Canzone di datazione incerta, è probabilmente ideato verso il 1819, a fianco degli altri Idilli, ma viene completato, con ogni probabilità, solo nell’autunno del 1830, a Firenze, comparendo quindi nell’edizione napoletana dei Canti (1835). In tal senso, il testo è stilisticamente e contenutisticamente affine alla stagione dei “grandi idilli”.
Metro: Canzone di strofe libere.
- D’in su la vetta della torre antica 1,
- passero solitario 2, alla campagna
- cantando vai finché non more il giorno;
- ed erra l’armonia per questa valle.
- Primavera dintorno
- brilla nell’aria, e per li campi esulta,
- sì ch’a mirarla intenerisce il core.
- Odi greggi belar, muggire armenti 3;
- gli altri augelli contenti 4, a gara insieme
- per lo libero ciel fan mille giri,
- pur festeggiando il lor tempo migliore:
- tu pensoso in disparte il tutto miri;
- non compagni, non voli,
- non ti cal d’allegria, schivi gli spassi 5;
- canti, e così trapassi
- dell’anno e di tua vita il più bel fiore.
- Oimè, quanto somiglia
- al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
- della novella età dolce famiglia 6,
- e te german 7 di giovinezza, amore,
- Sospiro acerbo de’ provetti giorni,
- non curo 8, io non so come; anzi da loro
- quasi fuggo lontano;
- quasi romito 9, e strano
- al mio loco natio,
- passo del viver mio la primavera.
- Questo giorno ch’omai cede alla sera,
- festeggiar si costuma al nostro borgo.
- Odi per lo sereno un suon di squilla 10,
- odi spesso un tonar di ferree canne,
- che rimbomba lontan di villa in villa 11.
- Tutta vestita a festa
- la gioventù del loco
- lascia le case, e per le vie si spande;
- e mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
- Io solitario in questa
- rimota parte 12 alla campagna uscendo,
- ogni diletto e gioco 13
- indugio in altro tempo: e intanto il guardo
- steso nell’aria aprica
- mi fere il Sol che tra lontani monti,
- dopo il giorno sereno,
- cadendo si dilegua, e par che dica
- che la beata gioventù vien meno 14.
- Tu, solingo augellin, venuto a sera
- del viver che daranno a te le stelle,
- certo del tuo costume
- non ti dorrai; che di natura è frutto
- ogni vostra vaghezza 15.
- A me, se di vecchiezza
- la detestata soglia
- evitar non impetro,
- quando muti questi occhi all’altrui core,
- e lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
- del dì presente più noioso e tetro,
- che parrà di tal voglia 16?
- Che di quest’anni miei? che di me stesso?
- Ahi pentirommi, e spesso,
- ma sconsolato, volgerommi indietro 17.
- Dalla cima dell’antico campanile.
- o passero solitario, canti continuamente
- per l’aperta campagna finchè non tramonta il sole;
- e così si spande l’armonia per questa valle.
- Intorno splende la primavera
- nell’aria, e trionfa per i campi,
- così che a guardarla si intenerisce il cuore.
- Senti le greggi belare, le mandrie muggire
- e gli altri uccelli felici, che fanno a gara
- insieme con mille giri per il vasto cielo,
- solo per festeggiare la loro età felice;
- tu riflessivo osservi in disparte tutto questo;
- non ti importa della felicità, dei compagni,
- dei voli, ed eviti i piacevoli divertimenti;
- canti, e in tal modo trascorri il periodo
- migliore dell’anno e della tua vita.
- Ahimè, quanto somiglia al tuo atteggiamento
- il mio! Non mi interessano il divertimento
- e le risa, dolce famiglia dell’età adolescenziale,
- e te, o amore, fratello della giovinezza,
- sospiro di sofferenza dei giorni della maturità,
- e non so perché faccio così; anzi io fuggo
- lontano da questi;
- quasi come un eremita, e trascorro
- la primavera della mia vita
- da straniero nel mio luogo di nascita.
- A Recanati, si è soliti celebrare a festa
- questo giorno che ormai volge alla sera.
- Ascolta attraverso il cielo sereno un suono
- di campane a festa, ascolta i colpi di fucile
- che ribombano da lontano, di villa in villa.
- La gioventù del luogo esce
- di casa tutta vestita per la festa,
- e sciama per le strade;
- ammira ed è ammirata, e si rallegra nel cuore.
- Io, uscendo di casa da solo
- verso la campagna nel quartiere occidentale
- rinvio ogni tipo di piacere
- ad un altro momento: e intanto
- fisso nel cielo terso il sole,
- che dopo la giornata serena
- tramontando si dilegua tra monti lontani,
- mi ferisce gli occhi, e sembra annunciare
- che la giovenizza felice fugge via.
- Tu, uccellino solitario, giunto alla sera
- che vita che ti darà il destino,
- sicuramente non proverai pena
- per il tuo modo di vivere; poiché ogni vostra
- ispirazione è frutto di istinto naturale.
- A me, se non ottengo
- di evitare l’odiosa soglia
- della vecchiaia,
- quando questi occhi non ispireranno più alcuna
- persona, e per loro il mondo sarà privo di valore,
- e il futuro sarà più angoscioso e cupo del presente,
- cosa dovrò pensare della mia scelta?
- Che sarà di questi miei anni? Cosa di me stesso?
- Ahi, mi pentirò, e spesso,
- sconsolato, mi volterò indietro.
1 Si tratta del campanile - nota anche come “Torre del Passero solitario” - della chiesa recanatese di Sant’Agostino, risalente al XIII secolo e situata ad occidente della cittadina marchigiana. Biografi di Leopardi riportano testimonianze secondo cui il campanile era effettivamente abitato da un “passero solitario”. Si ricordi anche che, nel 1824, Leopardi scrive un Elogio degli uccelli, in cui fa dire al filosofo Gentiliano che gli uccelli sono gli animali più felici del creato, in quanto non soggetti alla “noia”.
2 Alla singolarità dell’animale - dal punto di vista ornitologico, si tratta di un Monticula solitarius, più grosso del passero comune e dal caratteristico colore azzurino, e che appunto rifiuta la vita in gruppo - si affianca la memoria letteraria da un sonetto di Petrarca (Canzoniere, CCXXVI, Passer mai solitario in alcun tetto).
3 I versi che descrivono il lieto trionfo della primavera sono intessuti di sottili rimandi letterari a Dante (l’ottavo canto del Purgatorio), all’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, alle Stanze di Poliziano.
4 augelli: il termine, aulico ed arcaizzante, è voluto, come per impreziosire il quadretto idillico della primavera recanatese, e creare un’antitesi con la sofferenza del poeta.
5 Costruzione vv. 13-14: “non ti cal [non ti interessa di] compagni, voli, d’allegria, e schivi gli spassi”.
6 Rimando al noto sonetto petrarchesco Zefiro torna, e 'l bel tempo rimena (Canzoniere, CCCX), vv. 1-2: ”Zefiro torna, e ‘l bel tempo rimena | e i fiori e l’erbe, sua dolce famiglia”. Qui “famiglia” - nel gioco linguistico con “german” del v. 20 - indica che “sollazzo e risa” sono generati dall’età giovanile, la più lieta della nostra vita.
7 Il termine “german” (dal latino germanus, a sua volta proveniente da germen, “germe”) indica i fratelli di sangue, nati dagli stessi genitori; un legame particolarmente forte, come a dire che (anche) l’amore è intrinsecamente legato all'età giovanile.
8 Costruzione vv. 18-23: “Non curo [non mi preoccupo di] sollazzo e riso, dolce famiglia [piacevole compagnia] della novella età, e [sottointeso: non curo] te, amore, german [fratello di sangue] di giovinezza, sospiro acerb de’ provetti giorni [giorni della maturità]”.
9 romito: il termine fa parte di quelli identificati da Leopardi stesso nello Zibaldone come voci “tutte poetiche per l’infinità e la vastità dell’idea”.
10 Il termine allude al suono felice delle campane a festa.
11 Nel clima festoso del borgo (Recanati) in festa, c’è anche l’usanza di sparare al cielo (le “ferree canne” sono appunto i fucili) dalle ville che costellano la campagna recanatase.
12 rimota parte: come s’è detto nella nota 1, l’ambientazione del Passero solitario è ad ovest della cittadina di Recanati.
13 diletto e gioco: endiadi per tutti i piaceri cui il poeta, paragonandosi al passero solitario, confessa di aver rinunciato.
14 Costruzione vv. 39-44: “e intanto il Sol, steso nell’aria aprica [nel cielo terso e sgombro di nuvole], che tra lontani monti, dopo il giorno sereno, cadendo si dilegua [cioè, tramonta dietro gli Appennini], mi fere [mi ferisce] il guardo [gli occhi], e par che dica che la beata gioventù vien meno [che se ne va anch’essa]”.
15 di natura è frutto ogni vostra vaghezza: Leopardi intende che l’inclinazione (la “vaghezza”) degli animali, anche se li spinge alla vita solitaria come nel caso del passero, è tuttavia un “frutto” della natura stessa, a differenza di quanto accade per il poeta, che cerca volontariamente l’esilio dalla cerchia degli altri uomini.
16 Costruzione vv. 50-56: “A me che parrà di tal voglia [a me cosa sembrerà della mia scelta], quando, se non impetro evitar [se non ottengo di evitare] la detestata soglia di vecchiezza, questi occhi [sottointeso: fia] muti all’altrui core [questi occhi non ispireranno più nessuno] e quando il mondo fia [sarà] vuoto per loro”. Il tema dell’inutilità della vita quando questa non ispira più nulla a chi ci circonda è dello Zibaldone (1 luglio 1827).
17 Il tema del rimpianto per non aver vissuto pienamente viene dallo Zibaldone (Leopardi ne parla in una nota del 5 novembre 1823) ed è recuperato dall’Arcadia (1504) di Jacopo Sannazaro.