Machiavelli, dopo aver analizzato nel capitolo precedente il rapporto tra repubblica e principato ed aver indicato la virtù e la forza come caratteristiche necessarie al principe per poter esercitare al meglio il suo ruolo, entra nel vivo della discussione indicando esempi di regnanti cui i principi "nuovi" dovrebbero fare riferimento. Nel settimo capitolo infatti, De’ Principati nuovi, che con forze d’altri e per fortuna si acquistano, l'autore mostra due esempi di potenti, entrambi tratti dalla storia a lui contemporanea, a conferma ancora una volta del suo approccio empirico alla riflessione politica: Francesco Sforza e Cesare Borgia, saliti al potere il primo per virtù propria e il secondo per fortuna:
Io voglio all’uno e all’altro di questi modi, circa il diventare Principe per virtù o per fortuna, addurre duoi esempi stati ne’ dì della memoria nostra: e questi sono Francesco Sforza, e Cesare Borgia. Francesco per li debiti mezzi, e con una sua gran virtù, di privato diventò Duca di Milano, e quello che con mille affanni aveva acquistato, con poca fatica mantenne. Dall’altra parte Cesare Borgia, chiamato dal vulgo Duca Valentino, acquistò lo Stato con la fortuna del Padre, e con quella lo perdette, non ostante che per lui si usasse ogni opera, e facessinsi tutte quelle cose che per un prudente e virtuoso uomo si dovevano fare, per mettere le radici sue in quelli Stati, che l’armi e fortuna di altri gli aveva concessi.
Machiavelli sottolinea nuovamente come sia più complicato riuscire a mantenere un potere ereditato, ottenuto quindi grazie all’azione di un altro, rispetto a una posizione conquistata grazie all’applicazione della propria virtù e del proprio impegno. L’autore si concentra dunque su questo secondo caso, e indica in Cesare Borgia il modello per quei principi che hanno ottenuto il loro potere per fortuna e non per virtù. Il Valentino, nonostante non sia riuscito a mantenere ciò che in sorte gli era toccato, ha esercitato infatti tutta la virtù in suo possesso per far fronte agli eventi, ed è dunque degno di lode e di rispetto agli occhi dell’autore:
Se adunque si considererà tutti i progressi del Duca, si vedrà quanto lui avesse fatto gran fondamenti alla futura potenzia, li quali non giudico superfluo discorrere, perchè io non saprei quali precetti mi dare migliori ad un Principe nuovo, che lo esempio delle azioni sue; e se gli ordini suoi non gli giovarono, non fu sua colpa, perchè nacque da una strasordinaria ed estrema malignità di fortuna. [...] Raccolte adunque tutte queste azioni del Duca, non saprei riprenderlo, anzi mi pare, come io ho fatto, di proporlo ad imitare a tutti coloro, che per fortuna e con l’armi d’altri sono saliti all’imperio. Perchè egli avendo l’animo grande, e la sua intenzione alta, non si poteva governare altrimente; e solo si oppose alli suoi disegni la brevità della vita di Alessandro, e la sua infirmità.
Il fallimento del Valentino è dovuto dunque, secondo Machiavelli, alla fortuna avversa, riferendosi qui alla morte del padre Alessandro e alla malattia di Cesare Borgia stesso, ma anche a un errore da lui compiuto, e cioè aver accettato l’elezione di Giulio II al papato:
Solamente si può accusarlo nella creazione di Iulio II, nella quale egli ebbe mala elezione; perchè, come è detto, non potendo fare un Papa a suo modo, poteva tenere, che uno non fusse Papa; e non dovea acconsentire mai al Papato di quelli Cardinali, che lui avesse offesi, o che diventati Pontefici avessino ad avere paura di lui. Perchè gli uomini offendono o per paura, o per odio.
L’individuazione dell’errore nel comportamento del Valentino permette a Machiavelli di continuare la sua ricerca, finalizzata a fornire al principe regole certe per poter istituire e mantenere un ordine nuovo.