Nato il 27 luglio del 1835 a Valdicastello, località versiliese in cui il padre Michele è medico, Giosuè cresce in un ambiente che, complice anche il carattere forte ed indipendente della madre Ildegonda, è intriso di ideali mazziniani e giacobini, fomentati sia dalle letture di classici latini, greci ed italiani (da Virgilio, Ovidio e Omero fino a Dante e Manzoni) che dagli eventi politici del 1848. L’indigenza della famiglia impedisce, almeno per gli anni infantili, la frequenza regolare di un percorso scolastico, fino a quando il futuro scrittore non viene iscritto all’istituto degli Scolopi di San Giovannino, dove (mostrando già una spiccata passione per i classici che lo accompagnerà per tutta la vita) fonda con alcuni compagni l’“Accademia dei Filomusi” (quasi un embrione di quello che sarà poi il gruppo degli “Amici pedanti” degli anni venturi), la cui vocazione antiromantica individuerà proprio nella lezione morale e letteraria degli autori del passato la migliore eredità per reagire ai problemi politici e culturali del presente. Seguono, nel 1853, l’iscrizione alla Scuola Normale Superiore di Pisa e la laurea (1856) in filosofia e filologia. L’attività di insegnante inizia dal comune pisano di San Miniato (cui molto più in là l’autore dedicherà le pagine de Le ‘risorse’ di San Miniato) per poi proseguire, nel 1860, all’Università di Bologna, dove Carducci presiederà la cattedra di Letteratura italiana fino al 1904.
Parallele corrono le prime prove poetiche, ispirate da un lato al classicismo letterario (come evidente nelle Rime di San Miniato, trentotto componimenti pubblicati a proprie spese nel 1857) e dall’altro influenzate dagli eventi politici correnti: l’impostazione laico-repubblicana del pensiero carducciano - fondata, oltre che sui testi di Mazzini, su quelli di Michelet e Proudhon - si ribella al moderatismo del nuovo Stato unitario che ha “tradito” le aspettative risorgimentali (in particolar modo quelle garibaldine) e non ha ancora risolto la questione di Roma capitale. Se dunque l’Inno a Satana (1863) è emblematico di questa fase (come lo saranno anche alcuni testi di Levia Gravia), Carducci non diminuisce l’impegno saggistico-letterario: agli interventi su Dante e sul Canzoniere seguono, negli anni Settanta, i celebri discorsi ufficiali su Mazzini e sempre su Petrarca. Allargatasi la famiglia (i due figli, Laura e Dante nascono nel 1863 e nel 1867), Giosuè conosce nel 1871 Caterina Cristofori Piva che, intrecciata con lui un’appassionata relazione, verrà cantata dal poeta con lo pseudonimo di Lidia (o Lina). Alla costante attività in versi - che verrà sistematizzata dall’autore stesso, nell’ultima parte della sua vita, per l’edizione delle opere presso Zanichelli - che si divide tra componimenti in rima (le Nuove Poesie sono del 1873) e sperimentazioni “barbare” (il cui primo volume esce invece nel 1877), Carducci mescola spesso gli atteggiamenti del poeta civile; sintomatici in tal senso (anche perché nettamente antitetici tra loro) la discussa ode alcaica Alla regina d’Italia Margherita di Savoia (1878) e, nel 1882, il discorso ufficiale per la morte di Giuseppe Garibaldi. Nel 1886 poi, Carducci, parlamentare democratico dal 1876 e senatore del Regno dal 1890, comporrà il Discorso al popolo, di contenuto filo-monarchico, avvicinandosi poi alle posizioni autoritarie dei governi crispini.
L’attività letteraria (Giambi ed epodi è volume riassuntivo del 1882, l’anno successivo escono i dodici sonetti del Ça ira e nel 1887 le Rime nuove e nel 1899 Rime e ritmi) si intreccia a quella del letterato ufficiale, che, oltre a far parte del Consiglio Superiore del Ministero dell’Istruzione, è anche membro della Crusca e che nel 1906 riceverà il premio Nobel per la letteratura. Progressivamente colpito, a partire dal 1885, da attacchi di paralisi che nel 1904 lo costringeranno ad abbandonare l’insegnamento, Carducci si spegne nel febbraio del 1907 a Bologna, dove riceve funerali solenni.