupo al suono progressivamente più chiaro (u; e; a). Il terzo settenario presenta un nuovo rallentamento con due accenti ritmici in una stessa parola ("àbbandonàto") e sulla stessa vocale a del settenario iniziale, seguiti dal terzo su parola sdrucciola ("ìmpeto") e vocale anch’essa chiara, analoga a quella della parola sdrucciola del primo settenario. Nel quarto settenario si ritrova invece il ritmo ribattuto del secondo ("dì rumoròsa fràna"), anche se con un andamento diverso, per il fatto che l’accento qui è in prima sede e non in seconda, con un prevalere, tra l’altro, di vocali di suono scuro e allitterazioni in r, tese a riprodurre il suono aspro della "frana" indicata. Il quinto e sesto settenario ripresentano poi il ritmo incalzante e insistito del secondo e quarto, prodotto in questo caso dagli accenti ritmici sulle stesse vocali chiare a ed e quasi nelle stesse posizioni ("pér lo scheggiàto càlle"; "précipitàndo a vàlle"), oltre ad avere in rima baciata parole piane in paronomasia ("vàlle"; "càlle"). L’ultimo settenario, fortemente contrassegnato dalla parola tronca finale (stà), presenta in generale un ritmo assai scandito e fortemente rimarcato, quasi martellante, con le due vocali chiare a, all’inizio e alla fine, accentate ("bàtte"; "stà") cui si contrappone la sonorità scura della o posta in mezzo, rispetto alla sillabe con la a, in due sillabe, la prima della quali accentata ("fòndo"). In tutta la strofa, inoltre, predominano sonorità aspre e dure, con la frequenza delle "s", delle "r" e delle "t". Risulta così evidente la volontà di Manzoni di riprodurre il suono del precipitare della frana. Per ottenere questo, il poeta ricorre, in termini fonosimbolici, al gioco degli accenti e delle vocali, variamente intrecciati e caratterizzati da linee ritmiche e suoni contrastanti che evocano, in modo dissonante, il precipitare, inizialmente lento, del masso, il fragore che esso acquista nella discesa, la velocità progressiva, i rumori cupi, sordi, aspri che produce, il violento e definitivo arrestarsi una volta che abbia terminato la caduta. In questo modo l’idea della rovina e del precipitare, così evocativa sul piano etico e funzionale al tema affrontato, viene impressa nel lettore già al livello delle suggestioni emotive suscitate da sonorità disarmoniche, dure ed aspre.