La Caccia di Diana va inserito nella produzione giovanile di Boccaccio. Fu composto dall’autore durante la sua permanenza a Napoli, probabilmente nel 1334.
Con questi versi Boccaccio ci descrive una battuta di caccia, indetta dalla dea Diana, cui accorrono tutte le più belle nobildonne napoletane. L’autore ce le presenta tutte, citando nome e cognome, tranne per quanto riguarda l’ultima donna che fa la sua comparsa, l’amata, figura che rimane fondamentale in tutta l’opera e che guida la bella compagnia: “La bella donna, il cui nome si tace, | Con un’aquila in man prese la via | Su per lo monte ch’al mezzodì giace”. Dopo aver cacciato fino a mezzogiorno, Diana ordina alle donne di fermarsi e di offrire in sacrificio le proprie prede a Giove, celebrando una scelta di castità:
Levossi Dïana poi con lieta fronte,
dicendo: donne gentili e donzelle,
ch’ardite, vigorose,liete e pronte,avete prese queste bestie snelle,
sotto mia provvedenza e con mio ingegno,
io vo’ che voi sacrificio d’ellefacciate a Giove, re dell’alto regno,
ed a onor di me, che esser deggio,
reverita da voi in modo degno;così vi prego e così vi richieggio
quanto più posso, onde non siate lente,
acciò che nel mio coro aggiate seggio.
Ma la donna senza un nome, l’oggetto d’amore di Boccaccio, si contrappone al comando della dea, e sprona le compagne a sacrificare la cacciagione a Venere, dea dell’amore: “Chiamando in voce prima l’aiutorio | Di Venus santa Dea, madre d’Amore,| E coronata ciascuna d’alloro | Sacrificio faremo al suo onore | Della presente preda lietamente, | Sìcchè s’accresca in noi il suo valore”. Questa, per sdebitarsi delle offerte ricevute, decide di trasformare gli animali cacciati in belli e aitanti giovani e di far trionfare l’amore: “Mutata in forma d’uom, di quelli ardori | Usciva giovinetto gaio e bello, | Tutti correndo sopra ’l verde e’ fiori; | E tutti entravan dentro al fiumicello, | E, quindi uscendo ciascun, d’un vermiglio | E nobil drappo si facean mantello, | Ciascuno era fresco come un giglio”.
L'amore, qui presentato in una chiave che recupera le convenzioni cortesi, diventa quindi portatore di una spinta così forte e nobilitante da poter trasformare un animale in essere umano, donandogli quella sensibilità e quell'intelligenza fondamentali per l'uomo davvero nobile. La vicenda ci viene trasmessa da una voce narrante che appartiene a Cimone, un cervo, secondo un chiaro richiamo alle Metamorfosi di Ovidio. Dal punto di vista metrico il poema è composto da terzine dantesche (con un evidente omaggio ad un modello che Boccaccio terrà sempre ben presente) e diviso in 18 canti.