Nel capitolo V del Principe (In che modo siano da governare le città o Principati, quali, prima che occupati fussino, vivevano con le loro leggi), Machiavelli si sofferma ad analizzare in che modo un regnante possa riuscire a governare i territori che annette al proprio dominio originario, e con essi i loro abitanti, presentando così la contrapposizione tra principato e repubblica. Questo problema si pone a quei Signori - tra cui Machiavelli desidererebbe annoverare al più presto anche Lorenzo de'Medici - che decidono di aggiungere ai territori ereditati nuove conquiste.
Teorizzando infatti che un principe debba impegnarsi continuamente ad ampliare i propri domini, Machiavelli s’interroga in questo capitolo sul miglior comportamento da assumere nei confronti dei nuovi cittadini che si vengono ad includere sotto il proprio dominio, figure probabilmente abituate a vivere secondo le proprie leggi o in totale libertà. Questo tipo di governo, appoggiato e consigliato dal Machiavelli, è il principato misto, analizzato dall’autore assieme agli altri due principati possibili (rispettivamente, ereditario e nuovo), nei capitoli che vanno dal primo al quarto. L’autore dunque, espone le tre modalità per mezzo delle quali diviene possibile mantenere queste nuove annessioni: abbattere i loro lineamenti politici, se necessario anche in modo violento, andare ad abitarvi, lasciar vivere gli abitanti di questi luoghi secondo le loro leggi, istituendovi però un’oligarchia fedele al principe:
Quando quelli Stati che si acquistano, come è detto, sono consueti a vivere con le loro leggi e in libertà, a volergli tenere ci sono tre modi. Il primo è rovinargli. L’altro andarvi ad abitare personalmente. Il terzo lasciargli vivere con le sue leggi, tirandone una pensione, e creandovi dentro uno Stato di pochi, che te lo conservino amico. Perchè essendo quello Stato creato da quel Principe, sa che non può stare senza l’amicizia e potenza sua, e ha da fare il tutto per mantenerlo; e più facilmente si tiene una città usa a vivere libera con il mezzo de’ suoi cittadini, che in alcuno altro modo, volendola preservare.
Machiavelli, sempre attento all’approccio empirico, porta ad esempio di queste sue teorie le vicende storiche che interessarono Spartani e Romani, così da dimostrare come sia necessario, a seguito della conquista, distruggere una città che era libera prima del proprio avvento:
Sonoci, per esempio, gli Spartani, ed i Romani. Gli Spartani tennero Atene e Tebe, creandovi uno Stato di pochi: nientedimeno le perderono. I Romani per tenere Capua, Cartagine, e Numanzia, le disfecero, e non le perderono. [...] E chi diviene padrone di una città consueta a vivere libera, e non la disfaccia, aspetti di essere disfatto da quella.
Con quest'opera a lui dedicata, Machiavelli spera dunque di far breccia nel cuore del Duca di Urbino e di essere riammesso a corte, ma contemporaneamente lo sprona a guardare verso nuovi orizzonti di conquista, come dovrebbe fare ogni buon regnante.