Lavandare viene inserito in Myricae a partire dalla terza edizione dell’opera, nel 1894. Il testo presenta un quadro paesaggistico - quasi un bozzetto campagnolo - filtrato attraverso dettagli, colori e suoni che costituiscono i termini di paragone impliciti di uno stato esistenziale: la solitudine di una donna abbandonata dall’amante.
Metro: madrigale di endecasillabi, con schema ABA CBC DEDE. Ai vv. 7-9 la rima è sostituita da un’assonanza (“frasca - rimasta”).
- Nel campo mezzo grigio e mezzo nero 1
- resta un aratro senza buoi, che pare
- dimenticato, tra il vapor leggero.
- E cadenzato dalla gora viene
- lo sciabordare 2 delle lavandare
- con tonfi spessi 3 e lunghe cantilene 4:
- Il vento soffia e nevica la frasca 5,
- e tu non torni ancora al tuo paese!
- quando partisti, come son rimasta!
- come l’aratro in mezzo alla maggese 6.
- Nel campo parzialmente dissodato
- è fermo un aratro senza buoi
- come dimenticato nella nebbia.
- E dal canale irriguo proviene il suono ritmato
- del risciacquo dei panni delle lavandaie
- con tonfi pesanti e ininterrotte cantilene:
- "Soffia il vento e le foglie cadono come neve,
- e tu non sei ancora di ritorno!
- cosa ho provato, quando sei partito!
- [Mi sentivo] come l’aratro nel campo a riposo".
1 mezzo grigio e mezzo nero: l’indicazione coloristica segnala che il campo è stato solo parzialmente arato, dato che il colore tra il terreno superficiale (“grigio”) e quello rivoltato dal macchinario (“nero”) è differente.
2 sciabordare: il verbo, collocato praticamente al centro del madrigale, indica con precisione terminologica l’azione di rimestare e battere dei panni in acqua per lavarli. Si tratta di una pratica diffusa e comune in tutte le campagne, al tempo del poeta.
3 tonfi spessi: la sinestesia unisce la sensazione di pesantezza dei panni, intrisi d’acqua, con il rumore sordo che essi producono durante le operazioni di lavaggio (che solitamente avvenivano su assi di legno). Il sintagma è anche un buon esempio del fonosimbolismo pascoliano, che con i suoni - t - ed - sp - prova a riprodurre l’effetto sonoro del lavaggio alla “gora” (v. 4).
4 lunghe cantilene: sono le canzoni di origine popolare con cui le lavandaie accompagnano il lavoro, per alleviarne la fatica. Senza una precisa indicazione tipografica, Pascoli inserisce qui dei versi che servono a chiarire il parallelismo su cui è incentrato il testo: la solitudine dell’aratro nel campo ricorda quella di una donna abbandonata dall’uomo che ama.
5 nevica la frasca: nell’immagine, costruita con la figura retorica dell’analogia, convergono due immagini: quella della “frasca” (cioè, i rami di foglie) e la lenta caduta dei fiocchi di neve. In tal modo, la caduta autunnale delle foglie viene paragonata ad una nevicata, tipica della stagione invernale. Inoltre nel verso si può osserva la disposizione a chiasmo di verbi (“soffia” e “nevica” sono collocati internamente) e soggetti (“vento” e “frasca” occupano invece le posizioni più esterne).
6 maggese: antica tecnica agricola per cui, nel mese di maggio (da cui appunto deriva “maggese”), il campo veniva lavorato per poi essere lasciato a riposo, per migliorarne la produttività. Il “maggese” fa parte delle pratiche di rotazione delle colture.