Senilità è il secondo romanzo di Italo Svevo; venne scritto tra 1892 e 1897, ma venne pubblicato l’anno successivo, prima su un quotidiano triestino, “L’indipendente” e poi a spese dell’autore. Lo scarso successo portò Svevo a un silenzio letterario di venticinque anni. Venne riscoperto e ripubblicato nel 1927 a Milano, in seguito al clamore letterario dovuto alla pubblicazione della Coscienza di Zeno e alla critica positiva a questo romanzo da parte di Eugenio Montale.
La trama (ispirata a vicende autobiografiche, come afferma Svevo stesso) ruota intorno alla storia d’amore tra Emilio Brentani e Angiolina. Emilio, impiegato con velleità letterarie, vive un’esistenza monotona e grigia con la sorella Amalia, quando incontra la giovane Angiolina, di cui si innamora. La donna, tuttavia, fin dal primo istante si dimostra meno coinvolta del protagonista ed è anzi attratta da diversi uomini, tra cui Stefano Balli, amico di Emilio e scultore, di cui è innamorata pure Amalia. Il legame tra Emilio e la giovane, che doveva rimanere libero e disimpegnato, si dimostra invece ben più complesso, poiché Angiolina, donna opportunista e infedele, può controllare i sentimenti di Emilio. Questo, geloso della sorella per la presenza di Balli in casa sua, allontana l’uomo da casa. Amalia si ammala di polmonite, a causa dell’abuso di etere, e muore. Emilio interrompe la relazione con Angiolina, non cessando tuttavia di amarla. In seguito, scopre che la donna è scappata a Vienna con un cassiere di una banca. Il protagonista ritorna a vivere la sua esistenza grigia e mediocre in solitudine, ricordando le donne amate, Amalia e Angiolina, unendo nella propria memoria l’aspetto dell’una con il carattere dell’altra.
Come il personaggio di Una vita, Alfonso Nitti, anche Emilio Brentani incarna la figura dell’inetto, incapace di vivere davvero, ma imprigionato nei suoi sogni e illusioni, in un continuo ed inconsapevole autoinganno. Sono entrambi due sconfitti dalla realtà a cui non riescono appartenere. Il primo si suiciderà, ponendo fine al senso di inutilità e inadeguatezza che lo attanaglia; fine simile a quella della sorella del protagonista di Senilità, che illusa dell’amore di Stefano a causa delle sue stesse fantasie, nel momento della delusione amorosa perde il contatto definitivo con la realtà, abbandonandosi all’abuso di etere, che la condurrà alla morte. Per “senilità” Svevo - come spiega nella nuova prefazione al romanzo del 1927 - intende proprio l’inettitudine del protagonista, che lo rende incapace da affrontare la vita e la realtà stessa, chiuso com’è nella sua interiorità. Questa esasperazione di autoanalisi assume carattere rilevante anche nella forma e nella sintassi del romanzo; Svevo espone il racconto secondo la coscienza e psicologia di Emilio, seguendo quindi i suoi sentimenti e le sue considerazioni. Diventa centrale nel funzionamento del romanzo non più la struttura spazio-temporale delle vicende, ma i moti dell’animo e le reazioni agli eventi dei personaggi, avvicinandosi sempre più alla struttura e alla forma de La coscienza di Zeno, in cui il protagonista diventa il narratore delle vicende, raccontate dal suo punto di vista e attraverso la sua visione personale dei fatti.