L’origine biografica – e anagrafica – dello scrittore passato alla storia letteraria col nome di Italo Svevo è già una traccia significativa delle ambiguità irrisolte che si riassumono nella sua opera. Se i suoi temi più profondi sono quelli dell’identità individuale e dei fantasmi dell'io, non può non colpire che appunto all’anagrafe di Trieste, allora importante città portuale di un Impero Austro-Ungarico che appariva all’apice della sua potenza e del suo benessere, nasca Ettore Schmitz nel 1861, di famiglia ebraica.
Tuttavia, sin dal primo romanzo Una vita, il nom de plume - e cioè lo pseudonimo, la "maschera" - sarà "Italo Svevo", con ciò alludendo alle due culture, italiana e germanica, fra le quali si trovava sospeso (sottacendo la terza, quella ebraica, come in seguito gli rimproverà l’amico-nemico Giacomo Debenedetti). Per il resto quella sveviana è una biografia vuota di avvenimenti significativi: occupata da un lato dalla routine della vita borghese, che costituisce lo sfondo grigio e depressivo delle sue storie (Svevo fu a lungo impiegato di banca, poi – dopo il matrimonio con Livia Veneziani, figlia del titolare, che lo costrinse a convertirsi al cattolicesimo – direttore di un’azienda che commerciava in vernici sottomarine), e, dall’altro, dall’ininterrotta e ostinata attività letteraria. Questa prosegue costante ma in certa misura in modo "clandestino", dopo il totale insuccesso conseguito dai primi due romanzi pubblicati (Una vita nel 1892, Senilità nel 1898), sino al tardivo successo conseguito col terzo romanzo, La coscienza di Zeno, pubblicato a proprie spese nel 1923 (ma due anni dopo clamorosamente assurto agli onori delle cronache, dopo l’interessamento dell’amico James Joyce, dal quale Svevo aveva ricevuto lezioni d’inglese). Ma anche gli anni del "silenzio" sono importanti: tra il 1908 e il 1910 l'autore si avvicina alle teorie di Freude per breve tempo, nel 1911, si sottopone a trattamento psicoanalitico con Wilhelm Steckel, che di Freud era allievo. Dopo aver tenuto un’approfondita conferenza su Joyce al circolo «Il Convegno» di Milano nel 1927, il 13 marzo 1928 è per Svevo il momento della consacrazione ufficiale: quando a Parigi si riuniscono cinquanta scrittori europei per festeggiarlo. Ma è troppo tardi. Malato da tempo, Svevo a causa di un incidente stradale, occorso nei pressi di Treviso al ritorno da una cura termale, muore all’ospedale di Motta di Livenza, il 13 settembre 1928.
La sua tardiva “scoperta” – quello passato alla storia come «il caso Svevo» – fu invece attentamente programmata dallo scrittore all’indomani della pubblicazione del terzo romanzo. Pratiche promozionali da parte dell’autore, polemiche esplose "ad arte" nella cultura ufficiale italiana, suoi complessi di colpa e sue sottili “vendette” nei confronti dello scrittore “trascurato” e poi “scoperto”; sono tutti capitoli, più che di una storia letteraria, quasi di una parabola che dice molto sul funzionamento della cultura letteraria novecentesca.
Andrea Cortellessa è un critico letterario italiano, storico della letteratura e professore associato all'Università Roma Tre, dove insegna Letteratura Italiana Contemporanea e Letterature Comparate. Collabora con diverse riviste e quotidiani tra cui alfabeta2, il manifesto e La Stampa - Tuttolibri.