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Il "criticismo" kantiano e il "noumeno": la "Prefazione" alla "Critica della ragion pura"

Se nella sua Critica della ragion pura Immanuel Kant (1724-1804) si pone come obiettivo principale quello di fondare nella maniera più oggettiva i principi della conoscenza umana, attuando quella che è poi passata alla storia come la “rivoluzione copernicana” del pensiero occidentale, il “criticismo” kantiano - che sull’onda del pensiero illuminista vuole esaltare il ruolo della ragione contro l’oscurantismo della superstizione o del principio di autorità - passa allora dalle prime ricerche in ambito scientifico-antropologico (come nella Storia universale della natura e teoria sul cielo del 1755, o le Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime del 1764) alla riflessione articolata su come sia possibile indicare le fondamenta di una conoscenza della realtà attorno a noi.

 

Dopo che già nella Dissertazione del 1770 erano state gettate le basi del pensiero kantiano a venire, la lunga elaborazione dell’opera maggiore (che viene inizialmente pubblicata nel 1781, ma che Kant decide di rielaborare nel 1787) permette di far sedimentare alcuni concetti centrali, quali quelli di giudizio analitico e giudizio sintetico, il concetto di “trascendentale”, il “tribunale della ragione” e le categorie del pensiero. La Prefazione alla Critica della ragion pura, che compare nella seconda edizione del 1787, ripercorre sinteticamente le tappe del pensiero del suo autore. La “rivoluzione copernicana” che Kant si propone di attuare rinviene in Galileo Galilei, Evangelista Torricelli e Georg Stahl (scienziato tedesco, tra i primi sostenitori del metodo sperimentale in chimica) i modelli cui ispirarsi. I loro esperimenti hanno mostrato che “la ragione scorge soltanto ciò che essa stessa produce secondo il proprio disegno”, poiché “essa deve procedere innanzi coi principi dei suoi giudizi secondo leggi stabili, costringendo la natura a rispondere alle proprie domande, senza lasciarsi guidare da essa, per così dire, con le dande [e cioè le briglie da cavallo]” (Prefazione, righe 6-9]. In reazione all’empirismo di David Hume, Kant delinea il progetto cui obbedisce l’intera Critica della ragion pura, gettando importanti “ponti” verso la Critica della ragion pratica e la Critica del Giudizio; è il soggetto con la sua attività conoscitiva che compone e costituisce il mondo dell’esperienza (e non il contrario):

 

È venuto il momento di tentare una buona volta, anche nel campo della metafisica, il cammino inverso, muovendo dall’ipotesi che siano gli oggetti a dover regolarsi sulla nostra conoscenza; [...] Le cose stanno qui né più né meno che per i primi pensieri di Copernico; il quale, incontrando difficoltà insormontabili nello spiegare i movimenti celesti a partire dall’ipotesi che l’insieme ordinato degli astri ruotasse intorno allo spettatore, si propose di indagare se le cose non procedessero meglio facendo star fermi gli astri e ruotare lo spettatore.

(Prefazione, righe 38-42)

Questo atteggiamento “trascendentale” (nel senso che Kant associa al termine) fissa anche i limiti cui deve obbedire la conoscenza umana: in linea con i postulati di Leibniz e Wolff, può rientrare nel campo della nostra indagine solo ciò che asseconda il principio di non contraddizione (la “possibilità logica”) e che sia in connessione con la nostra facoltà intuitiva. Aliena alle nostre risorse conoscitive deve rimanere per Kant la “cosa in sé” (il noumeno), dato che solo così è possibile dedicarsi al ragionamento sui temi tradizionali della metafisica (dall’esistenza di Dio alla libertà dell’uomo) come punti di partenza per la nostra vita “pratica”, ovvero per la morale). La Critica kantiana non mira affatto a castrare la ragione, ma semmai a rafforzarne gli strumenti di cui essa si serve; scansando le contraddizioni e le antinomie prodotte dalla ricerca di un noumeno, quest’ultimo può funzionare come un concetto-limite, che ci indica come sia illogico voler estendere l’orizzonte del nostro sapere oltre il mondo dei fenomeni sensibili:

 

Dunque non mi è mai possibile, nell’uso pratico necessario della mia ragione, ammettere Dio, la libertà e l’immortalità se a un tempo non sottraggo alla ragione speculativa la sua pretesa di conoscenze eccessivamente alte; [...]. Nonostante questo importante mutamento nel campo delle scienze e la perdita cui la ragione speculativa è sottoposta nei suoi immaginari possessi, tutto resta nella precedente situazione vantaggiosa per quanto concerne la situazione generale dell’umanità e i buoni frutti che il mondo ha tratto finora dalle dottrine della ragion pura.

(Prefazione, righe 97-109)