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"Il bove" di Carducci: parafrasi, analisi e commento

Introduzione

 

Il sonetto Il bove, contenuto nel secondo libro delle Rime nuove, è assai indicativo dello stile e della “maniera” poetica carducciana. La poesia, che reca in calce la presunta data di composizione (23 novembre 1872), è bilanciato tra descrizione di una piccola scenetta agreste e implicazioni di poetica: l’occhio di Carducci, immerso nello scenario della Maremma toscana, contempla un “pio bove” che, nella sua placida pace, ispira una serena scena di vita rurale che si svolge nella sua immaginazione.

 

Analisi

 

È dunque l’idea di Natura di chi scrive ad occupare per intero il componimento: le sfere semantiche maggiormente sfruttate sono quelle della serenità virile (“un sentimento | di vigore e di pace”, “solenne come un monumento”, “l’austera | dolcezza”) e della forte tranquillità (“co ’l lento | giro de’ pazienti occhi”, “come un inno lieto | il mugghio nel seren aër si perde”), affiancati a quello convenzionale della fertilità e del lavoro  (“i campi liberi e fecondi”); un mondo naturale che, del tutto lontano dalle inquietudini e dalle misteriose suggestioni della percezione romantica del mondo, si offre spontaneamente e in maniera sincera al contatto con l’io poetante. Il mondo di Natura è insomma una riserva di energia e forza, anche e soprattutto etico-morali: celebrando il bove, ambasciatore della sanità di una realtà non contaminata dalle bassezze e dalle ipocrisie moderne, il poeta vuole richiamare alla mente un’intera concezione del mondo, che è in profondo accordo con il suo ruolo di letterato e docente di professione.

Si spiega anche così la struttura assai tradizionale del sonetto, in cui la divisione del discorso coincide con quella strofica, e l’intonazione latineggiante ed “alta” (“pio”, “agil opra”, “spirto”, “seren aër”, “grave occhio glauco”) che si mescola con un andamento sintattico mosso dalle inversioni, dai frequenti enjambements, dal ricorso insistito all’aggettivazione connotante (in particolare, nella scelta di utilizzare per il bove l’aggettivo “pius”, tipico della tradizione epica latina). Il testo, pur nella sua impostazione abbastanza convenzionale, è quindi un buon manifesto del classicismo carducciano, e, più in generale, di buona parte delle Rime nuove: il recupero del mondo bucolico (filtrato da una prospettiva letteraria, come dimostra l’aura virgiliana dei vv. 5-11) e l’affermazione della sincerità dei valori che da questo mondo giungono dimostrano come elaborazione metrico-stilistica (la produzione delle Odi barbare è quasi parallela) e funzione “morale” dell’arte procedano sempre, in Carducci, strettamente affiancati.

Parafrasi

Metro: sonetto di endecasillabi a schema ABAB ABAB CDE CDE.

  1. T’amo, o pio bove; e mite un sentimento
  2. di vigore 1 e di pace al cor m’infondi,
  3. o che solenne come un monumento 2
  4. tu guardi i campi liberi e fecondi 3,
  5. o che al giogo inchinandoti contento
  6. l’agil opra 4 de l’uom grave secondi:
  7. ei t’esorta e ti punge, e tu co ’l lento
  8. giro de’ pazïenti occhi rispondi 5.
  9. Da la larga narice umida e nera
  10. fuma il tuo spirto, e come un inno lieto 6
  11. il mugghio nel sereno aer si perde;
  12. e del grave occhio glauco 7 entro l’austera
  13. dolcezza si rispecchia ampïo e quïeto
  14. il divino del pian silenzio verde 8.
  1. Ti amo, o pio bove; che mite mi infondi nel cuore
  2. un sentimento di forza e di pace,
  3. e che imponente come un monumento
  4. guardi i campi vasti e fertili.
  5. O che piegandoti di buon grado al giogo
  6. assecondi lento il veloce lavoro dell’uomo:
  7. egli ti esorta e ti pungola, e tu gli rispondi con il lento
  8. movimento dei tuoi occhi pazienti.
  9. Dalla larga narice umida e nera
  10. esala il tuo alito, e come un canto felice
  11. il muggito si perde nel cielo sereno;
  12. E nella severa dolcezza dell’austero occhio azzurro
  13. si rispecchia vasto e tranquillo il celeste
  14. silenzio della verde pianura.

1 vigore: la forza del bove non è sintomo di violenza ma di pacifica mitezza. È la prima immagine della forza tranquilla dell’animale, serenamente inserito nela paesaggio della Maremma toscana. Di taglio nettamente diverso sarà la visione onirica e straniata della poesia Il bove di Pascoli.

2 monumento: la lentezza e la mole del bove ricordano la solennità di una statua.

3 liberi e fecondi: l’aggettivazione richiama la tematica dell’idillio campestre, tipico delle rappresentazioni classiche del lavoro nei campi (si pensi ad esempio alle Bucoliche virgiliane). Il paesaggio naturale è insomma, per l’autore, carico di riferimenti e rimandi letterari.

4 l’agil opra: termine latineggiante, che eleva il tono stilistico del sonetto, legato alla descrizione apparentemente banale e quotidiana del bove.

5 La seconda terzina è giocata sulla contrapposizione tra la placidità del bove e l’indaffarata attività dell’uomo. Però il punto di vista del poeta rimane sempre vicino a quello dell’animale, per esaltarne la quiete e l’armonia con la natura.

6 inno lieto: la serenità espressa dal bove è anche morale, in linea con l’ispirazione classicista delle Rime nuove.

7 glauco: aggettivo di gusto classico (dal latino glaucus, glauca, glaucum), indica un colore grigio-verdi, spesso caratteristico degli occhi della dea Atena.

8 il divin del pian silenzio verde: Carducci si riferisce alla Maremma, terra della sua infanzia. Si vede qui la figura retorica dell’ipallage, in quanto il “verde” non è propriamente riferito al silenzio, con cui è coordinato grammaticalmente, ma al “piano”. “Divino” invece non ha un’accezione propriamente religiosa, ma indica piuttosto qualcosa di mirabile e di sublime, come appunto il paesaggio rurale della Maremma