Introduzione: Shemà e Se questo è un uomo
La poesia Shemà di Primo Levi è un breve testo in versi liberi che apre Se questo è un uomo (pubblicato per la prima volta dall’editore De Silva nel 1947), opera in cui viene descritto l’internamento e la prigionia nel campo di Monowitz e di Auschwitz dal febbraio 1944 al gennaio 1945. Il testo compare poi nella raccolta di poesia Ad ora incerta 1, edita nel 1984.
Shemà è una parola ebraica (שמע) che significa “ascolta”; essa compare nell’espressione Shemà Israel (שמע ישראל, “Ascolta, Israele”) in una fondamentale preghiera della liturgia, recitata durante le orazioni del mattino e della sera 2. Levi utilizza questa espressione in apertura del suo romanzo per rivolgere un forte appello al suo lettore, affinché egli presti attenzione a ciò che sta per leggere e fissi nella memoria la testimonianza agghiacciante della Shoah.
La poesia riporta la data del 10 gennaio 1946, poco più di un anno dopo la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz del 27 gennaio 1945.
Testo di Shemà
- Voi 3 che vivete sicuri
- nelle vostre tiepide case,
- voi che trovate tornando a sera
- il cibo caldo e visi amici:
- considerate se questo è un uomo
- che lavora nel fango
- che non conosce pace
- che lotta per mezzo pane
- che muore per un sì o per un no 4.
- Considerate se questa è una donna,
- senza capelli e senza nome
- senza più forza di ricordare
- vuoti gli occhi e freddo il grembo
- come una rana d'inverno.
- Meditate che questo è stato:
- vi comando queste parole 5.
- Scolpitele nel vostro cuore
- stando in casa e andando per via,
- coricandovi alzandovi;
- ripetetele ai vostri figli 6.
- O vi si sfaccia la casa,
- la malattia vi impedisca,
- i vostri nati torcano il viso da voi 7.
Commento
Il tema fondamentale di Shemà è quello dell’esigenza del ricordo; di fronte all’immane tragedia di cui è stato protagonista, Levi infatti identifica nella memoria dell’orrore l’unico strumento per reagire al dramma e per fare sì che questo non possa mai più ripetersi. L’importanza di questo tema è tale da diventare un comandamento morale, cui nessuno di noi può sottrarsi; da qui deriva la perentorietà del tono del poeta, che si traduce in uno stile secco ed asciutto, dall’andamento assai prosastico. Levi rinuncia infatti alla cantabilità del verso o all’artificio della rima, facendo piuttosto risaltare la forza delle immagini. L’appello ai lettori è mediato dalla serie di imperativi (v. 5: “considerate”; v. 10 “Considerate”; v. 15 “Meditate”; v. 17: “Scolpitele”; v. 20: “ripetetele”) che danno alla poesia il tono di un comando ineludibile. La chiusa della poesia (vv. 21-23) sottolinea ulteriormente la necessità del ricordo e della testimonianza: chi non lo farà è destinato, nell’augurio del poeta esplicitato dalla serie dei congiuntivi (“vi si sfaccia la casa, | la malattia vi impedisca, | i vostri nati torcano il viso da voi”), ad un doloroso contrappasso.
1 Il titolo rimanda ad un verso de The Rime of the Ancient Mariner di Samuel Taylor Coleridge (1772-1834), che compare anche come esergo dell’altro romanzo di Levi sulla tragedia dei lager: La tregua.
2 L’espressione si ritrova anche in tre passi biblici: due volte nel Deuteronomio (6, 4-9; 11, 13-21) e una volta nei Numeri (15, 37-41).
3 Voi: L’appello al lettore è esplicito attraverso l’uso del pronome personale come prima parola del testo.
4 La contrapposizione tra la vita “normale” e la follia del campo di concentramento è l’oggetto dei vv. 3-9: da un lato abbiamo la sicurezza (“vivete sicuri”), gli affetti (“visi amici”), il nutrimento (“il cibo caldo”); dall’altro le condizioni disumane (“che lavora nel fango | [...] | che muore per un sì o per un no”) e la perenne lotta per il cibo e la sopravvivenza (“che lotta per mezzo pane”). Proprio la necessità di procurarsi cibo e di sopravvivere alla logica disumana del campo - riassunta nel motto Arbeit macht frei che compare sopra il cancello di Auschwitz - sono i due temi che attraversano tutti i capitoli del romanzo.
5 Questi due versi introducono la seconda parte della poesia: l’autore chiama in causa il lettore e lo “obbliga” alla funzione fondamentale del ricordo e all’impossibilità di negare o disonoscere ciò che è successo nei campi di concentramento nazisti.
6 ripetetele ai vostri figli: secondo un tema costante in tutta la produzione di Levi (si pensi soprattutto a I sommersi e i salvati), la memoria e il ricordo, per quanto deboli e fallaci, sono una risorsa insostituibile contro il rischio che tutto quello che è successo sia dimenticato e quindi, tragicamente, si ripeta nel corso della Storia.
7 Shemà si conclude con una sorta di minaccia profetica: chi non vorrà ricordare la tragedia della Shoah merita il castigo divino evocato dal poeta.