Il romanzo di Leonardo Sciascia Il giorno della civetta è stato pubblicato dalla casa editrice Einaudi nel 1961. L’autore siciliano, da sempre interessato alla situazione socio-economica della sua terra d'origine, era da tempo impegnato nella denuncia della mafia, che imperversava ignorata e impunita su tutto il territorio. Sciascia decide così di servirsi del genere romanzo giallo - cui spesso ritornerà per le sue opere successive - per poter esprimere il suo risentimento e trasporre in una cornice letteraria la cronaca di un fatto realmente avvenuto, ovvero l’omicidio del sindacalista comunista Accursio Miraglia, assassinato dalla mafia a Sciacca nel gennaio del 1947.
Accursio Miraglia diventa così, grazie alla penna dello scrittore, Salvatore Colasberna, piccolo imprenditore di un paesino siciliano cui la mafia spara mentre sale su un autobus diretto a Palermo. Le indagini vengono affidate al Capitano Bellodi, altro personaggio che Sciascia “ruba” alla realtà, costruendolo sulla falsariga del comandante dei Carabinieri di Agrigento Renato Candida (che già nel 1956, nel suo libro Questa mafia recensito proprio da Sciascia, aveva sollevato con notevole anticipo la questione del potere occulto mafioso in Italia). Quando i carabinieri giungono sulla scena del delitto, la piazza di un piccolo paesino siciliano, i passeggeri della corriera diretta a Palermo si dileguano disperdendosi velocemente. Le forze dell’ordine riescono così a interrogare solo l’autista e il bigliettaio, che si rivelano anch’essi omertosi, negando di riconoscere il corpo del “morto ammazzato” e persino di aver assistito all’omicidio. i carabinieri riescono a portare in caserma un venditore di panelle (tipiche frittelle di ceci palermitane) che, dopo un interrogatorio durato due ore, ammette di aver sentito colpi di arma da fuoco provenire dall'angolo della chiesa.
Il caso viene affidato al capitano Bellodi, un ex partigiano proveniente da Parma che, per un superiore senso di onore e giustizia, decide di non arrendersi davanti a questo apparentemente impenetrabile muro di silenzio, e riesce ad individuare gli indizi che legano l’omicidio alle organizzazioni mafiose locali (legate a don Mariano Arena) e alle forze politiche al potere, grazie anche al doppiogioco del mafioso Calogero Dibella, poi ammazzato.
Il capitano Bellodi, dopo varie difficoltà e alcuni passi falsi, riesce ad ottenere il nome del presunto assassino, tale Diego Marchica detto Zicchinetta, grazie all’intervento della moglie di Paolo Nicolosi, un potatore a sua volta trucidato dalla mafia per aver riconosciuto l’assassino. Bellodi riesce a far fermare l’omicida materiale e il suoi mandanti (Rosario Pizzuco e don Mariano), ma i tre imputati vengono presto rilasciati (anche se Bellodi si guadagna la stima del boss don Mariano, che lo considera un "uomo" in mezzo a molti "quaquaraquà"). La stampa s’interessa largamente al caso, tanto che si apre un dibattito in Parlamento, alla presenza dello stesso Bellodi. Le pressioni politiche dall'alto (dietro cui si intravede la Democrazia Cristiana) portano all’archiviazione del caso, grazie ad alibi costruiti da personaggi politici influenti al fine di scagionare Zicchinetta; durante il confronto viene inoltre affermato che la mafia è un’invenzione dei comunisti e che in realtà il delitto di Colasberna è spiegabile come un caso di infedeltà coniugale.
Bellodi, nel frattempo spedito a Parma per una vacanza forzata, scopre dai giornali l'esito della sua inchiesta sulle collusioni tra la mafia e il potere; rientrando in casa, tuttavia, dichiara di volersi "rompere la testa" tornando in Sicilia a combattere la mafia.