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Il personaggio di Gertrude ne "I promessi sposi": approfondimento critico

Proprio il passaggio dai sei capitoli dedicati a Geltrude nel Fermo e Lucia ai due capitoli dedicati a Gertrude ne I promessi sposi del 1840, offre un’esemplificazione assai efficace delle dinamica delineata, per illustrare la quale basterà prendere in considerazione, per quanto sinteticamente, un paio di passaggi della redazione definitiva del romanzo e confrontarli con i corrispondenti del Fermo e Lucia. Innanzitutto è opportuno citare, tratto dal capitolo IX, un passo che esprime un’amarezza estrema, raggelante nella sua drammaticità trattenuta, che però è capace di illuminare il disincanto assoluto di un’anima vinta. Quando il padre guardiano, dopo aver ottenuto da Gertrude la protezione per Lucia, comincia a ringraziarla, accingendosi al commiato, la Signora così lo interrompe:

 

non occorron cerimonie: anch'io, in un caso, in un bisogno, saprei far capitale dell’assistenza de' padri cappuccini. Alla fine, - continuò, con un sorriso, nel quale traspariva un non so che d'ironico e d'amaro, - alla fine, non siam noi fratelli e sorelle?

Questa domanda, che lascia trasparire, per allusione e dissimulazione, la tragedia dolente e orribile di una vita fallita e ormai perduta, riassume e condensa almeno due passaggi del Fermo e Lucia: in primo luogo quello in cui Geltrude, nel capitolo I del tomo II, si abbandona ad un lungo sfogo personale nel quale, sdegnata e piena di rancore, allude alla costrizione patita da parte dei suoi famigliari mentre censura aspramente il fatto che Agnese risponda per conto di Lucia (uno sfogo che, per quanto in esso si parli di un “aspetto sinistro e feroce” della monaca, non riesce a comunicare la fissità di tragedia e l’inquietudine suscitate dal passo riportato dalla redazione definitiva); in secondo luogo quello in cui, nello stesso capitolo, si ha un’osservazione molto rapida e insignificante a conclusione del colloquio con il padre guardiano:

 

Il guardiano proruppe in ringraziamenti, che la Signora troncò gentilmente, ma lasciando però capire che ella faceva assegnamento sulla riconoscenza dei cappuccini.

Nella redazione definitiva il messaggio cristiano della fratellanza universale in Dio risulta dunque, attraverso il discorso diretto del personaggio, la battuta di scherno disperato, rivolta consapevolmente contro se stessa da chi la pronuncia, di una donna che ha assunto una maschera e un costume, che recita la parte di una monaca fasulla la cui vita è una farsa disumana macchiata dalla colpa. E tutto questo evocato con poche parole, senza che sia esplicitata, come invece avveniva sempre nello stesso capitolo del Fermo, la somiglianza di Geltrude con “una attrice ardimentosa, di quelle che nei paesi separati dalla comunione cattolica facevano le parti di monaca in quelle commedie dove i riti cattolici erano soggetto di beffa e di parodia caricata".

 

L’altro passaggio che è utile prendere in considerazione e che, per la sua esemplarità, non può essere omesso, è tratto dal capitolo X ed è costituito da una sola frase, tuttavia emblematica di quanto Manzoni riesca ad esprimere, nella redazione definitiva, adottando lo stile delle idee sottintese. Quando Egidio osa rivolgere la parola a Gertrude, all’autore basta appunto una sola frase per comunicare il seguito dolente di tutta la vicenda: “La sventurata rispose”.

In questa sola frase infatti, lapidaria e inappellabile come il compiersi di un destino tragico, sono condensate tutte quelle fasi della caduta di Geltrude che erano narrate in modo esteso ed esplicito nel Fermo. Inoltre in essa Manzoni riesce a concentrare il massimo di comprensione e di pietà umane e contemporaneamente il giudizio morale che non può essere taciuto davanti al male, ancora una volta senza ricorrere alla narrazione analitica presente nel Fermo. Risulta evidente quindi che ne I promessi sposi del ’40 il lettore, in virtù della scrittura dissimulata, allusiva e concentrata che Manzoni ha adottato,  può così “sentire” il dramma di Gertrude, anziché limitarsi ad apprenderlo con la lettura.

 

Ecco perché, nella correzione del romanzo, la parte più gotica e tenebrosa della vicenda di Geltrude, legata all’omicidio della suora che minacciava di svelare i segreti scabrosi della monaca corrotta, sarà solo suggerita ma non troverà spazio come narrazione autonoma e sarà totalmente soppressa: la tragedia di Gertrude, per essere pienamente avvertita, non necessitava più di inutili parole ad effetto e di inutili commenti.