Introduzione
All’interno dell’operazione di recupero della metrica classica cui Carducci si dedica con le sue Odi barbare (il cui primo volume viene pubblicato nel 1877, seguito da altri due libri, le Nuove odi barbare e le Terze odi barbare rispettivamente nel 1882 e 1889), Nella piazza di San Petronio è uno dei primi tentativi (il testo è datato 6-7 febbraio 1877) di riprodurre il distico elegiaco latino (e cioè due versi composti da un esametro e da un pentametro).
Analisi
La progettata riedizione della metrica quantitativa nelle forme del verso accentuativo vuole dare rilievo al valore (culturale, ma soprattutto morale) dell’arte e della letteratura classica, “filtrando” - per così dire - il tempo e le cose presenti alla luce della lezione degli antichi. In San Petronio, l’evasione dalla contemporaneità è evidente sin dall’incipit che, nell’immagine della “turrita Bologna”, evoca la cittadina medievale e l’età dei Comuni; e il senso del tempo trascorso (v. 5: “le torri i cui merli tant’ala di secolo lambe”) contribuisce alla severa magniloquenza dell’apertura della poesia. Come spesso in Carducci (si pensi a Pianto antico o San Martino nelle Rime nuove), alla commozione nostalgica della voce poetica risponde lo scenario paesaggistico circostante: al “sol morituro” (e cioè, al tramonto) si aggiunge la nota del “fulgore adamàntino” del cielo sopra la città e, più avanti, il “sorriso languido di viola” che si stende sui palazzi signorili (v. 11: “gli alti fastigi”). La nobilitazione del dettato poetico (cui contribuiscono anche memorie letterarie, da Dante alla traduzione montiana dell’Iliade) si regge sul tono sempre sostenuto ed "alto", grazie al lessico latineggiante e alla sintassi elaborata e distesa (anche per la lunghezza del verso “barbaro”). Questa scelta stilistica è del resto funzionale alla malinconia di grandezza del poeta, ed alla sua volontà di reagire alla mediocrità dell’Italia post-unitaria. La proiezione sulla pagina del glorioso tempo passato (vv. 15-18: “e un desio mesto pe ‘l rigido aëre sveglia | di rossi maggi, di calde aulenti sere, | quando le donne gentili danzavano in piazza | e co’ re vinti i consoli tornavano”) e il “desiderio vano de la bellezza antica” (v. 20) coniugano allora l'ideale di bellezza neoclassica e la funzione della poesia; in accordo pure con la propria professione di docente e col proprio ruolo di poeta “civile”, Carducci individua allora nel proprio “mestiere” lo strumento principale per rinnovare i costumi nazionali.
Parafrasi
Metro: distici elegiaci, in cui l’esametro è composto combinando un quinario, o un senario o un settenario con un ottonario o un novenario, mentre il pentametro è costituito da un quinario o un settenario più un altro settenario.
- Surge nel chiaro inverno la fosca turrita 1 Bologna,
- e il colle sopra bianco di neve ride.
- È l’ora soave che il sol morituro 2 saluta
- le torri e ’l tempio, divo Petronio 3, tuo;
- le torri i cui merli tant’ala di secolo lambe 4,
- e del solenne tempio la solitaria cima.
- Il cielo in freddo fulgore adamàntino 5 brilla;
- e l’aër come velo d’argento giace
- su ’l fòro 6, lieve sfumando a torno le moli 7
- che levò cupe il braccio clipeato 8 de gli avi.
- Su gli alti fastigi s’indugia il sole guardando
- con un sorriso languido di vïola,
- che ne la bigia pietra nel fósco vermiglio mattone
- par che risvegli l’anima de i secoli,
- e un desio mesto 9 pe ’l rigido aëre sveglia
- di rossi maggi, di calde aulenti sere,
- quando le donne gentili danzavano in piazza
- e co’ i re vinti 10 i consoli tornavano.
- Tale la musa ride fuggente al verso in cui trema
- un desiderio vano de la bellezza antica.
- Si erge nella chiara luce invernale la cupa Bologna dalle molti torri,
- e il colle che la sovrasta ride ricoperto di neve.
- È l’ora delicata in cui il sole che sta tramontando
- saluta le torri e la tua chiesa, santo Petronio;
- le torri i cui merli sono sfiorati dall’ala di tanti secoli,
- e il solitario campanile della solenne chiesa.
- Il cielo brilla di freddo splendore di diamante;
- e la nebbia si posa come un velo d’argento
- sulla piazza, sfumano lievemente il contorno dei palazzi
- che furono eretti cupi dal braccio armato di scudo degli avi.
- Sulle alte cime indugia il sole
- illuminandole di una languida luce violacea,
- e sembra che rinnovi la vita dei secoli trascorsi
- nella grigia pietra e nel rosso e scuro mattone,
- e risveglia nell’aria un desiderio triste
- di tramonti di maggio, di calde e profumate sere,
- quando le donne nobili danzavano in piazza
- e i magistrati tornavano con i re vinti.
- Così la musa sorride sfuggente al verso che, tremando,
- evoca un vano desiderio di antica bellezza.
1 la fosca turrita: Bologna è famosa per le sue torri, eredità del periodo di maggior fioritura della città tra il XII e il XIII, secolo.
2 morituro: latinismo che indica che siamo al momento del tramonto. Il lessico classicheggiante il sposa col proposito delle Odi barbare di recuperare i valori estetici e morali perduti dell’antichità.
3 Petronio: San Petronio è il protettore della città, la basilica a lui dedicata si trova in Piazza Maggiore.
4 tant’ala di secolo lambe: il tempo viene immaginato come una creatura alata, che sfiora, senza distruggerle, le torri costruite dall’uomo.
5 adamàntino: latinismo per “di diamante”. Lo spostamento dell’accento rispetto alla pronuncia consueta è tipica dell’espressione poetica.
6 fòro: latinismo per “piazza”.
7 moli: i palazzi imponenti dell’élite politica bolognese. Il tono è quello nostalgico per l’età comunale di Bologna, vista come periodo felice .
8 il braccio clipeato: nelle epoche passate, la guerra era stata occasione per dimostrare il valore della città bolognese, come si spiegherà più avanti alludendo ai successi contro l’oppressione del potere imperiale. “Clipeato” allude al clipeus, uno scudo rotondo tipico delle milizie romane.
9 mesto: il desiderio è tristie e malinconico perché il tempo a cui fa riferimento il poeta è ormai irrimediabilmente lontano.
10 i re vinti: Carducci fa riferimento alla battaglia di Fossalta (25 maggio 1249) che vide il re Enzo, figlio di Federico II, fatto prigioniero dai bolognesi. Enzo, pur trattato con i riguardi del suo rango, rimarrà prigioniero a vita della città di Bologna, fino alla morte nel 1272.