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"Le ricordanze": testo e parafrasi

Parafrasi Analisi

Le ricordanze vengono composte nella natìa Recanati tra la fine di agosto e i primi giorni di settembre del 1829 (dal 26 agosto al 12 settembre, secondo le testimonianze). Il canto compare poi per la prima volta nell’edizioni Piatti (Firenze, 1831) dei CantiLe ricordanze svilluppano un tema caro a Leopardi, quello del confronto tra passato e presente, paragonando malinconicamente le illusioni della giovinezza (assai simili a quelle de La sera del dì di festa o di A Silvia) e l'amara disillusione attuale.

Metro: Canzone di sette strofe libere in endecasillabi sciolti.

  1. Vaghe stelle dell’Orsa 1, io non credea
  2. tornare ancor per uso a contemplarvi
  3. sul paterno giardino scintillanti,
  4. e ragionar con voi dalle finestre
  5. di questo albergo ove abitai fanciullo,
  6. e delle gioie mie vidi la fine.
  7. Quante immagini un tempo, e quante fole
  8. creommi nel pensier l’aspetto vostro
  9. e delle luci a voi compagne! allora
  10. che, tacito, seduto in verde zolla,
  11. delle sere io solea passar gran parte
  12. mirando il cielo, ed ascoltando il canto
  13. della rana rimota alla campagna!
  14. E la lucciola errava appo le siepi
  15. e in su l’aiuole, susurrando al vento
  16. i viali odorati, ed i cipressi
  17. lá nella selva 2; e sotto al patrio tetto
  18. sonavan voci alterne, e le tranquille
  19. opre de’ servi. E che pensieri immensi,
  20. che dolci sogni mi spirò la vista
  21. di quel lontano mar, quei monti azzurri 3,
  22. che di qua scopro, e che varcare un giorno
  23. io mi pensava, arcani mondi, arcana
  24. felicità fingendo 4 al viver mio!
  25. ignaro del mio fato, e quante volte
  26. questa mia vita dolorosa e nuda
  27. volentier con la morte avrei cangiato.
  28. Né mi diceva il cor che l’età verde
  29. sarei dannato a consumare in questo
  30. natio borgo selvaggio 5, intra una gente
  31. zotica, vil, cui nomi strani, e spesso
  32. argomento di riso e di trastullo
  33. son dottrina e saper; che m’odia e fugge,
  34. per invidia non giá, che non mi tiene
  35. maggior di sé, ma perché tale estima
  36. ch’io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
  37. a persona giammai non ne fo segno.
  38. Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
  39. senz’amor, senza vita; ed aspro a forza
  40. tra lo stuol de’ malevoli divengo:
  41. qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
  42. e sprezzator degli uomini mi rendo,
  43. per la greggia c’ho appresso: e intanto vola
  44. il caro tempo giovanil, piú caro
  45. che la fama e l’allor, piú che la pura
  46. luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
  47. senza un diletto, inutilmente, in questo
  48. soggiorno disumano, intra gli affanni,
  49. o dell’arida vita unico fiore.
  50. Viene il vento recando il suon dell’ora
  51. dalla torre del borgo. Era conforto
  52. questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
  53. quando fanciullo, nella buia stanza,
  54. per assidui terrori io vigilava,
  55. sospirando il mattin. Qui non è cosa
  56. ch’io vegga o senta, onde un’immagin dentro
  57. non torni, e un dolce rimembrar non sorga 6;
  58. dolce per sé; ma con dolor sottentra
  59. il pensier del presente, un van desio
  60. del passato, ancor tristo, e il dire: - Io fui 7. -
  61. Quella loggia colà, volta agli estremi
  62. raggi del dí; queste dipinte mura 8,
  63. quei figurati armenti, e il sol che nasce
  64. su romita campagna, agli ozi miei
  65. porser mille diletti allor che al fianco
  66. m’era, parlando, il mio possente errore 9
  67. sempre, ov’io fossi. In queste sale antiche,
  68. al chiaror delle nevi, intorno a queste
  69. ampie finestre sibilando il vento,
  70. rimbombaro i sollazzi e le festose
  71. mie voci al tempo che l’acerbo, indegno
  72. mistero delle cose a noi si mostra
  73. pien di dolcezza; indelibata 10, intera
  74. il garzoncel, come inesperto amante,
  75. la sua vita ingannevole vagheggia,
  76. e celeste beltà fingendo ammira.
  77. O speranze, speranze 11ameni inganni
  78. della mia prima età! sempre, parlando,
  79. ritorno a voi; ché, per andar di tempo,
  80. per variar d’affetti e di pensieri,
  81. obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,
  82. son la gloria e l’onor; diletti e beni
  83. mero desio; non ha la vita un frutto,
  84. inutile miseria. E sebben voti
  85. son gli anni miei, sebben deserto, oscuro
  86. il mio stato mortal, poco mi toglie
  87. la fortuna, ben veggo. Ahi! ma qualvolta
  88. a voi ripenso, o mie speranze antiche,
  89. ed a quel caro immaginar mio primo;
  90. indi riguardo il viver mio sí vile
  91. e sí dolente, e che la morte è quello
  92. che di cotanta speme oggi m’avanza. 12;
  93. sento serrarmi il cor, sento ch’al tutto
  94. consolarmi non so del mio destino.
  95. E quando pur questa invocata morte
  96. sarammi allato, e sarà giunto il fine
  97. della sventura mia; quando la terra
  98. mi fia straniera valle, e dal mio sguardo
  99. fuggirà l’avvenir; di voi per certo
  100. risovverrammi; e quell’imago ancora
  101. sospirar mi farà, farammi acerbo
  102. l’esser vissuto indarno, e la dolcezza
  103. del dì fatal tempererà d’affanno 13.
  104. E già nel primo giovanil tumulto
  105. di contenti, d’angosce e di desio 14,
  106. morte chiamai piú volte, e lungamente
  107. mi sedetti colà su la fontana 15
  108. pensoso di cessar dentro quell’acque
  109. la speme e il dolor mio 16. Poscia, per cieco
  110. malor, condotto della vita in forse,
  111. piansi la bella giovanezza, e il fiore
  112. de’ miei poveri dì, che sì per tempo
  113. cadeva: e spesso all’ore tarde, assiso
  114. sul conscio letto, dolorosamente
  115. alla fioca lucerna poetando,
  116. lamentai co’ silenzi e con la notte
  117. il fuggitivo spirto, ed a me stesso
  118. in sul languir cantai funereo canto.
  119. Chi rimembrar vi può senza sospiri,
  120. o primo entrar di giovinezza, o giorni
  121. vezzosi, inenarrabili, allor quando
  122. al rapito mortal primieramente
  123. sorridon le donzelle 17; a gara intorno
  124. ogni cosa sorride; invidia tace,
  125. non desta ancora ovver benigna; e quasi
  126. (inusitata maraviglia!) il mondo
  127. la destra soccorrevole gli porge,
  128. scusa gli errori suoi, festeggia il novo
  129. suo venir nella vita, ed inchinando
  130. mostra che per signor l’accolga e chiami 18?
  131. Fugaci giorni! a somigliar d’un lampo
  132. son dileguati. E qual mortale ignaro
  133. di sventura esser può, se a lui già scorsa
  134. quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
  135. se giovanezza, ahi giovanezza! è spenta?
  136. O Nerina 19! e di te forse non odo
  137. questi luoghi parlar? caduta forse
  138. dal mio pensier sei tu? Dove sei gita 20,
  139. che qui sola di te la ricordanza
  140. trovo, dolcezza mia? Piú non ti vede
  141. questa terra natal: quella finestra,
  142. ond’eri usata favellarmi, ed onde
  143. mesto riluce delle stelle il raggio,
  144. è deserta. Ove sei, che più non odo
  145. la tua voce sonar, siccome un giorno,
  146. quando soleva ogni lontano accento
  147. del labbro tuo, ch’a me giungesse, il volto
  148. scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
  149. furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
  150. il passar per la terra oggi è sortito,
  151. e l’abitar questi odorati colli.
  152. Ma rapida passasti, e come un sogno
  153. fu la tua vita. Ivi danzando, in fronte
  154. la gioia ti splendea, splendea negli occhi
  155. quel confidente immaginar, quel lume
  156. di gioventù, quando spegneali il fato,
  157. e giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
  158. l’antico amor. Se a feste anco talvolta,
  159. se a radunanze io movo, infra me stesso
  160. dico: - O Nerina, a radunanze, a feste
  161. tu non ti acconci più, tu più non movi. -
  162. Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
  163. van gli amanti recando alle fanciulle,
  164. dico: - Nerina mia, per te non torna
  165. primavera giammai, non torna amore. -
  166. Ogni giorno sereno, ogni fiorita
  167. piaggia ch’io miro, ogni goder ch’io sento,
  168. dico: - Nerina or piú non gode; i campi,
  169. l’aria non mira. - Ahi! tu passasti, eterno
  170. sospiro mio: passasti: e fia compagna
  171. d’ogni mio vago immaginar, di tutti
  172. i miei teneri sensi, i tristi e cari
  173. moti del cor, la rimembranza acerba.
  1. O mirabili stelle dell’Orsa, io non pensavo proprio
  2. che, come una volta, sarei tornato a contemplarvi
  3. splendenti sul giardino di casa mia,
  4. e che sarei tornato a disquisire con voi
  5. dalle finestre della casa dove vissi da fanciullo
  6. e dove vidi la fine della mia felicità.
  7. Un tempo, quante immagini e quante illusioni
  8. mi creò nella mente il vostro aspetto e le stelle
  9. vicine a voi! quando, silenzioso,
  10. seduto in mezzo a un prato verde,
  11. io ero solito passare gran parte delle mie serate
  12. contemplando il cielo, e porgendo orecchio
  13. al canto della rana lontana nei campi!
  14. E la lucciola gironzolava presso le siepi
  15. e per le aiuole, mentre i viali profumati
  16. sussurravano al vento, e i cipressi odoravano
  17. là nel boschetto; e sotto al tetto di casa
  18. risuonavano voci diverse, e si udivano i rumori
  19. del lavoro sereno dei servi. E quali pensieri
  20. sopraffini, che sogni lieti mi ispirò la vista
  21. del mare lontano, dei monti azzurri nell’orizzonte
  22. che vedo di qua, e che io mi illudevo di valicare
  23. un giorno, inventando mondi misteriosi
  24. una mitica felicità per la mia vita!
  25. Non consapevole del mio destino, e di quante
  26. volte avrei cambiato con la morte
  27. questa mia vita di dolore e di vuoto.
  28. Né il cuore mi confidava che sarei stato
  29. condannato a spendere la mia giovinezza
  30. in questo paesucolo selvaggio, in mezzo
  31. a zotici e villani, per cui istruzione e conoscenza
  32. sono parole senza senso e spesso argomento
  33. di risa e divertimento; gente che mi odia
  34. e mi scansa non certo per invidia, che non
  35. mi stima meglio di lei, ma perché pensa che
  36. io sia altezzoso nel mio intimo, anche se io
  37. non do mai segno a nessuno di questo al di fuori.
  38. Qui trascorro la mia vita, solo, dimenticato,
  39. senza donna e senza traccia di vita; e, in mezzo
  40. a chi mi vuol male, divento cattivo per forza:
  41. qui perdo la mia pietà e le mie virtù,
  42. e divento un misantropo, a causa
  43. del gregge umano che mi circonda; e intanto
  44. fugge l’amata stagione giovanile, che mi è più
  45. caro che la fama letteraria e la gloria poetica,
  46. più che la luce del giorno, e il respirare: mi sfuggi
  47. inutilmente, senza un piacere di ricompensa
  48. in questo borgo disumano, in mezzo alle ansie,
  49. o unico fiore della mia vita desertificata.
  50. Giunge il vento portando il suono della campana
  51. dalla torre di Recanati. Questo suono mi era
  52. di conforto, mi fa tornare in mente quando,
  53. durante le mie notte da fanciullo, nella stanza buia
  54. io restavo sveglio per continui sobbalzi di terrore,
  55. sperando che arrivasse il mattino. Qui non c’è
  56. nulla che io non veda o senta per cui non mi nasca
  57. un ricordo nell’animo, e un ricordo nella mente;
  58. dolce per sé; ma subentra con dolore il pensiero
  59. del presente, un inutile rimpianto del passato,
  60. benché triste, e l’ammettere: “Io sono stato”.
  61. Quella rocca laggiù, rivolta ai raggi
  62. del tramonto; queste mura colorate a tempera,
  63. quelle greggi dipinte, e il sole che si alza
  64. su una campagna sperdutaoffrirono ai miei ozi
  65. mille allettamenti, mentre c’era sempre al mio fianco,
  66. ovunque io fossi, e parlava,
  67. la mia grande illusione. In questi antichi saloni,
  68. durante l’inverno, mentre il vento sibilava
  69. intorno a queste grandi finestrone,
  70. rimbombarono i rumori di festa e la mia voce allegra
  71. nell’età in cui l’acerba e spregevole
  72. realtà delle cose si mostra a noi come
  73. piena di dolcezza; il ragazzino, come un amante
  74. inesperto, si immagina tutta la sua vita, non ancora
  75. assaporata e che poi si rivelerà traditrice, e
  76. contempla, creandosela da sé, una bellezza celeste.
  77. O speranze, speranze; dilettevoli inganni
  78. della mia giovinezza! sempre ritorno a voi,
  79. parlando; poiché, per quanto passi il tempo
  80. o per quanto mutino pensieri e affetti,
  81. non riesco a dimenticarvi. Mi spiego: la gloria
  82. e gli onori sono fantasmi, i piaceri e le ricchezze
  83. un puro desiderio; la vita, inutile miseria, non
  84. ha alcun frutto. E sebbene i miei anni siano
  85. vuoti, sebbene la mia condizione di vita sia
  86. misera e sventurata, mi accorgo che la sorte
  87. poco mi sottrae. Ahi! Ma ogni volta che
  88. ripenso a voi, o mie illusioni giovanili,
  89. e a quel mio amato fantasticare adolescenziale;
  90. e allora riconsidero la mia vita così ignobile
  91. e così sofferente, e penso che, di tante speranza
  92. che avevo, oggi mi resta solo la morte;
  93. sento stringermi il cuore, capisco che non so
  94. consolarmi del tutto del mio destino.
  95. E tuttavia quando l’invocata fine della vita
  96. mi sarà a fianco, e sarà giunto il capolinea della
  97. mia sciagure; e quando la terra sarà per me
  98. una landa straniera, e quando dai miei occhi
  99. fuggirà la luce del futuro; di certo
  100. mi ricorderò di voi; e il ricordo di quell’emozione
  101. mi farà sospirare, e mi renderà tristissimo
  102. l’aver vissuto senza uno scopo, e la dolcezza
  103. del momento fatal si colorerà d’affanno.
  104. E già nel momento della prima, giovanile
  105. agitazione di gioie, angosce e desideri,
  106. io invocai la morte più volte, e a lungo stetti seduto
  107. là, presso una vasca del giardino,
  108. ragionando sul far terminare la mia speranza
  109. e il mio dolore annegandomi. Poi, per un male
  110. misterioso, condotto quasi in punto di morte,
  111. lamentai la perdita della bella giovinezza, e il fiore
  112. dei miei giorni sfortunati, che così precocemente
  113. sfioriva: e sovente a notte fonda, mentr’ero
  114. a letto del tutto sveglio, poetando dolorosamente
  115. in una fioca luce di lampada, mi rammaricavo
  116. della vita che fuggiva con i silenzi
  117. e con la notte, e nella mia agonia 
  118. intonavo a me stesso un canto funebre.
  119. O primo ingresso nella giovinezza, o giorni felici,
  120. indescrivibili, quando all’uomo stupefatto
  121. per la prima volta sorridono le fanciulle,
  122. chi può ricordarvi senza un sospiro? Intorno
  123. ogni cosa ride a gara tra sé e le altre; l’invidia
  124. è silenziosa, non è sveglia
  125. oppure è benevola, e quasi (evento davvero rarissimo!)
  126. il mondo porge il proprio aiuto
  127. soccorrevole al giovane,
  128. perdona i suoi errori, festeggia la sua prima
  129. entrata nella vita, e con un inchino
  130. indica di riconoscerlo come proprio signore.
  131. Giorni che fuggono in un attimo! Si son dileguati
  132. come un lampo. E quale uomo mortale può essere
  133. ignaro della sventura, se per lui è già trascorsa
  134. la bella stagione della vita, se il suo buon tempo di
  135. giovinezza (ahi, la giovinezza!) è spento?
  136. O Nerina! Forse che non sento questi luoghi
  137. parlare di te? Sei forse cancellata
  138. dal mio ricordo? Dove sei andata,
  139. o dolcezza mia, che qui ormai trovo solo
  140. il ricordo di te? La terra dove sei nata
  141. non ti vede più: la finestra, da cui
  142. eri solita colloquiare con me, e da cui riluce
  143. triste il raggio delle stelle,
  144. è vuota. Dove sei, che non sento più
  145. risuonar la tua voce, come una volta,
  146. quando ogni sillaba che le tue labbra pronunciavano
  147. e che giungesse a me era solita farmi scolorare
  148. il volto? Era un altro mondo. Furono
  149. i tuoi giorni, mio dolce amore. Sei morta. Oggi
  150. tocca ad altri il transito sulla terra,
  151. ed abitare questi colli che spargono profumi.
  152. Ma sei passata rapida, e la tua vita
  153. fu come un sogno. Qui, mentre danzavi, la gioia
  154. ti splendeva sulla fronte, e negli occhi riluceva
  155. quella speranza fiduciosa, quella luminosità
  156. della gioventù, quando la spense il destino,
  157. e tu giacevi morta. Ahi Nerina! Nel mio cuore
  158. regna ancora l’antico amore. Se talvolta mi reco
  159. a feste e a luoghi di ritrovo, tra me e me
  160. dico: “O Nerina, tu non ti prepari più
  161. per questi momenti, tu non ti muovi più!”.
  162. Se ritorna maggio, e gli innamorati portano
  163. alle fanciulle rami fioriti e canti,
  164. io dico: “O Nerina mia, per te non torna
  165. la primavera, e nemmeno l’amore”.
  166. Ogni giorno sereno, ogni prato fiorito
  167. ch’io ammiro, ogni piacere che io sento,
  168. dico: “Nerina non prova più queste gioie:
  169. non può vedere i campi e il cielo”. Ahi! tu sei morta,
  170. mio sospiro eterno, sei morta; e l’amaro
  171. ricordo sarà compagno d’ogni mio pensier lieto,
  172. di tutti i miei teneri sentimenti,
  173. dei tristi e cari moti del mio cuore.

1 stelle dell’Orsa: la costellazione dell’Orsa maggiore.

2 là nella selva: il rimando autobiografico è al Monte Tabor di Recanati, sul cui “ermo colle” è “ambientato” anche L’infinito; ne Il passero solitario, invece, è il campanile della chiesa di Sant’Agostino a costituire il punto da cui il poeta sviluppa la propria amara riflessione sull’esistenza.

3 quel lontano mar, quei monti azzurri: i riferimenti geografici sono rispettivamente all’Adriatico e ai monti Appennini, cui Leopardi aggiunge la nota nostalgica del ricordo di un mondo idillico e protetto che ormai è svanito e sopravvive solo nella mente del poeta.

4 arcana felicità fingendo: è il tema, carissimo a Leopardi, delle illusioni, con cui si nutrono, soprattutto nella nostra “età verde” (v. 28) speranze ed aspettative per il futuro, e con cui si crea e si inventa la vita che si vorrebbe vivere. Si ricordi poi l’uso del verbo “fingere ne L’infinito, con il significato di “immaginare con le risorse della fantasia” (L’infinito, v. 7: “io nel pensier mi fingo”).

5 natio borgo selvaggio: espressione divenuta celebre in cui Leopardi condensa l’astio per il paese natale; in una lettera all’amico Francesco Puccinotti del 19 maggio 1829 scriveva: “Non so se mi riconoscerai più: non mi riconosco io stesso, non son più io; la mala salute e la tristezza di questo soggiorno orrendo, mi hanno finito”.

6 Quello della dolcezza della “ricordanza è un tema che Leopardi affronta anche nello Zibaldone (23 luglio 1827).

7 Io fui: la constatazione, icastica e secca, sta a significare che il poeta si accorge che tutte le speranze e le illusioni giovanili, per quanto forti ed appassionate, si sono inaridite dopo la giovinezza a causa di tutte le amare sofferenze cui egli è andato incontro; in tal senso, la loro “ricordanza” non può che essere fonte di nuovo tormento interiore.

8 dipinte mura: Leopardi, circondato dai ricordi del passato, allude qui ai quadri e alle pitture a tempera che ornavano le stanze del “patrio tetto” (v. 17), e cioè del palazzo di Recanati: questi diventano un simbolo esplicito delle proiezioni illusorie della sua gioventù.

9 il mio possente errore: ovvero, quello di credere che le proprie illusioni giovanili di felicità fossero vere e realizzabili.

10 indelibata: l’aggettivo, di sapore alquanto letterario, indica la vita “non ancora gustata” e si inserisce dunque pienamente nella visione del mondo leopardiana, per cui il “garzoncel” (v. 74), ancora inesperto della vita, si trova ancora nella ingannevole (ma piacevolissima) età delle illusioni. Al “garzoncel” che, ignaro della vita le si accosta speranzoso e cedendo spesso alla propria “immaginazione”, sono dedicate anche alcune pagine dello Zibaldone (29 giugno 1822).

11 Nello Zibaldone si precisa: “La somma felicità possibile dell’uomo in questo mondo, è quando egli vive quietamente nel suo stato con una speranza riposata e certa di un avvenire migliore, che per esser certa, e lo stato in cui vive, buono, non lo inquieti e non lo turbi coll’impazienza di goder di questo immaginato bellissimo futuro”.

12 che di cotanta speme oggi m’avanza: esplicito il rimando metaletterario alla canzone petrarchesca Che debb'io far? Che mi consigli, Amor? (Canzoniere, CCLXVIII, 32: “Questo m’avanza di cotanta speme”), già noto a Foscolo nel celebre sonetto In morte del fratello Giovanni, v. 11 (“Questo di tanta speme oggi mi resta”).

13 Leopardi intende che il ricordo delle illusioni giovanili, inaridite dal tempo trascorso senza uno scopo e dalla sofferenze dell’età matura, gli renderanno in parte amaro anche la dolcezza del “dì fatal” della morte, intesa come cessazione del proprio dolore.

14 Sul rapporto tra desideri e angosce, fino alla tentazione del suicidio, Leopardi scrive nella Zibaldone (18 luglio 1823): “Il giovane moltissimo desidera e nulla ha, neppure come distrarre, divertire, ingannare il suo desiderio, e occupare la sua forza vitale, adoperarla, sfogarla. Quindi più giovani suicidi oggidì che fra gli antichi nmonpur giovani solamente, ma giovani e vecchi insieme”.

15 la fontana: si riferisce ad una vasca di villa Leopardi per la raccolta delle acque pluviali, e che anche nello Zibaldone è ricordata come possibile risorsa per un gesto estremo da parte dello scrittore.

16 I due termini, in rapporto ossimorico tra loro, sono inscindibilmente legati per Leopardi: la speranza suscitata dall’apertura alla vita va di pari passo con il “dolor” di chi è consapevole d’essere escluso dalla felicità autentica.

17 Costruzione vv. 119-124: “O primo entrar di giovinezza, o giorni vezzosi, inenarrabili, allor quando le donzelle primieramente sorridono al rapito mortal, chi rimembrar vi può senza sospiri?”. L’apertura della strofe si regge così su questa articolata interrogativa retorica, che prosegue anche nei versi successivi, e che riprende il tema della perdita irrecuperabile delle illusioni giovanili, e dell’acerbità del loro ricordo.

18 mostra che per signor l’accolga e chiami: nel “primo entrar di giovinezza” (v. 120), il mondo non solo sembra offrire un sostegno attivo all’uomo, ma, in un’atmosfera di gioia e felicità, addirittura lo riconosce come proprio signore (“per signor”, v. 130).

19 Nerina: nome poetico dietro cui probabilmente si cela Maria Belardinelli, giovane recanatese morta a ventisette anni nel 1827. Qui, come la Silvia del componimento omonimo, la figura femminile è una trasparente incarnazione della gioventù e della speranza.

20 sei gita: arcaismo per “sei andata”.