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"Natale 1833" di Manzoni: analisi e commento
La prospettiva religiosa di Manzoni non deve essere però considerata come facilmente consolatoria. Se il Vangelo, come appunto dice l’osservazione sulla morale, offre la rivelazione dell’uomo all’uomo stesso e racchiude in sè il significato profondo del senso dell'esistenza umana, è pur vero però che non elimina le contraddizioni che sono presenti nella realtà e, soprattutto, non consente di togliere quell'ansia che qualsiasi individuo, caratterizzato da profondo sentire, vive nel momento in cui si rapporta esistenzialmente al contrasto tra essere e dover essere, che abbiamo visto caratterizzare la riflessione di Manzoni fin dal 1806. Un documento dell'inquieta religiosità manzoniana, un documento di come la scoperta di Dio non sia una banale o semplice consolazione, ma porta una serie di riflessioni e di fronti problematici a Manzoni, un documento che illustra come la fede in Manzoni non sia semplicemente un approdo, ma sia un problema continuamente e costantemente affrontato, è un inno sacro che Manzoni tentò di realizzare, ma che non portò mai alla conclusione, e che venne trovato nelle sue carte e quindi pubblicato postumo, Natale 1833, un abbozzo di inno sacro che fa riferimento alla morte della moglie, Enrichetta Blondel, avvenuta appunto il giorno di Natale del 1833. A un anno di distanza dalla morte, la riflessione sul dolore personale vissuto da Manzoni lo porta ad esprimersi in questi termini: “Sì che tu sei terribile! Sì che in quei lini ascoso, in braccio a quella vergine, sovra quel sen pietoso, come da sopra i turbini regni, o fanciul severo! É fato il tuo pensiero, è legge il tuo vagir.” L’immagine è quella della mangiatoia, del presepe, ma un presepio in cui all'apparenza di un'intimità serena e bonaria o quanto meno buonistica, in realtà vede in controluce l’immagine della terribilità di Dio. Quel bambino nella mangiatoia è terribile, quel bambino "in quei lini ascoso" è un "fanciul severo", il cui pensiero appunto è fato e il cui vagire è legge. E nella strofa suffessiva questa terribilità misteriosa di Dio si traduce in forme ancora più angosciose. "Vedi le nostre lagrime, intendi i nostri gridi, il voler nostro interroghi e a tuo voler decidi”. Il chiasmo tra i due aggettivi possessivi “voler nostro” “tuo voler”allude a questa sorte di incrocio tra la volontà umana e la volontà divina, un incrocio che si chiude nell'imperscrutabile e onnipotente decisione di Dio. “Mentre a stornare il fulmine trepido il prego ascende, sorda la folgor scende dove tu vuoi ferir.” Resta un mistero nella sua non risposta alla preghiera umana, un mistero di cui si crede all’amore ovviamente, ma un amore che mette a dura prova l'esperienza umana. La terza strofa infatti si apre con una forza avversativa: "Ma tu pur nasci a piangere". Il mistero del dolore è insito nella natura stessa di Cristo, è insito nella legge di Dio. E quel dolore incomprensibile che l'uomo vive è misteriosamente espressione del piano divino. “Ma da quel cor ferito sorgerà pur un gemito, un prego inesaudito”: Cristo stesso sulla croce sperimenterà la sofferenza della preghiera non ascoltata dal Padre. “E questa tua fra gli uomini unicamente amata” e qui si interrompe. Si interrompe per poi riprendere in una strofa che sarà poi l’ultima: ” Vezzi or ti fa: ti supplica suo pargolo, suo Dio”. Lo sguardo si è spostato sulla Vergine, si è spostato sulla Madonna, una madre che vezzeggia il bambino. “Ti stringe al cor, che attonito va ripetendo: è mio!”. Ebbene questa madre, dice il Manzoni, "Un dì con altro palpito, Un dì con altra fronte, Ti seguirà sul monte. E ti vedrà morir". Questo dolore, che è insito nel Cristo, che è insito in Dio, è una misteriosa legge d'amore che tocca anche colei che, suprema tra le creature, ha detto il suo sì definitivo a Dio, accettando di portare in grembo il figlio. E’ una parola potente quella che interrompe l’abbozzo "Onnipotente". L'onnipotenza di Dio si manifesta in maniera talmente imperscrutabile ed è un segno di tale contraddizione che, come sembra indicare la chiusura del testo, non resta che il silenzio. Alla luce di questo allora acquistano particolare significato le due citazioni che incorniciano il frammento: la prima, una citazione dal Vangelo di Luca, il capitolo 35 "Tuam ipsius animam pertransivit gladius". Simeone, alla Vergine che sta portando al tempio il bambino, Cristo, animato dallo Spirito Santo, dice alla Vergine “una spada attraverserà la tua stessa anima”. Ed è significativo che mentre il testo vangelico usa il futuro, pertransibit, qui Manzoni lo modifica in pertransivit, cioè “una spada ha attraversato il tuo cuore”. Manzoni si confonde in qualche modo nell’immagine della Vergine emblema della sofferenza umana, che è appunto misteriosamente segno dell’amore di Dio. L'altra citazione che chiude il passo è una citazione presa dall'Eneide di Virgilio, autore molto vicino alla sensibilità manzoniana. "Cecidere manus", caddero le mani, è tratta dal libro sesto, quando Virgilio narra di Dedalo che tentò più di una volta di effigiare la caduta del figlio e la sua morte, ma non ebbe la forza ed appunto “caddero le mani”. La contraddizione del Cristo, la contraddizione di Dio, la contraddizione della fede portano alla fine Manzoni al silenzio, al "cadere delle mani". E la vocazione al silenzio sarà infatti ciò che chiuderà l'esperienza creativa di Manzoni dopo il 1827.