Introduzione
Questo componimento proemiale delle Odi oraziane, dedicato a Mecenate e di cui non si può proporre alcuna datazione certa, ha come fine la difesa della scelta di vita dell’autore, ovvero quella di fare il poeta. Dopo un lungo elenco dei molti possibili stili di vita che le persone seguono (alcuni vogliono fare gli atleti, altri i soldati, altri i mercanti, altri ancora vogliono solo perdere tempo senza far nulla), descritti con ironia ma senza disprezzo, solo negli ultimi versi del carme Orazio arriva a presentare il proprio: egli ha scelto di dedicarsi alla poesia e spera di poter essere un giorno annoverato tra i grandi poeti lirici (vv. 35-36).
Questo richiamo alla poesia lirica greca non è affatto casuale, e non solo perché i Carmina sono una raccolta poetica interamente scritta avendo a modello proprio i poeti lirici greci, ma anche perché tutta l’ode è costruita su un tema caro ai poeti della lirica arcaica (in primis Saffo, ma anche Pindaro o Bacchilide), e cioè l’osservazione che alle persone piacciono cose diverse 1. Dal punto di vista stilistico l’ode non è particolarmente elaborata e non eccede affatto nell’uso delle figure retoriche; sul piano lessicale, al fianco di parole prosastiche (come ad es. la congiunzione “quodsi” al v. 35) si può notare una scelta piuttosto ricercata degli epiteti geografici (v. 14: “Myrtoum”, v. 15: “Icariis”, v. 28: “Marsus”).
Metro: asclepiadei minori.
- Maècenàs atavìs èdite règibus 2
- ò et praèsidium èt dùlce decùs meum
- sùnt quos cùrriculò pùlverem Olỳmpicum 3
- còllegìsse iuvàt mètaque fèrvidis
- èvitàta 4 rotìs pàlmaque nòbilis 5
- tèrrarùm dominòs èvehit àd deos 6:
- hùnc 7, si mòbiliùm tùrba Quirìtium
- cèrtat tèrgeminìs 8 tòllere honòribus
- ìllum sì propriò còndidi hòrreo
- quìdquid dè Libycìs 9 vèrritus àreis.
- Gaùdentèm patriòs fìndere sàrculo
- àgros àttalicìs 10 còndiciònibus
- nùmquam dèmoveàs, ùt trabe Cỳpria 11
- Mỳrtoùm 12 pavidùs naùta secèt mare.
- Lùctantem ìcariìs flùctibus 13 àfricum 14
- mèrcatòr metuèns, òtium et òppidi
- làudat rùra suì; mòx reficìt ratis 15.
- quàssas, ìndocilìs paùperièm pati.
- Èst qui nèc veterìs pòcula Màssici
- nèc partèm solidò dìmere dè die
- spèrnit, nùnc viridì mèmbra sub àrbuto
- stràtus, nùnc ad aquàe lène capùt sacrae;
- mùltos càstra iuvànt èt lituò tubae 16
- pèrmixtùs sonitùs bèllaque màtribus
- dètestàta. Manèt sùb Iove frìgido
- vènatòr teneraè còniugis ìmmemor
- sèu visà est catulìs cèrva fidèlibus
- sèu rupìt teretès Màrsus 17 apèr plagas.
- Mè 18 doctàrum hederàe 19 praèmia fròntium
- dìs miscènt superìs, mè gelidùm nemus
- Nỳmpharùmque levès cùm Satyrìs chori
- sècernùnt populò, sì neque tìbias
- Eùterpè cohibèt nèc Polyhỳmnia 20
- Lèsboùm refugìt tèndere bàrbiton 21.
- Quòdsi mè lyricìs vàtibus ìnseres 22
- sùblimì feriàm sìdera vèrtice 23.
- O Mecenate, disceso da avi regali,
- o mio rifugio e mio dolce amore,
- ci sono quelli a cui piace aver raccolto con il carro
- la polvere di Olimpia e la meta evitata
- con le ruote infuocate, quelli che una gloriosa vittoria
- trascina fino agli dei, signori delle terre:
- a questo piace se la folla dei Quiriti volubili
- fa a gara a sollevarlo con triplici cariche,
- a quello se ha raccolto nel proprio granaio
- ogni cosa sia spazzata via dalle aie di Libia.
- Chi gioisce nel solcare con il sarchiello i campi
- paterni neppure a condizioni degne di Attalo
- lo potresti smuovere perché con una nave cipria
- solchi da povero marinaio il mare intorno a Myrtos.
- Poiché teme l’Africo che lotta con i flutti dell’Icario
- il mercante loda la tranquillità e i campi
- della sua città; eppure subito ripara le navi scassate,
- incapace di sopportare una condizione modesta.
- C’è chi né i bicchieri di vecchio Massico
- né togliere una parte dal giorno lavorativo disdegna,
- ora stendendo il corpo sotto un verde corbezzolo,
- ora dolcemente presso la sorgente di acqua sacra;
- a molti piacciono gli accampamenti, il suono
- della tromba mescolato al lituo e le guerre odiate
- dalle madri. Sotto la pioggia gelida rimane
- il cacciatore, dimentico della dolce moglie,
- sia se dai cani fedeli è stata vista una cerva
- sia se un cinghiale marsico ha rotto le reti ben fatte.
- Me l’edera, premio per le fronti dei saggi,
- mi accomuna agli dei celesti, me il fresco bosco
- e le danze soavi delle Ninfe insieme ai Satiri
- separano dal popolo, se né Euterpe
- fa tacere il flauto né Polimnia
- rifiuta di tendere la lira di Lesbo.
- Perciò se mi annovererai tra i poeti lirici,
- toccherò le stelle con la punta del capo.
1 Lo schema retorico è quello del Priamel, per cui si passa in rassegna una serie di oggetti per sancire la superiorità rispetto ad essi di un determinato termine di paragone.
2 atavis edite regibus: Mecenate era un homo novus e non aveva quindi antenati che avessero ricoperto cariche pubbliche; Orazio fa qui riferimento alla sua origine etrusca, per la quale era discendente dei lucumoni (“re”, in etrusco) di Arezzo. L’incipit del testo è scandito reotricamente dalla figura dell’iperbato.
3 Olympicum: si tratta di un’allusione generica ai giochi olimpici, che si tenevano in Grecia (per la precisione, a Olimpia, nella regione dell’Elide) ogni quattro anni
4 metaque [...] evitata: Le metae erano le due colonne poste ai limiti della pista dei carri all’interno dello stadio, intorno alle quali bisognava girare senza toccarle, per evitare di fare incidenti; per questa ragione qui si parla di “meta evitata”.
5 Orazio allude al premio destinato ai vincitori delle gare in età alessandrina: una corona di olivo o alloro e pino, cui si aggiunse poi un ramo di palma.
6 ad deos: “dominos” può essere interpretato o come predicativo dell’oggetto (i vincitori delle gare) o come apposizione di “deos”; nella traduzione si accoglie la seconda ipotesi.
7 hunc: l’accusativo “hunc”, come il successivo “illum”(v. 9), è retto dal precedente e qui sottointeso “iuvat” (v. 4). Si ricordi la costruzione transitiva del verbo latino iuvo (“giovo a”) e l’uso impersonale del verbo nel significato di “piace”, accompagnato da subordinata infinitiva o da accusativo + ipotetica, come qui.
8 tergeminis: i “tergemini honores” sono le tre cariche più importanti del cursus honorum: questura, pretura e consolato.
9 Libycis: Il nome “Lybia” indicava tutta l’Africa del nord, escluso l’Egitto; sia la “Lybia” che l’Egitto, insieme alla Sicilia, erano le province che producevano più grano nel mondo romano; si allude qui all’avidità di chi vuole divenire ricco come proprietario terriero.
10 Orazio fa qui riferimento ad Attalo III, ricchissimo re di Pergamo che alla sua morte (133 a.C.) lasciò il suo regno in eredità a Roma. Le “condizioni degne di Attalo” equivalgono quindi alla promessa di grandissime ricchezze.
11 L’isola di Cipro era nota nell’antichità per l’ottima qualità del suo legname. Qui "trabe è metonimia per nave.
12 Il “mare Myrtoum” è l’Egeo meridionale, intorno all’isola di Myrtos, noto per le sue tempeste.
13 icariis fluctibus: si allude qui al celebre mito di Dedalo ed Icaro; quest’ultimo, volendo volare troppo vicino al Sole, facendo sciogliere la cera delle proprie ali e precipitando quindi nel mare.
14 africum: l’Africo è un vento caldo che soffa da sud-ovest, analogo al nostro libeccio.
15 ratis:è la forma arcaica di accusativo plurale della terza declinazione (= “rates”).
16 Il lituus era uno strumento a fiato usato per dare il segnale di combattimento alla cavalleria; la tuba invece era la tromba usata nella fanteria. I due termini sono qui significativamente accostati.
17 Il cinghiale è definito “marsico”, cioè della terra dei Marsi (l’attuale Abruzzo), perché si trattava di una regione particolarmente selvaggia e adatta per la caccia.
18 Dopo il lungo elenco di tutto quello che può piacere ai diversi “tipi” di persone, Orazio arriva finalmente a parlare di sé e lo fa mettendo il pronome personale di prima persona in posizione di rilievo a inizio verso, ad indicare una chiara contrapposizione con quanto detto in precedenza.
19 hederae: l’edera è ovviamente la pianta sacra al dio greco Dioniso (Bacco nella religione romana) e vale qui - in un passo importante della prima ode - come una sorta di dichiarazione di vita e di poetica: Orazio vuole consacrarsi alla poesia e alla divina ispirazione che ne deriva.
20 Euterpe e Polimnia sono due delle nove Muse, che si dedicano rispettivamente alla musica e alla poesia lirica la prima, alla danza la seconda.
21 Lesboum barbiton: è lo strumento della lira, la cui invenzione era nell’antichità attribuita a Polimnia. Qui Orazio la cita con questa perifrasi per ricollegarsi con l’amato e ammirato modello della lirica greca, impersonata qui da Alceo e Saffo, nativi dell’isola di Lesbo.
22 Il riferimento di Orazio potrebbe essere al noto Canone alessandrino, un elenco databile al III secolo a.C. ed opera di Aristofane di Bisanzio e Aristarco di Samotracia, in cui si indicano gli autori di riferimento (soprattutto per quanto riguarda la purezza della lingua) per diversi generi letterari. Per la lirica, i nomi sono quelli di: Alcmane, Alceo, Anacreonte, Bacchilide, Ibico, Pindaro, Saffo, Simonide di Ceo, Stesicoro.
23 Espressione equivalente a “toccare il cielo con un dito”, di valore iperbolico ed autoironico.