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"Odi barbare" di Carducci: introduzione all’opera

Il classicismo letterario e la professione di docente di Carducci trovano una loro realizzazione nel progetto delle Odi barbare, che consolidano la fama dello scrittore quale poeta nazionale, capace cioè di recuperare e rielaborare la prestigiosa tradizione latina e di fonderla con il culto del passato e con l’affermazione del valore atemporale della poesia.

 

Le “barbare” (che vedono Carducci pubblicare tre volumi nel 1877, nel 1882 e nel 1889, più un quarto, riassuntivo e diviso in due tomi, nel 1893) nascono insomma come operazione tanto contenutistico-ideologica, che mira a restaurare lo spirito e il valore della “lezione” dei classici, quanto tecnico-formale, tesa a “tradurre” nel sistema ritmico moderno, basato sugli accenti, la metrica quantitativa della poesia latina, basata sull’alternanza di sillabe lunghe e brevi. Com’è noto, il titolo della raccolta allude proprio alla percezione che un ascoltatore latino avrebbe dei versi carducciani, che provano sì a mimare la prosodia classica, ma che risultano inevitabilmente delle copie impure ed imperfette dell’originale (per i romani, “barbaro” era appunto colui che non parlava bene il latino, ed anzi lo balbettava).

Per godere a pieno della poesia “barbara” carducciana è dunque necessario - si capisce, e questo è proprio l’intento dell’autore - una determinata competenza tecnica e un retroterra culturale e letterario non indifferente. Ma la sostenutezza della forma (esplicita sin dal Preludio, dove si legge: “Odio l’usata poesia: concede | comoda al vulgo i flosci fianchi e senza | palpiti sotto i consueti amplessi | stendesi e dorme”) si sposa bene con le tematiche eterogenee della penna del poeta. Il rilievo filologico, che è ovviamente in stretta connessione il culto della forma che anima le Odi, si salda alla rievocazione della grandiosità della Roma caput mundi in toni magniloquenti e retorici, come nei primi versi de Nell’annuale della fondazione di Roma:

 

Te redimito di fior purpurei

april te vide su ’l colle emergere

da ’l solco di Romolo torva

riguardante su i selvaggi piani:

 

te dopo tanta forza di secoli

aprile irraggia, sublime, massima,

e il sole e l’Italia saluta

te, Flora di nostra gente, o Roma.

Altrove i versi delle Odi barbare celebrano il mondo medievale, visto come la culla di vitalità e rettitudine morale (come in Nella piazza di San Petronio), riprendono temi civili (A Giuseppe Garibaldi o Scoglio di Quarto), rievocano nostalgicamente il mondo d’infanzia, oppure cantano l’armonia tra l’io poetico e la natura (Primo vere, Canto di marzo e Colli toscani, tra gli altri). I testi più noti della raccolta sono tuttavia quelli il cui il tema carducciano della morte si proietta nel paesaggio e nell’intimità del poeta (come in Nevicata) oppure si salda con la tematica amorosa (si veda, ad esempio, Alla stazione in una mattina d’autunno).