Gli eventi tragici delle morti di Bastianazzo nell’affondamento della Provvidenza e poi di Luca nella battaglia di Lissa sono il preludio alla rovina dei Malavoglia, emblematica per aprire il “ciclo dei vinti” e per svolgere l’analisi impassibile della “fiumana del progresso” cui Verga si riferisce nella nota Prefazione al romanzo.
La sventura non abbandona però ciò che resta degli abitanti della “casa del nespolo”: Padron ‘Ntoni rischia la vita in una tempesta durante una battuta di pesca, e la Provvidenza subisce nuovi danni. Se negli affari tuttavia la situazione sembra migliorare a poco a poco (tanto che il capofamiglia vorrebbe pure riacquistare la vecchia abitazione), i problemi maggiori vengono dall’erede designato a portar avanti i valori tradizionali della famiglia (e, quindi, della “morale” dell’ostrica cui già si accennava in Fantasticheria), ‘Ntoni. Ferito dalla rottura del legame con Barbara Zuppiddu, che ‘Ntoni avrebbe voluto sposare ma per la quale non ha un patrimonio sufficiente, il giovane è sostanzialmente uno sradicato, insensibile all’etica del lavoro dei Toscano (quella che, come ci è stato spiegato nel primo capitolo del romanzo, era valsa loro l’antifrastico soprannome di Malavoglia) ed attratto invece dalla vita di città, intravista di sfuggita durante il servizio militare.
Si rinnova così quella dialettica tra il mondo chiuso di Aci Trezza e il mondo ufficiale della Storia e del Progresso, che insidia con le sue forze e le sue leggi l’universo arcaico e patriarcale su cui si regge la visione del mondo di Padron ‘Ntoni; sintomatiche le parole, venate di desiderio e insofferenza, con cui ‘Ntoni inaugura il capitolo undicesimo:
- La storia buona, disse allora ‘Ntoni, è quella dei forestieri che sono arrivati oggi, con dei fazzoletti di seta che non par vero; e i denari non li guardano cogli occhi, quando li tirano fuori dal taschino. Hanno visto mezzo mondo, dice, che Trezza ed Aci Castello messe insieme, sono nulla in paragone. Questo l’ho visto anch’io; e laggiù la gente passa il tempo a scialarsi tutto il giorno, invece di stare a salare le acciughe; e le donne, vestite di seta e cariche di anelli meglio della Madonna dell’Ognina, vanno in giro per le vie a rubarsi i bei marinari.
Al desiderio di fuga di ‘Ntoni replicano gli altri personaggi che compongono la scena, tutti intenti alla salatura delle acciughe che assicura un modesto vitto alla famiglia; in particolare, è Mena, recuperando la saggezza popolare, a ribadire quella che è una vera e propria religione della famiglia, che ‘Ntoni non accetta e non comprende:
- Il peggio, disse infine Mena, è spatriare dal proprio paese, dove fino i sassi vi conoscono, e dev’essere una cosa da rompere il cuore il lasciarseli dietro per la strada. «Beato quell’uccello, che fa il nido al suo paesello».
- Brava Sant’Agata! conchiuse il nonno. Questo si chiama parlare con giudizio.
- Sì! brontolò ‘Ntoni, intanto, quando avremo sudato e faticato per farci il nido ci mancherà il panìco; e quando arriveremo a ricuperar la casa del nespolo, dovremo continuar a logorarci la vita dal lunedì al sabato, e saremo sempre da capo!
- O tu, che non vorresti lavorare più? Cosa vorresti fare? l’avvocato?
- Io non voglio fare l’avvocato! brontolò ‘Ntoni, e se ne andò a letto di cattivo umore.
Già qui è prefigurato il destino di ‘Ntoni, incapace di trovare soddisfazioni nel mondo dei pescatori di Aci Trezza (egli sta, simbolicamente, “sull’uscio colle spalle al muro, a guardare la gente passare, e digerirsi al sua mala sorte”) e al tempo stesso impossibilitato ad accedere al mondo cittadino (quello del lusso e della bella vita). Si arriva così all’aspro scontro tra nonno e nipote (che pure “il cuore ce l’aveva buono come il pane”):
- C’è che sono un povero diavolo! ecco cosa c’è!
- Bè! che novità! e non lo sapevi! Sei quel che è stato tuo padre, e quel che è stato tuo nonno! “Più ricco è in terra chi meno desidera”. “Meglio contentarsi che lamentarsi”.
- Bella consolazione!
Questa volta il vecchio trovò subito le parole, perché si sentiva il cuore sulle labbra:
- Almeno non lo dire davanti a tua madre.
- Mia madre... Era meglio che non mi avesse partorito, mia madre.
Agli antipodi per quanto riguarda l’atteggiamento verso il microcosmo in cui vivono (afferma con durezza ‘Ntoni: “Io non sono una bestia come loro! [...] Io non voglio vivere come un cane alla catena, come l’asino di compare Alfio, o come un mulo da bindolo, sempre a girar la ruota; io non voglio morir di fame in un cantuccio, o finire in bocca ai pescicani”), i due Malavoglia sono uniti da un destino comune: quello degli sconfitti dalla “fiumana” della Storia.