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"Il Principe" di Machiavelli, capitolo 25: analisi di alcuni estratti

Il contesto storico che ha ispirato in Machiavelli la stesura de Il Principe era quello della crisi che l’Italia stava vivendo. L’opera si pone infatti come una soluzione concreta alla situazione di forte sconvolgimento politico del paese. Nel capitolo XXV del Principe, intitolato Quanto possa nelle umane cose la fortuna, e in che modo se gli possa ostare, viene analizzato in modo definitivo il complesso e problematico rapporto tra la virtù e la fortuna che caratterizza tutto il trattato. Inizialmente l’autore mantiene una posizione equilibrata nei confronti di queste due forze, riconoscendole come parimenti responsabili degli esiti delle vicende umane:

 

Nondimanco, perchè il nostro libero arbitrio non sia spento, giudico potere esser vero, che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che ancora ella ne lasci governare l’altra metà, o poco meno, a noi. Ed assomiglio quella ad fiume rovinoso, che quando ei si adira, allaga i piani, rovina gli arbori e gli edifici, lieva da questa parte terreno, ponendolo a quell’altra; ciascuno gli fugge davanti, ognuno cede al suo furore, senza potervi ostare; e benchè sia così fatto, non resta però che gli uomini, quando sono tempi quieti, non vi possino fare provvedimenti e con ripari, e con argini, immodochè crescendo poi, o egli andrebbe per un canale, o l’impeto suo non sarebbe sì licenzioso, nè sì dannoso.

Machiavelli si concentra sulla situazione dell'Italia, definita “una campagna senza argini, e senza alcun riparo”, in cui la fortuna imperversa sovrana. L’autore procede nella sua analisi ammettendo come, anche per quanto riguarda il "Principe", l’unico connubio che può portare al suo successo è quello fondato sulla sua indole e le necessità che i tempi richiedono: se l’indole del regnante si accorda alle esigenze del tempo, egli riuscirà; al contrario, rovinerà:

 

E questo voglio basti aver detto quanto all’opporsi alla fortuna in universale. Ma restringendomi più al particulare, dico, come si vede oggi questo Principe felicitare, e domani rovinare, senza vederli aver mutato natura o qualità alcuna. Il che credo nasca prima dalle cagioni che si sono lungamente per lo addietro trascorse; cioè, che quel Principe che si appoggia tutto in sulla fortuna, rovina come quella varia. Credo ancora, che sia felice quello, il modo del cui procedere suo si riscontra con la qualità de’ tempi, e similmente sia infelice quello, dal cui procedere si discordano i tempi.

La fortuna risulta dominare quindi sulla virtù e Machiavelli, davanti a questa triste consapevolezza, conclude affermando l’importanza della volontà e dell’audacia nell’azione, le sole che potranno forse domare la fortuna, terribile donna:

 

Conchiudo adunque, che, variando la fortuna, e gli uomini stando nei loro modi ostinati, sono felici mentre concordano insieme, e come discordano sono infelici. Io giudico ben questo, che sia meglio essere impetuoso, che rispettivo, perchè la Fortuna è donna; ed è necessario, volendola tener sotto, batterla, ed urtarla; e si vede che la si lascia più vincere da questi che da quelli che freddamente procedono. E però sempre, come donna, è amica de’ giovani, perchè sono meno rispettivi, più feroci, e con più audacia la comandano.