L’etica degli stoici è conseguente alla concezione fisica determinista: la virtù consiste nel vivere secondo natura e secondo ragione, due cose che coincidono dal momento che l’ordine naturale, divino, è intrinsecamente razionale e l’uomo può partecipare con la sua razionalità alla razionalità divina. Ciò si traduce nel dare l’assenso al corso degli eventi, seguirlo volentieri, dato che l’alternativa è essere trascinati malvolentieri.
L’errore si genera quando un logos individuale giudica come un bene qualcosa che un bene non è o come un male qualcosa che un male non è; ne nasce un’opinione falsa, la cui conseguenza sarà una passione: la passione è sempre un giudizio falso.
Le passioni per gli stoici sono di quattro tipi: il desiderio, la paura, il piacere e il dolore, intesi come stati d’animo. Alle passioni si contrappongono stati di salute, stati mentali razionali propri del saggio: al desiderio si contrappone la volontà, alla paura la prudenza, al piacere la gioia; al dolore non si contrappone nulla, perchè il dolore è l’idea di una mancanza, e al saggio non manca nulla.
Per gli stoici la virtù è sufficiente per la felicità. Tutte le virtù sono un’unica virtù declinata con nomi diversi a seconda del campo in cui viene applicata, e dato che la virtù è conoscenza, essere virtuosi consisterà nella consapevolezza della fisica stoica. Vivere secondo ragione significa servire il logos universale, l’utile del cosmo, anche contro la propria sopravvivenza. Solo bene è la virtù, il vizio è il contrario della virtù, tutto il resto è indifferente, ovvero non ha rilevanza morale.
Tuttavia alcuni "indifferenti", come la vita, la salute, la bellezza, la ricchezza, sono "secondo natura", hanno un valore e sono detti "preferibili". Non sono rilevanti per la morale, ma possono essere scelti razionalmente: gli stoici introducono così il concetto di katèchon, tradotto spesso come "dovere" o "conveniente", ma si tratta sempre di un bene relativo, mentre la virtù è bene assoluto.
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