Il primo principio della termodinamica asserisce che la variazione di energia interna subita da un sistema termodinamico è pari al bilancio dei calori e dei lavori $$ \Delta \mathcal{U} = \mathcal{Q} - \mathcal{L} $$
Il secondo principio della termodinamica rende conto di alcune constatazioni empiriche che furono indagate nella seconda metà del diciannovesimo secolo, agli albori della moderna termodinamica. Si tratta di una legge che venne scoperta in forme differenti: solo successivamente ci si rese conto che si trattava del medesimo principio, declinato sotto esperienze diverse.
Nelle forme in cui verrà qui di seguito enunciato, il secondo principio della termodinamica coinvolge le cosiddette macchine termiche: definiamo come macchina termica un dispositivo in grado di scambiare calore (assorbirne o cederne) e lavoro (produrne o subirne) con l’ambiente circostante o con altri sistemi fisici. Questi scambi avvengono per mezzo di trasformazioni termodinamiche; a seguito di un certo numero di queste trasformazioni, la macchina termica viene riportata nelle condizioni iniziali: si ha quindi un ciclo termodinamico. Al termine di questo ciclo termodinamico, per una macchina termica il lavoro complessivo è positivo: il lavoro prodotto è maggiore, in modulo, di quello subito. Ricordiamo che un calore positivo è un calore assorbito, mentre un calore negativo è un calore ceduto; al contrario, un lavoro prodotto dalla macchina è positivo, mentre un lavoro negativo significa un lavoro fatto sulla macchina.
Si definisce trasformazione reversibile una trasformazione termodinamica di cui si può invertire “il verso”: se una trasformazione reversibile porta uno stato $A$ ad uno stato $B$, passando per stati intermedi, la trasformazione inversa porterà lo stato $B$ verso $A$ passando per i medesimi stati intermedi, in ordine opposto. Nella realtà tuttavia, la gran parte delle trasformazioni non sono reversibili: la combustione di un gas, una reazione chimica non sono “invertibili”. Le trasformazioni che non sono reversibili si dicono irreversibili. Un ciclo termodinamico che coinvolga unicamente trasformazioni reversibili è, nel suo complesso, reversibile.
Sappiamo, per il primo principio della termodinamica, che l’energia interna è una funzione di stato: dipende cioè solo dallo stato termodinamico in cui ci si trova (non dalla trasformazione seguita per raggiungerlo), e quindi, al termine di un ciclo, la variazione di energia interna è nulla, dal momento che si è tornati al punto di partenza. Di conseguenza, sempre per il primo principio, il lavoro scambiato durante un ciclo equivale al calore scambiato durante quel ciclo: $$ \Delta \mathcal{U}_{\text{ciclo}} = 0 \Rightarrow \mathcal{Q} = \mathcal{L} $$
Supponiamo che in un ciclo la macchina assorba una certa quantità di calore $\mathcal{Q}_{\text{ass.}} > 0$, ceda una quantità di calore $\mathcal{Q}_{\text{ced.}} < 0$ e svolga un certo lavoro $\mathcal{L} > 0$. Il bilancio del calore, tenendo presente i segni dei calori assorbito e ceduto, è quindi $\mathcal{Q} = | \mathcal{Q}_{\text{ass.}} | - | \mathcal{Q}_{\text{ced.}} |$. La formulazione del primo principio della termodinamica diventa, in questo caso, $$ \mathcal{L} = | \mathcal{Q}_{\text{ass.}} | - | \mathcal{Q}_{\text{ced.}} | $$
Definiamo ora il rendimento termodinamico $\eta$ della macchina termica come il rapporto tra scambio energetico in uscita e scambio energetico in ingresso; nel nostro caso, l’energia in ingresso è rappresentata dal calore assorbito $\mathcal{Q}_{\text{ass.}}$ mentre l’energia in uscita è il lavoro prodotto $\mathcal{L}$. Questo rende conto delle condizioni storiche in cui questa teoria fu sviluppata: era cruciale conoscere quanta energia termica una certa macchina potesse trasformare in lavoro meccanico. Sotto questa ottica, il rendimento termodinamico di una macchina termica è quindi il rapporto tra il lavoro prodotto e il calore assorbito: $$ \eta = \frac{\mathcal L}{\mathcal Q_{\text{ass.}}} = \frac{| \mathcal{Q}_{\text{ass.}} | - | \mathcal{Q}_{\text{ced.}} |}{\mathcal Q_{\text{ass.}}} = 1 - \frac{| \mathcal{Q}_{\text{ced.}} |}{\mathcal Q_{\text{ass.}}} $$
Il primo principio della termodinamica garantisce che il rendimento di una qualsiasi macchina termica è sicuramente compreso tra $0$ e $1$: è nullo quando il lavoro prodotto risulta anch’esso nullo (o, equivalentemente, quando calore assorbito e calore ceduto sono uguali in modulo); non può superare $1$ poiché, se così fosse, si avrebbe che $\mathcal{L} > \mathcal{Q} $ durante un ciclo, il che appunto viola il primo principio. Quindi sappiamo che $$ 0 \leq \eta \leq 1 $$.
Ma è possibile ottenere un rendimento pari a $1$? Ossia, è possibile costruire una macchina termica che converta il $100 \%$ del calore assorbito in lavoro meccanico? La domanda risulta ancora più interessante se contestualizzata storicamente: siamo infatti in piena rivoluzione industriale. La risposta è fornita dal secondo principio della termodinamica.
Il secondo principio della termodinamica, nella sua formulazione dovuta a Lord Kelvin, asserisce che il rendimento di una macchina termica è sempre strettamente inferiore a $1$: $$ \eta < 1 $$
Esistono numerose formulazioni del secondo principio, tutte tra loro equivalenti. I due enunciati più famosi, scoperti indipendentemente, sono i seguenti:
- Enunciato di Clausius: non è possibile costruire una macchina termica il cui unico risultato sia il trasferimento di calore da una fonte di calore a temperatura inferiore a una fonte di calore a temperatura superiore.
- Enunciato di Kelvin-Planck: non è possibile realizzare un ciclo termodinamico il cui unico risultato sia la trasformazione in lavoro di tutto il calore assorbito.
Questi due enunciati sono equivalenti: si coimplicano logicamente, ossia se ne vale uno dei due, vale anche l’altro. Si faccia molta attenzione alla parola “unico”: è ben possibile costruire una macchina che trasferisca calore da una fonte più fredda a una più calda, ma non sarà certo l’unico risultato del ciclo termodinamico!
In generale, per propria definizione, le macchine termiche scambiano calore con altri sistemi fisici. Per quanto riguarda la teoria, è utile considerare le fonti di calore: si tratta di sistemi fisici in grado di scambiare calore senza alterare la propria temperatura. Nella realtà, nessuna fonte di calore si comporta in questo modo, modificando le proprie coordinate termodinamiche durante uno scambio di calore: si tratta, quindi, di un’approssimazione. Anche le trasformazioni termodinamiche reali non seguono le equazioni che usiamo in teoria per descriverle; addirittura, spesso e volentieri le coordinate termodinamiche di un sistema non possono essere determinate! Ma quando trattiamo teoricamente un sistema termodinamico, supponiamo che, se non viene indicato diversamente, una macchina termica scambi calore con delle fonti di calore.
Il secondo principio della termodinamica implica che è necessario, per una macchina termica, lavorare tra (almeno) due sorgenti di calore: se lavorasse solo con una fonte, assorbendo calore $\mathcal{Q}$ da essa e producendo lavoro $\mathcal{L}$, andrebbe a negare l’enunciato di Kelvin-Planck: infatti, non potendo scambiare calore con altre fonti, per il primo principio si avrebbe $\mathcal{Q} = \mathcal{L}$, senza altri risultati. Una qualsiasi macchina termica deve quindi scambiare calore fra due o più sorgenti di calore.
Il secondo principio della termodinamica, anche se afferma che il rendimento di una macchina termica è strettamente inferiore a $1$, non pone un limite superiore al rendimento inferiore di $1$: in linea di massima, sarebbe possibile avvicinarsi al $100 \%$ di rendimento con una serie di macchine termiche. Il limite superiore del rendimento è tuttavia fissato dal Teorema di Carnot: esso asserisce che non è possibile costruire una macchina termica operante tra due sorgenti, una a temperatura $T_1$ e una a temperatura $T_2$ (misurate in una scala assoluta, come quella kelvin), con $T_1 > T_2$, che abbia rendimento superiore a $$ \eta_{\text{MAX}} = 1 - \frac{T_2}{T_1} $$Il teorema si può dimostrare costruendo una macchina (teorica) che abbia tale rendimento, e che effettui il cosiddetto ciclo di Carnot: se si suppone di possedere una macchina termica di rendimento superiore, si riuscirebbe a trasferire calore dalla fonte a temperatura più fredda a quella a temperatura più calda, senza ulteriori conseguenze, negando così l’enunciato di Clausius. Dal teorema segue inoltre che qualsiasi macchina operante in maniera reversibile tra due sorgenti di calore alle temperature $T_1 > T_2$ deve avere quel rendimento. Proprio la scoperta di questo limite pose le basi per la formulazione del secondo principio della termodinamica.
Notiamo che l’adozione di una scala termometrica assoluta è necessaria: se fossero possibili temperature negative, il rendimento teorico massimo potrebbe superare il $100\%$! L’adozione di una scala assoluta per la temperatura giunse proprio dalle considerazioni fatte in merito al rendimento della macchine termiche. Il rendimento è una caratteristica che non deve dipendere da come si misurano le temperature delle due sorgenti, e il computo $ 1 - \frac{T_2}{T_1} $ deve numericamente coincidere con il rendimento calcolato come rapporto tra lavoro prodotto a fronte di calore assorbito: queste considerazioni contribuirono grandemente all’adozione della scala Kelvin, e in generale della temperatura assoluta.
Ricordando il concetto di entropia, si può riformulare il secondo principio della termodinamica nella proposizione seguente: l’entropia è una funzione di stato, ossia non dipende dalla trasformazione termodinamica attuata per raggiungere un certo stato (come invece fanno lavoro e calore), ma soltanto dalle coordinate termodinamiche del sistema stesso. Questo si può enunciare mediante la formula $$ \Delta \mathcal{S}_{\text{ciclo reversibile}} = \oint_{\text{rev.}} \frac{ \delta \mathcal{Q}}{T} = 0 $$Questo percorso fu quello seguito da Planck nella sua formulazione del secondo principio:
I processi termodinamici avvengono nel verso in cui l’entropia complessiva del sistema non decresce. Al limite, ossia per processi reversibili, l’entropia rimane invariata; per processi reali, invece, si registra un aumento di entropia.
La variazione di entropia raggiunge lo $0$ (cioè, l’entropia non aumenta) solo per un ciclo reversibile. In generale, tuttavia, un ciclo reale consterà di trasformazioni irreversibili; essendo l’entropia una funzione di stato, indipendente dalla trasformazione, l’entropia del sistema in sé non varierà, ma verrà prodotta entropia nell’ambiente circostante.
Notiamo tuttavia che il teorema di Carnot, nel suo enunciato, non impedisce ad una macchina termica di raggiungere il $100\%$ del rendimento: è sufficiente operare tra due sorgenti, la più fredda delle quali a una temperatura di $0 \text{ K}$. Questa apparente contraddizione del secondo principio ha vita breve: sussiste infatti il terzo principio della termodinamica, il quale asserisce che la temperatura di $0\text{ K}$ non è raggiungibile.