Jacopo Sannazaro, esponente di spicco dell’umanesimo partenopeo, nasce a Napoli nel 1457 dall’unione tra Masella di Santomango e Cola dei Sannazaro. In seguito alla prematura scomparsa del padre, mancato nel 1462 quando Jacopo era poco più che un bambino, la famiglia si trova a dover fronteggiare problemi di stabilità economica e la madre decide di tornare a vivere nella sua terra d’origine, San Cipriano Picentino, portandosi con sé il figlioletto. Catapultato quindi in un nuovo universo bucolico, quotidianamente a contatto con l’irruente paesaggio della campagna salernitana, il futuro poeta nutre inconsapevolemente la propria sensibilità, interiorizzando immagini che ritroverà e trasporrà molti anni dopo nella stesura dell’Arcadia.
Trasferitosi in seguito a Mondragone sempre alla ricerca di una qualche stabilità economica, incontra qui i due maestri che forgeranno il suo destino: Lucio Crasso e Giuniano Maio, insegnanti dello Studio partenopeo, che lo avviano verso studi di matrice umanistica. Dimostrando immediatamente una singolare attitudine verso queste materie, il Sannazaro ottiene un posto nell’esclusiva Accademia di Giovanni Pontano, importantissimo umanista dell’epoca, dove Sannazaro entra col titolo di Actius Syncerus. Il Sannazaro si afferma così in tutto il suo talento di letterato colto e raffinato, ottenendo consensi e ammirazione dall’élite culturale partenopea dell’epoca. Dopo aver perso anche la madre e la donna amata, Carmosina Bonifacio, Sannazaro si trasferisce alla corte del duca di Calabria, che diventerà poi re di Napoli col nome di Alfonso II. In questo periodo di tranquillità economica, il poeta, sotto la spinta degli stimoli culturali di corte, inizia a produrre anhe scritti in volgare: vedono così la luce nel 1480 le prime egloghe, poi le Rime, e nel 1483 la sua opera più celebre (e più influente nei secoli successivi), l'Arcadia.
Successivamente, nel 1501, il Sannazaro segue Federico d’Aragona, divenuto nel frattempo re, in esilio in Francia. Il Sannazaro identifica infatti in Federico l’ideale di sovrano umanista e, ammirandolo e stimandolo moltissimo, gli resta fedele fino alla morte. In esilio ha inoltre l’occasione di avvicinarsi ulteriormente allo studio dei classici. Nel 1504 re Federico muore e il Sannazaro, libero dal suo vincolo di fedeltà, fa ritorno in patria, e vive così in prima persona il successo scaturito dalla pubblicazione dell’Arcadia, avvenuta in quello stesso anno. Da quando fa ritorno a Napoli fino all’anno della sua morte, 1530, il Sannazaro conduce una vita abbastanza ritirata nella villa di Mergellina, ricevuta in dono anni prima dall’adorato re Federico. In questo periodo il poeta si concentra sulla produzione di testi latini: di questi anni sono infatti gli Epigrammata, le Elegiae e le Eclogae piscatoriae. L’opera più celebre dell’ultima fase produttiva del Sannazaro è tuttavia il De partu Virginis, pubblicata nel 1526. Poco dopo la scomparsa del poeta, nel 1530, appare una raccolta di suoi scritti Sonetti e canzoni, dedicata a Cassandra Marchese.