La figura ricorrente, nella narrativa di Svevo, è quella dell’"inetto". Un inetto, proprio, s’intitolava in origine il romanzo d’esordio, al quale l’editore Treves cambiò titolo in quello, poi rimasto, di Una vita. Senilità, il secondo romanzo, mette al centro della scena un protagonista che pare ricalcato su quello di Una vita, Alfonso Nitti; Emilio Brentani è infatti un intellettuale fallito che, già a trentacinque anni, avverte su di sé il peso di una doppia esistenza (nella vita borghese è, come il suo autore, un modesto impiegato) e di quella che chiama appunto "senilità": una cappa di "nevrastenia” che paralizza ogni sentimento genuino e dalla quale, anche nella storia d’amore con l’esuberante popolana Angiolina, Emilio non riesce a liberarsi. Alla maniera della Madame Bovary di Flaubert, Emilio pare riuscire a vivere, quello spettro di vita che gli resta, solo per interposta persona: nel continuo riferimento all’esperienza altrui.
Senza psicoanalisi, senza prima persona narrante, senza il conforto di Joyce, quello di Senilità è già il grande Svevo “europeo” che conoscerà il successo con La coscienza di Zeno. Distillato all’interno della mente di Emilio, il grigiore dell’esistenza borghese e metropolitana è come se si rarefacesse e, insieme, acquistasse un tono perentorio; la sottile malinconia della narrazione è costantemente accompagnata dal controcanto ironico che diventerà la nota dominante del romanzo successivo. E insomma Senilità, anche se non se ne accorse praticamente nessuno, è già un capolavoro della narrativa italiana moderna. Ne era consapevole però almeno il suo autore: che, a successo raggiunto e alla vigilia della morte, nel 1927 volle ripubblicarlo (con qualche piccola modifica).
Andrea Cortellessa è un critico letterario italiano, storico della letteratura e professore associato all'Università Roma Tre, dove insegna Letteratura Italiana Contemporanea e Letterature Comparate. Collabora con diverse riviste e quotidiani tra cui alfabeta2, il manifesto e La Stampa - Tuttolibri.