Introduzione
La Naturalis historia di Plinio il Vecchio (23 d.C. - 25 agosto 79 d.C.) è un’opera enciclopedica in 37 libri sulle scienze naturali (più una digressione sull’arte antica), che vuole essere una summa del sapere scientifico antico. La passione di Plinio il Vecchio, uomo politico e militare sotto i principati di Claudio e Nerone, è del resto testimoniata dalle note circostanze della morte, ricordate dal nipote Plinio il Giovane (Epistole, VI, 16): Plinio, prefetto della flotta in Campania al tempo dell’eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei ed Ercolano e spinto dalla sete di conoscere dello studioso, si avvicinò troppo al luogo dell’eruzione e rimase soffocato dalle ceneri laviche.
Le tematiche della Naturalis historia
La Naturalis historia, che è l’unica opera pliniana giunta a noi, si presenta innanzitutto come un monumentale ricettario del sapere scientifico antico, in cui l’autore, senza porsi grandi questioni stilistiche, vuole in particolare organizzare e catalogare la propria sete di sapere, con un occhio di riguardo per l’applicazione pratica della conoscenza.
Così, le fonti da cui attinge Plinio sono innumerevoli: si contano almeno 500 autori di riferimento, tra i quali troviamo anche autori letterari o filosofi come Omero, Seneca, Aristotele, Varrone (116-27 a.C.), Ippocrate (460 ca. - 377 ca. a.C.) e Teofrasto (371-287 a.C.). Del resto, la cultura e l’impostazione scientifica di Plinio sono di tipo erudito e la sua idea deduttiva di scienza resta ovviamente ben distante dal concetto moderno di metodo sperimentale e di verifica delle ipotesi; tuttavia, Plinio e la Naturalis historia sono delle importanti “cartine al tornasole” per lo stato delle scienze nella Roma imperiale del I secolo d.C. Spicca così l’attenzione di Plinio per una scienza che sia utile al soddisfacimento dei bisogni dell’uomo, in particolare quelli di natura pratica o connessi alle attività economico-produttive. Se la filosofia stoica ha postulato l’esistenza di un dio razionale sotteso alla Natura, Plinio è più interessato a indagare la “legge” generale che regola il mondo attorno all’uomo, affinché quest’ultimo possa conoscerlo e governarlo.
Quest’indole pratica, che porta Plinio a rifiutare nella maggior parte dei casi le spiegazioni magiche e soprannaturali degli eventi, ha anche un risvolto politico-morale: assai vicino alla dinastia dei Flavi 1, Plinio ne sposa la politica contro gli eccessi del lusso, ribadendo le tesi tradizionali sulla corruzione dei costumi romani dopo la conquista della Grecia (battaglia di Pidna, 168 a.C.) e la terza guerra punica (149-146 a.C.) che avrebbero tolto a Roma il metus hostilis, sommergendola invece di oro e di vizi. Il rimpianto nostalgico del mos maiorum non si traduce però in una condanna totale della vita contemporanea: Plinio è anzi attento a suggerire ai propri lettori come scegliere e godere dei principali beni di lusso del suo tempo. A vivificare l’esposizione, concorrono anche alcuni inserti narrativi, di tono favolistico, che sviluppano le osservazioni praticeh dello scienziato.
L’organizzazione dello sterminato materiale della Naturalis historia segue un criterio per materie: Plinio, dopo il Proemio e l’Indice (libro I), affronta la cosmogonia (libro II), la geografia (libri III-VI), l’antropologia (libro VII), la zoologia (libri VIII-XII), l’agricoltura e la botanica (libri XIII-XIX), la farmacia vegetale ed animale (libri XX-XXXI), la geologia e la metallurgia (libri XXXIII-XXXVII), con una digressione sull’arte antica. Il principio espositivo va dal più importante al meno importante: così, ad esempio, nella sezione dedicata agli animali la suddivisione per classi comincia dall’uomo, mentre in quella dei metalli il primo è l’oro, il secondo l’argento e il terzo il bronzo. In accordo con la concezione della scienza a Roma, rilevante è la piega o la declinazione pratica di ogni sapere e nozione.
Grazie alla Naturalis historia, spesso ridotta, compendiata e sintetizzata, Plinio il Vecchio rimase un’auctoritas per tutto il Medioevo e almeno fino al Rinascimento.
1 Nella Prefazione dell’opera, troviamo infatti la dedica a Tito (39-81 d.C.), figlio di Vespasiano.