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"Il bove" di Pascoli: commento del testo

Parafrasi Analisi

Introduzione

Questo sonetto, dal titolo Il bove, è stato composto da Giovanni Pascoli nel 1890, e inserito nella sezione In campagna della raccolta Myricae a partire dal 1892.

Analisi

Il gusto simbolista de “Il bove”

Sono versi caratterizzati da un indiscutibile gusto simbolista: il poeta decide di guardare il mondo attraverso gli occhi del bove, attuando un processo di personificazione con l'animale. La natura, vista dagli occhi dell'animale, "ingigantisce" in una prosepttiva che si allarga spazialmente secondo un moto progressivo: dal "rio sottile" del v. 1, lo sguardo coglie in successione la pianura "che fugge" (v. 3), un "fiume" e il "mare" dove quest'ultimo sfocia. Alle immagini delle due quartine si accoda ciò che viene descritto nelle terzine, dove la natura assume caratteristiche ambivalenti, tra fascino ed indeterminatezza, mistero ed inquietudine. Il cielo è solcato dalle nuvole e dai voli d'uccelli dalle "ampie ali" (v. 9), che divengono rispettivamente "tacite chimere" di un messaggio ignoto (in accordo con la poetica dell'intuizione simbolista) ed “immagini grifagne” che spostano l'immaginario in un'atmosfera carica di mistero e di timore, sostenuta della antitesi spaziali e coloristiche (il sole calante, le montagne "altissime" e "nere") dell'ultima terzina. Le “ombre più grandi di un più grande mondo” (v. 14), scelte dal poeta come immagine conclusiva del componimento, esprimono quella coscienza di vertigine e di ignoto che Pascoli prova davanti all'enormità del cosmo.

“Myricae”, Carducci e lo straniamento letterario

Le scelte rappresentative e stilistiche de Il bove si accordano con la poetica di Myricae e con il suo tentativo di evocare il mistero, le “tacite chimere”, che si nascondono dietro quello che sembra un idillico quadretto di campagna (come quello, ad esempio, nell’omonimo Il bove di Giosuè Carducci). Il procedimento di Pascoli è quello dello straniamento, che sposta il punto di osservazione della scena dall’esterno (come nella poesia carducciana) all’interno, dal punto di vista dell’animale. Al v. 2 l’espressione “guarda il bove” indica appunto che tutta la scena è percepita in un’ottica straniante, che “ingigantisce” (v. 5) i particolari della realtà e li presenta sotto una luce nuove e per certi versi inquietante.

Gli uccelli diventano “immagini grifagne”, il sole è “immenso” e cala dietro a montagne “altissime”, mentre minacciose nubi “nere” calano sul “grande mondo” circostante; il mistero della natura e del mondo, come in altri testi della raccolta quali L’assiuolo, è così espresso per via implicita e analogica, adottando il punto di vista deformato e deformante di un abitante stesso di quella realtà.