Contenuta nella sezione Mediterranee del Canzoniere, la breve lirica Amai è in effetti uno dei testi più noti e più importanti dell'intera produzione dello scrittore triestino. La poesia può essere innanzitutto considerata il manifesto poetico sabiano; l'autore, prendendo esplicitamente parola in prima persona nella quartina di apertura, spiega in maniera consapevole il fine delle sue scelte poetiche. Le "trite parole” (e cioè già utilizzate da molti, nel corso della tradizione poetica italiana) sono sia una scelta di stile che di contenuto: la rima "fiore | amore" (vv. 2-3), è - come Saba affermerà anche nella sua raccolta di prose Scorciatoie - la più banale cui si possa pensare, e per questo la più difficile da personalizzare e rendere originale. Ed è proprio questa la sfida di Saba, che reagisce contro la continua ricerca di nuove tecniche espressive, affermando come la vera scommessa sia quella di avvalersi della tradizione per esprimere concetti e verità nuove.
La verità ("che giace al fondo", v. 5) è secondo l'autore il fine ultimo della poesia, unico mezzo di cui l'uomo può avvalersi per scoprire i più reconditi segreti del cuore umano. E proprio questa verità deve essere espressa dal poeta nel modo più semplice e immediato possibile, senza nascondersi dietro a tecnicismi e scelte stilistiche eccessivamente sperimentalistiche. Con questa visione espressa chiaramente, Saba si pone decisamente controcorrente rispetto alle tendenze poetiche a lui contemporanee.
Nell'ultima strofa - un distico - Saba compie il passaggio dal passato remoto “amai”, che caratterizza la prima parte del componimento, al presente “amo”, creando un senso di continuità e di coerenza. Si così rivolge al lettore, e gli esprime ammirazione e stima per il tentativo di appropriarsi della verità, spesso dolorosa come l'amore.