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"Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io" di Dante: analisi e commento

Parafrasi Analisi

Sonetto celeberrimo dell’intera produzione dantesca, Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io è, nei fatti, una sorta di proiezione in sogno, in cui Dante, rivolgendosi dal v. 1 all’amico Guido Cavalcanti, immagina un viaggio con un altro sodale, di più dubbia identificazione, tale Lapo (probabilmente identificabile con Lapo Gianni, notaio amico dell'Alighieri e anch'egli poeta). Questa fuga dal mondo, cui si lega strettamente il tema dell'amicizia, dovrebbe avvenire “per incantamento” (v. 2), cioè come se i tre venissero trasportati per la forza di un sortilegio benefico su una nave (il “vasel” del v. 3) che poi si muoverà assecondando sempre il loro volere. Se quindi l’apertura della poesia indica l’ispirazione al ciclo epico bretone (e, in particolar modo, alla nave magica del mago Merlino) sono anche altri i modelli letterari che si intersecano nella visione dantesca.

C’è infatti il desiderio di godere della compagnia degli amici e compagni di esperienze letterarie stilnoviste (vv. 7-8: “[...] vivendo sempre in un talento, | di stare insieme crescesse ‘l disio”), cui si associa la compagnia delle donne (ovviamente ‘gentili’, alla maniera dello Stilnovo) evocate nella prima terzina del componimento. Il sonetto diventa così anche un sottile gioco letterario tra scrittori ed intellettuali del tempo, come quando, accennando al v. 10 a “quella ch’è sul numer de le trenta”, Dante si riferisce, come già chiarito dai critici, ad un suo sirventese nel quale faceva i nomi delle sessanta donne più belle della città di Firenze (anche se in questo sonetto Dante non si riferisce all'amata Beatrice). La terzina conclusiva - non a caso - descrive i tre a “ragionar sempre d’amore” insieme con le compagne, in un’unione tra suggestione onirica e stilemi di poetica stilnovista. Per l’argomento tipicamente stilnovista, il testo si caratterizza soprattutto per la sua levità stilistica, ben esemplificata dall’uso della rima piana.