Se certo il Canzoniere è il centro di gravità attorno a cui ruota gran parte dell’attività di scrittura di Umberto Saba, è comunque rilevante tutta la serie di lavoriin prosa che circondano l’impegno lirico di una vita del poeta triestino. Testo determinante in questo senso è la Storia e cronistoria del Canzoniere, edito nel 1948 ed interessante esempio di autoesegesi d’autore: scrivendo in terza persona, e spesso prendendo le difese della propria opera contro le opinioni di critici e scrittori, Saba presenta qui il disegno unitario sotteso alla sua raccolta poetica, concedendosi anche eccessi di vanagloria personale (noto l’incipit della Storia e cronistoria: “Saba ha commesso molti errori. Ma negare la poesia di Saba sarebbe negare l’evidenza di un fenomeno naturale”), e sottolineando le linee portanti della raccolta.
Mentre la Storia e cronistoria permette anche di comprendere la contrastata “fortuna” di Saba, lontano di per sé dalla poetica ermetica dominante negli anni del “Canzoniere” ma anche all’onda lunga degli sperimentalismi d’inizio secolo del Futurismo, altri testi sabiani puntano in direzione diversa. Le Scorciatoie e raccontini, editi nel 1946 ma a cui il poeta lavora sin dalla prima metà degli anni Trenta, riuniscono una serie di testi brevi e dalla tipologia assai eterogenea: agli aforismi e alle riflessioni d’autore sull’arte e la società contemporanea (le “scorciatoie” appunto, spesso di valore etico-politico) si aggiungono, con gli anni, i “raccontini”, che ampliano il respiro narrativo, pur partendo - come molte poesie - da dati e situazioni quotidiane e colloquiali. Ma tra le righe troviamo anche importanti dichiarazioni di poetica, come nel caso della “scorciatoia” numero venti, che afferma:
Non esiste un mistero della vita, o del mondo, o dell’universo. Tutti noi, in quanto nati dalla vita, facenti parte della vita, sappiamo tutto, come anche l’animale e la pianta. Ma lo sappiamo in profondità. Le difficoltà incominciano quando si tratta di portare il nostro sapere organico alla coscienza. Ogni passo, anche piccolo, in questa direzione, è di un valore incalcolabile. Ma quante forze - in noi, fuori di noi - sorgono, si coalizzano, per impedire, ritardare, quel piccolo passo.
Il recupero e il rientro in questo “oscuro grembo del mondo” (come si vede in testi quali La capra e Città vecchia) dimostra allora qual è una delle fonti privilegiate di Saba: la psicoanalisi freudiana (altro elemento che ne farà un autore di “nicchia”, un “appartato” per buona parte del secolo). Oltre ad un numero cospicuo di epistolari (che comprendono anche delle Lettere sulla psicoanalisi), importanti per tessere il ritratto dell’autore, ultima testimonianza dell’autobiografismo latente della sua opera è il romanzo di formazione Ernesto, storia di un giovane diciassettenne (e della sua iniziazione all’amore omosessuale ed eterosessuale) nella Trieste degli ultimi anni dell’Ottocento, lasciato incompiuto nel 1953 e poi pubblicato postumo dopo la morte dell’autore.