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Orazio, “Odi”: sintesi, commento e poetica

Genere e struttura dell’opera

 

Le Odi, in latino Carmina, sono una raccolta di oltre cento componimenti in differenti metri lirici pubblicati da Orazio in due momenti diversi della sua vita: i primi ottantotto carmi, suddivisi in tre libri, sono editi nel 23 a.C. e costituiscono un gruppo omogeneo così concepito dal poeta; gli altri quindici invece, raggruppati sempre da Orazio in un quarto libro, sono aggiunti alla raccolta ben dieci anni più tardi. Stabilire la data di composizione delle singole odi non è semplice poiché, se alcune poesie contengono allusioni a eventi storici che permettono di individuare l’anno esatto in cui furono scritte, altre ne sono prive: il più antico carme databile è 1, 37 (cioè, il trentasettesimo componimento del primo libro), composto sulla scia emotiva del suicidio di Cleopatra nel 30 a.C., mentre il più recente fa riferimento al ritorno di Augusto dal Settentrione nel 13 a.C.

Le Odi non vanno dunque lette in base a un parametro cronologico, ma secondo il criterio della varietà (poikilìa in greco, variatio in latino) formale e contenutistica: la polimetria e la differente lunghezza delle poesie, i numerosi destinatari dei carmi, l’alternanza di temi politici e privati inducono a pensare che il lettore dovesse assaporare questa complessità proprio leggendo uno dopo l’altro componimenti tanto diversi. Per altro, Orazio colloca in alcune posizioni privilegiate (come all’inizio e alla fine di ogni libro) componimenti che sviluppano lo stesso tema; così, il primo testo di ogni libro sviluppa questioni di stile e poetica 1, mentre l’ultimo contiene note autobiografiche, strettamente connesse però con la propria fama di grande poeta 2

 

Finalità dell’opera e modelli

 

Nel corso della sua carriera Orazio si cimenta in vari generi tradizionali, nei quali introduce sempre consciamente degli elementi di novità, come egli stesso afferma per esempio nelle Satire (I, 10) a proposito della poesia satirica. Anche nelle odi il rapporto con la lirica greca arcaica 3 non si risolve mai in imitazione elementare o pedissequa dei modelli, ma si configura al contrario come un’aemulatio: il poeta cioè, consapevole delle regole definite dal genere letterario, prende ispirazione dai grandi lirici greci e si relaziona con loro nell’intento di superarli.

Questa ricerca di originalità all’interno dell’imitazione è evidente per esempio nella tecnica del “motto iniziale”: in varie odi infatti, dopo un incipit che è quasi una citazione letterale di testi della lirica greca, ora ambientata in un contesto romano, Orazio procede in maniera autonoma e il modello viene relegato sullo sfondo 4.

 

Contenuto e temi

 

In accordo con il criterio della varietà, i temi affrontati da Orazio nelle Odi sono molteplici: c’è spazio per la meditazione filosofica sulla saggezza e sul trascorrere del tempo, per gli affetti della vita privata (amore, amicizia, simposio, luoghi del cuore), per una poesia impegnata dal punto di vista civile, che oscilla tra la celebrazione - che non è però pura propaganda - degli ideali augustei e l’orgogliosa consapevolezza del valore della propria poesia. Veri e propri assi portanti della visione del mondo oraziana sono così due concetti strettamente connessi tra loro: la consapevolezza della brevità della vita e del fuggire del tempo (Odi, I, 11, vv. 6-7: “[...] sapias, vian liques et spatio brevi | spem longa reseces. [...]”) e quindi la necessità di conquistarsi la serenità dell’autàrkeia e una aurea mediocritas (in greco metriotes) che è tipica del poeta-saggio, secondo un atteggiamento morale rintracciabile anche nelle Satire.

Tra le odi più note del primo libro ricordiamo:

- I, 1: indirizzata a Mecenate, cui il poeta ha dedicato anche il primo libro delle Satire, l’ode presenta una struttura priamelica 5 e affronta il tema della funzione e della dignità della poesia. Non a caso il metro di quest’ode, in asclepiadei minori, è lo stesso del carme che chiude i primi tre libri e dell’ode centrale del quarto libro, che affrontano lo stesso argomento;
- I, 9: carme di forte ispirazione alcaica, in cui Orazio rielabora il topos della rappresentazione letteraria dell’inverno e del freddo, da combattere con il vino e con il calore del focolare. Tutto il resto - dice il poeta al destinatario Taliarco, cui vuole fornire un insegnamento di stampo epicureo - è bene lasciarlo agli dei: il futuro è nelle loro mani, dunque è meglio godere, finché si è giovani, del presente e dell’amore;
- I, 11: nel Carpe diem, probabilmente l’ode più famosa di Orazio, il poeta esorta Leuconoe a non cercare di conoscere il futuro, ma ad accettarlo cogliendo l’attimo di piacere del presente;
- I, 14: Orazio si preoccupa con affetto di una nave di legno pregiato ridotta in pessime condizioni dalla tempesta e che diventa per lui una metafora dello Stato in pericolo;
- I, 37: la famosa ode per il suicidio di Cleopatra inizia con una chiara allusione (Nunc est bibendum, nunc pede libero) ad Alceo (630-560 a.C.) e al suo carme di festa per la morte del tiranno di Mitilene, Mirsilo; qui però il nuovo componimento è fin dal principio inserito in un contesto fortemente romano. Ottaviano è stato in grado di eliminare il pericolo costituito dalla regina egizia, ma quest’ultima ha saputo morire con coraggio virile e si è sottratta alla vergogna del trionfo del nemico.

Il secondo libro si apre con un’ode ad Asinio Pollione, autore di tragedie e di una storia delle guerre civili, che termina con una recusatio (in latino, “rifiuto, obiezione”) da parte di Orazio della poesia solenne: è meglio cantare con toni differenti l’amore. Seguono altre odi di forte matrice epicurea:

- II, 3: affianca al tema dell’ineluttabilità della morte, introdotto da una sententia di carattere proverbiale, quello del banchetto e delle gioie del convito;
- II, 10: teorizza la regola dell’aurea mediocritas, che esorta ad evitare le estremità della vita, più esposte ai pericoli, in favore di un’esistenza accorta e prudente, anche nelle avversità;
- II, 16: è un elogio dell’otium, di fatto identificabile con l’atarassia epicurea, che non si può ottenere tramite la ricchezza, ma limitando i bisogni a quelli strettamente necessari e godendo del presente. L’inizio del componimento risente probabilmente anche della nota strofa del carme 51 di Catullo 6.

Il terzo libro inizia con un ciclo di sei carmi in strofe alcaiche solitamente definiti odi romane: esse esaltano i valori che il nuovo regime augusteo promuove richiamandosi agli ideali della repubblica, quali il rifiuto per la ricchezza e la lussuria, il coraggio militare da temprare con una vita semplice e dura in campagna, la necessità di un ordine politico. L’unità di questo blocco di componimenti, per la maggior parte scritti subito dopo la riforma costituzionale voluta da Augusto nel 27 a.C., è evidente. Dalla settima ode, invece, abbondano i temi dell’amore (per esempio i corteggiamenti in III, 7; la riconciliazione tra amanti in III, 9; il paraklausìthuron, cioè il motivo del “canto davanti a una porta chiusa” tipico della poesia greca ellenistica, in III, 10), quelli del banchetto e della festa (cfr. III, 17; III, 18; III, 21) e quelli legati a una visione semplice e rustica della religione (cfr. III, 13 O fons Bandusiae; III, 23). Le ultime due odi, infine, sono dedicate a Mecenate: in III, 29 Orazio gli trasmette un messaggio dalla forte ispirazione epicurea; in III, 30 esalta la propria gloria, raggiunta, nonostante le sue umili origini, grazie all’imperitura poesia e all’abilità di “aver introdotto per primo nelle modulazioni italiche il carme eolico”.

Il quarto libro comincia con un’ode che funge da proemio: Orazio sente di non aver più l’età per gli amori e i conviti, ma sa che Venere è implacabile. Di qui la presenza anche nel nuovo libro, accanto a una preponderanza di temi civili, del tema erotico. Tra le odi più importanti si possono ricordare:

- IV, 2: scritta in occasione di un trionfo di Augusto e contenente una recusatio per non essere un poeta del valore di Pindaro;
- IV, 4: elogio delle vittorie di Druso sulle tribù alpine nel 15 a.C. (da accostare all’ode 4,14, che ha come protagonista il fratello Tiberio);
- IV, 7: ode sul tema della morte (pulvis et umbra sumus, si dice al v. 16) e sulla necessità di cogliere gli attimi di gioia prima che questi sfumino;
- IV, 15: carme con cui Orazio celebra il ritorno della pace e dei buoni costumi grazie ad Augusto e guarda con ottimismo al futuro.

 

Lingua, stile e metrica

 

Nelle Odi, la cui struttura è progettata in maniera chiara e unitaria sia dal punto di vista delle relazioni tra componimenti sia all’interno del singolo carme, Orazio impiega uno stile raffinato, in cui fa uso di parole apparentemente semplici, che assumono però un significato non scontato grazie all’accostamento con altri termini: si tratta del procedimento, da lui stesso teorizzato nell’Ars poetica al v. 47, della callida iunctura, ovvero quello di un abbinamento accorto in grado di rendere nuova una parola nota. Proprio per questo, se metafore e figure di suono sono usate con parsimonia, Orazio impiega con maggior frequenza l’enallage, l’enjambement, l’iperbato e le altre figure di disposizione dei termini all’interno del verso. Egli ottiene così uno stile sobrio e limpido, ma sempre elevato. I metri utilizzati, proprio in virtù del criterio formale della poikilìa, sono numerosi (tra i più noti ci sono sistemi asclepiadei, strofe saffiche, strofe alcaiche e sistemi archilochei) e all’interno del liber non si succedono mai odi metricamente identiche.

 

Fortuna

 

Le opere di Orazio conoscono immediata fortuna e vengono lette fin dalla prima età imperiale a scuola: il grammatico Marco Valerio Probo ne cura un’edizione in epoca neroniana. La loro notorietà non scema in età tardoantica, epoca a cui risalgono i commenti di Porfirione e dello pseudo-Acrone. Nel Medioevo, invece, mentre trovano ampia diffusione le Satire oraziane, le Odi hanno una circolazione più limitata. È con Petrarca e poi con il Rinascimento che Orazio lirico diventa il modello per eccellenza del Classicismo. Nel Settecento è l’Arcadia a raccoglierne l’eredità, e nell’Ottocento Carducci, che nelle Odi barbare cerca di riprodurre il ritmo della metrica quantitativa latina all’interno del sistema accentuativo della poesia italiana.

 

Bibliografia selettiva

Orazio, Le opere. Antologia, a cura di A. La Penna, Firenze, La Nuova Italia, 1969.
Orazio, Le opere. Le odi, il carmen secolare, gli epodi, a cura di F. Della Corte, P. Venini, E. Romano, traduzione di L. Canali, Roma, Istituto Poligrafico, 1991.
G. Pasquali, Orazio lirico, Firenze, Le Monnier, 1920.
Enciclopedia oraziana, a cura di F. Della Corte - S. Mariotti, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1996-1998.
G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina, Lo spazio Letterario di Roma antica, vol. I, La produzione del testo, Salerno, Roma, 1989.

1 In I, 1 Orazio, rivolgendosi a Mecenate, indica le sue radici poetiche nel canto eolico; in II, 1, lodando Asinio Pollione, l’autore dice di volersi concentrare sulla poesia lirica d’amore, piuttosto che su temi bellci; in III, 1, Odi profanum volgus et arceo il poeta annuncia le tematiche civili delle “odi romane” mentre in IV, 1 spiega la distanza tra la propria arte e quella di Pindaro.

2 Il trentottesimo testo del primo libro è un inno alla semplicità, mentre II, 20, indirizzata a Mecenate, è una poesia che celebra la gloria imperitura di Orazio, così come Exegi monumentum aere perennis (III, 30). A fine del quarto libro (IV, 15, dedicata ad Augusto) la celebrazione della pax augustea e il rifiuto della poesia epica.

3 Il modello prediletto dal poeta è senza dubbio la lirica eolica di Alceo; Saffo (640-570 ca. a.C.) compare in misura minore, mentre più frequente è il rimando intertestuale ad Anacreonte, 570-485 ca. a.C.; accanto a Pindaro (518-438 ca. a.C.) e ad altri rappresentanti della lirica corale.

4 Un tipico esempio di “motto iniziale” è proprio l’incipit dell’ode I, 37 Nunc est bibendum, oppure I, 9 Vides ut alta stet nive candidum.

5 Con il termine tedesco Priamel si intende uno schema retorico per cui si passa in rassegna di oggetti, valori o concetti che vengono posti a confronto con un altro termine, del quale poi si sancisce la superiorità.

6 “Otium, Catulle, tibi molestum est, | otio exultas nimiumque gestis; | otium et reges prius et beatas| perdidit urbes”.