Spunto di questa celeberrima canzone politica del Petrarca fu, con ogni probabilità, una guerra svoltasi tra 1344 e 1345 tra Estensi e Gonzaga a Parma, in seguito alla cessione della città da parte di Azzo da Correggio al marchese Obizzo d’Este, anziché a Luchino Visconti. Lo spunto iniziale si traduce tuttavia in un monito e in una perorazione ai principi italiani affinché abbandonino i loro interessi particolaristici, che si traducono nelle numerose lotte intestine che affliggono il Belpaese, nonché in un’esaltazione del glorioso passato della penisola.
Secondo Petrarca, è l’ambizione dei signori ad averli indotti ad assoldare soldati prezzolati, che in quanto tali non possono avere a cuore l’Italia: grazie a queste argomentazioni (l’appello alla tradizione e alle virtù classiche, la cura retorica del dettato, l’identificazione nell’Italia della patria della cultura umanistica) la canzone è riuscita ad astrarsi dal suo contesto, e conoscere una straordinaria fortuna. Si ricordino, a titolo esemplificativo, la ripresa del Machiavelli nel ventiseiesimo capitolo del Principe (che insisterà sul tema delle truppe mercenarie come prima causa della “ruina”) e di Leopardi, nella canzone All’Italia.
Metro: canzone di endecasillabi e settenari, di sette stanze di sedici versi ciascuna più congedo, con schema rimico AbCBaC cDEeDdfGfG.
- Italia mia 1, benché ’l parlar sia indarno
- a le piaghe mortali
- che nel bel corpo 2 tuo sí spesse veggio,
- piacemi almen che ’ miei sospir’ sian quali
- spera ’l Tevero et l’Arno,
- e ’l Po 3, dove doglioso et grave or seggio.
- Rettor del cielo, io cheggio
- che la pietà che Ti condusse in terra
- Ti volga al Tuo dilecto almo paese 4.
- Vedi, Segnor cortese,
- di che lievi cagion’ che crudel guerra;
- e i cor’, che ’ndura et serra
- Marte superbo et fero 5,
- apri Tu, Padre, e ’ntenerisci et snoda;
- ivi fa che ’l Tuo vero,
- qual io mi sia 6, per la mia lingua s’oda.
- Voi 7 cui Fortuna à posto in mano il freno
- de le belle contrade,
- di che nulla pietà par che vi stringa,
- che fan qui tante pellegrine spade?
- perché ’l verde terreno
- del barbarico sangue si depinga?
- Vano error 8 vi lusinga:
- poco vedete, et parvi veder molto,
- ché ’n cor venale amor cercate o fede.
- Qual piú gente possede,
- colui è piú da’ suoi nemici avolto.
- O diluvio 9 raccolto
- di che deserti strani
- per inondar i nostri dolci campi!
- Se da le proprie mani
- questo n’avene, or chi fia che ne scampi?
- Ben provide Natura al nostro stato,
- quando de l’Alpi schermo
- pose fra noi et la tedesca rabbia 10;
- ma ’l desir cieco, e ’ncontr’al suo ben fermo,
- s’è poi tanto ingegnato,
- ch’al corpo sano à procurato scabbia 11.
- Or dentro ad una gabbia
- fiere selvagge et mansüete gregge 12
- s’annidan sí che sempre il miglior geme:
- et è questo del seme,
- per piú dolor, del popol senza legge,
- al qual, come si legge,
- Mario aperse sí ’l fianco,
- che memoria de l’opra ancho non langue,
- quando assetato et stanco
- non piú bevve del fiume acqua che sangue 13.
- Cesare taccio che per ogni piaggia
- fece l’erbe sanguigne
- di lor vene, ove ’l nostro ferro mise 14.
- Or par, non so per che stelle maligne,
- che ’l cielo in odio n’aggia:
- vostra mercé, cui tanto si commise.
- Vostre voglie divise
- guastan del mondo la piú bella parte.
- Qual colpa, qual giudicio o qual destino
- fastidire il vicino
- povero, et le fortune afflicte et sparte
- perseguire, e ’n disparte
- cercar gente et gradire,
- che sparga ’l sangue et venda l’alma a prezzo 15?
- Io parlo per ver dire,
- non per odio d’altrui, né per disprezzo 16
- Né v’accorgete anchor per tante prove
- del bavarico inganno
- ch’alzando il dito colla morte scherza 17?
- Peggio è lo strazio, al mio parer, che ’l danno;
- ma ’l vostro sangue piove
- più largamente, ch’altr’ira vi sferza.
- Da la matina a terza 18
- di voi pensate, et vederete come
- tien caro altrui che tien sé cosí vile.
- Latin sangue gentile,
- sgombra da te queste dannose some;
- non far idolo un nome
- vano senza soggetto:
- ché ’l furor de lassù, gente ritrosa,
- vincerne d’intellecto,
- peccato è nostro, et non natural cosa.
- Non è questo ’l terren ch’i’ toccai pria?
- Non è questo il mio nido
- ove nudrito fui sí dolcemente?
- Non è questa la patria in ch’io mi fido,
- madre benigna et pia,
- che copre l’un et l’altro mio parente 19?
- Perdio, questo la mente
- talor vi mova, et con pietà guardate
- le lagrime del popol doloroso,
- che sol da voi riposo
- dopo Dio spera; et pur che voi mostriate
- segno alcun di pietate,
- vertú contra furore
- prenderà l’arme, et fia ’l combatter corto:
- ché l’antiquo valore
- ne gli italici cor’ non è anchor morto 20.
- Signor’, mirate come ’l tempo vola,
- et sí come la vita
- fugge, et la morte n’è sovra le spalle 21.
- Voi siete or qui; pensate a la partita:
- ché l’alma ignuda et sola
- conven ch’arrive a quel dubbioso calle 22.
- Al passar questa valle
- piacciavi porre giú l’odio et lo sdegno,
- vènti contrari a la vita serena;
- et quel che ’n altrui pena
- tempo si spende, in qualche acto piú degno
- o di mano o d’ingegno,
- in qualche bella lode,
- in qualche honesto studio si converta:
- cosí qua giú si gode,
- et la strada del ciel si trova aperta 23.
- Canzone 24, io t’ammonisco
- che tua ragion cortesemente dica,
- perché fra gente altera ir ti convene,
- et le voglie son piene
- già de l’usanza pessima et antica,
- del ver sempre nemica.
- Proverai tua ventura
- fra’ magnanimi pochi a chi ’l ben piace.
- Di’ lor: - Chi m’assicura?
- I’ vo gridando: Pace, pace, pace. -
- Italia mia, benché parlare sia inutile
- a curare le ferite mortali
- che vedo così numerose sul tuo bel corpo,
- mi consola pensare che i miei sospiri siano quelli
- che sperano [anche] il Tevere, l’Arno
- e il Po, presso il quale dolente e afflitto io ora risiedo.
- Governatore del cielo, io chiedo
- che la pietà che ti ha condotto in terra
- ti volga [nuovamente] al tuo nobile e prediletto
- paese. Signore generoso, considera
- da quali insignificanti cause che tremenda guerra [ne
- è derivata]; e tu, Padre, spalanca, intenerisci
- e libera i cuori, che Marte
- superbo e terribile indurisce e chiude;
- lì [nei cuori] fa’ che la tua verità venga udita
- attraverso la mia poesia, al di là dei miei limiti.
- Voi ai quali la sorte ha posto nelle mani il governo
- delle belle regioni,
- nei confronti delle quali pare non abbiate pietà
- alcuna, che ci fanno qui tante spade straniere?
- perché il terreno verde e rigoglioso
- si tinge di sangue straniero?
- Vi seduce una vana illusione:
- siete miopi, eppure vi pare di vedere molto,
- giacché cercate amore o fedeltà nei cuori di soldati
- prezzolati. Chi possiede più soldati,
- più è circondato da nemici.
- O diluvio raccolto
- da che strani luoghi selvaggi
- per inondare le nostre dolci pianure!
- Se questo accade per nostra colpa,
- ora chi sarà a salvarcene?
- La natura ha ben provveduto alla nostra salvezza,
- quando pose le Alpi tra noi
- e il furore tedesco per proteggerci;
- ma la cupidigia cieca e inamovibile contro il suo stesso interesse
- si sono poi a tal punto ingegnate
- che hanno procurato un cancro al corpo sano.
- Ora, dentro alla stessa gabbia,
- dimorano fiere selvagge e mansuete greggi,
- così che a dolersene sono sempre i migliori [gli italiani]:
- e questo popolo, per nostra beffa,
- appartiene a quella stirpe del popolo
- senza legge, al quale, come si legge,
- Mario inflisse una ferita tale
- che il ricordo dell’impresa ancora non si è offuscato,
- quando assetato e stanco
- bevve dal fiume più sangue che acqua.
- Non parlo di Cesare, che per ogni pianura
- rese l’erba del colore del sangue
- che scorreva nelle loro vene, dove pose le nostre spade.
- Ora (invece) sembra, per non so quale astro avverso,
- che il cielo ci abbia in odio:
- grazie a voi, ai quali è stato dato un compito così grande.
- I vostri voleri discordi
- corrompono il paese più bello del mondo.
- Quale colpa, quale punizione o destino
- [vi induce] a tormentare i miseri
- popoli vicini, ad infierire contro i loro beni straziati e dispersi,
- a cercare fuori d’Italia
- e poi accogliere gente che sparga
- il proprio sangue e venda l’anima per denaro?
- Io parlo per dire il vero,
- non per odio, né per disprezzo di qualcuno.
- E non vi accorgete ancora, nonostante le tante dimostrazioni
- di inganno dei mercenari germanici,
- che alzando il dito si fanno beffe della morte?
- Peggio il disonore, a parer mio, che il danno;
- ma il sangue dei vostri scorre
- più copiosamente, dato che vi agita un odio ben maggiore.
- Dalla mattina alla terza ora del giorno
- pensate a voi stessi, e capirete quanta stima
- può avere degli altri chi ritiene se stesso così vile.
- Nobile sangue latino.
- liberati da questi dannosi pesi;
- non trasformare in un idolo un nome
- illusorio senza fondamento:
- poiché è nostra responsabilità, e non cosa naturale,
- che la furia degli abitanti del Nord, gente arretrata,
- ci superi in intelligenza.
- Non è questa la patria che io toccai prima?
- Non è questo il mio nido,
- nel quale ho vissuto così dolcemente?
- Non è questa la patria nella quale io ho fiducia,
- madre benevola e pietosa,
- nella quale sono seppelliti l’uno e l’altro dei miei genitori?
- Per Dio, questo pensiero
- talor vi muova, e con pietà guardate
- le lacrime del popolo sofferente,
- che spera di ottenere sollievo
- solo da voi, dopo Dio; e sarebbe sufficiente che mostraste
- qualche cenno di pietà,
- e la virtù prenderà le armi
- [contro il furore barbarico] e il combattimento
- sarà breve: poiché l’antico valore
- nei cuori del popolo italiano non è ancora spento.
- O signori, considerate quanto veloce vola il tempo,
- e, allo stesso modo, quanto la vita scorra
- veloce, e come la morte ci stia sulle spalle.
- Voi ora siete qui; pensate alla morte:
- giacché è necessario che l’anima arrivi
- nuda e sola a quel passaggio difficile e cruciale.
- Durante il passaggio in questa valle [della vita
- terrena] vogliate deporre l’odio e lo sdegno,
- forze contrarie a una vita serena;
- e quel tempo che viene impiegato
- nel provocare sofferenze a terzi, sia tramutato
- in qualche azione o pensiero più degno,
- in qualche bella attività lodevole,
- in qualche onesta occupazione:
- così quaggiù si può vivere in pace,
- e si trova libera la strada che conduce in paradiso.
- Canzone, io ti esorto
- a esporre cortesemente i tuoi argomenti,
- poiché dovrai recarti tra genti superbe,
- e le loro volontà sono piene
- ormai della cattiva e antica abitudine,
- sempre nemica della verità.
- Troverai la tua fortuna
- tra i pochi animi nobili che amano il bene.
- Dì loro: Chi mi difende?
- Io vado gridando: Pace, pace, pace.
1 Italia mia: nel vocativo d’apertura, l’Italia è personificata e il poeta le si rivolge con l’allocuzione del primo verso: per questa ragione può ricorrere all’efficace immagine del suo corpo dilaniato da tante ferite, in primis quelle vergognosamente provocatele dai suoi stessi abitanti.
2 bel corpo: figura retorica della prosopopea, che consiste nella personificazione di un'entità astratta, quale appunto la nazione italiana.
3 Il poeta cita i tre fiumi più importanti della penisola per indicarne gli abitanti nel suo complesso, e spiega di trovarsi, al momento della composizione del testo, presso l’ultimo del breve elenco (cioè in valle Padana, probabilmente presso Parma).
4 Tuo dilecto almo paese: La particolare predilezione di Dio per l’Italia consisterebbe ovviamente nell’avervi posto tanto la sede episcopale quanto il nucleo dell’Impero.
5 superbo e fero: Marte, dio latino della guerra, è qui - più generalmente - metonimia atta a indicare la feroce violenza degli uomini.
6 qual io mi sia: allusione di Petrarca (come forma di captatio benevolentiae, e cioè come forma di cortesia per accaparrarsi le simpatie dell'uditorio) alla limitatezza delle proprie capacità argomentative e alla modestia della soluzione che egli propone per l’Italia.
7 Voi: con la seconda stanza, muta il soggetto dell’allocuzione. Petrarca si rivolge infatti ai signori italiani, che provocano continui conflitti intestini e chiamano a combattere sul suolo nazionale mercenari stranieri.
8 Il "vano error" è quello che induce i signori a ritenere che soldati venuti da fuori siano disposti a combattere in maniera fedele, come se difendessero la loro patria. Sullo stesso punto tornerà, con toni ancor più veementi, Machiavelli nel Principe.
9 diluvio: metafora biblica, con evidente riferimento al diluvio universale, per vituperare la scelta delle truppe mercenarie, che rappresentano una vera sciagura per l’Italia.
10 È questo (quello cioè della funzione provvidenziale delle Alpi per la salute dell'Italia) di consolidata fortuna, tanto che si ritrova già in autori latini classici, quali Cicerone.
11 La cupidigia dei potenti ha vanificato la generosità della Natura, che ha protetto il Belpaese con barriere naturali.
12 il chiasmo definisce ancor meglio l'antitesi alla base di tutta la canzone tra le genti italiche e i mercenari germanici
13 Petrarca, nella tensione della sua invettiva politica, rievoca il glorioso passato romano, facendo riferimento alle imprese di Caio Mario, che nel 102 a. C. debellò i Teutoni ad Aquae Sextiae (l’odierna Aix-en-Provence), in una sanguinosissima battaglia campale. Maggior vergogna deriva allora dal fatto che i discendenti di quel “seme” (cioè, le truppe mercenarie tedesche) ora facciano il bello e il cattivo tempo in Italia.
14 Cesare taccio: è una preterizione, ossia una figura retorica con la quale il poeta finge di non voler parlare di qualcosa e con quest’artificio introduce esplicitamente l’argomento. Giulio Cesare, grande condottiero romano, è ulteriore dimostrazione dell’antica gloria italiana, impietosamente confrontata con il presente.
15 La colpa dei signorotti italiani è almeno duplice: consiste nell’approfittare delle disgrazie delle popolazioni confinanti e nel cercare aiuto negli stranieri per sottometterle.
16 La tecnica argomentativa della canzone insiste spesso sulla sincerità senza secondi fini di chi sta parlando, come ribadito anche nel congedo: "l'usanza pessima ed antica, | del ver sempre nemica", vv. 117-118).
17 Alzando il dito: in segno di resa. Con questa immagine, Petrarca ricorda che non ha alcun senso confidare in azioni lodevoli da parte di chi si vende in cambio di denaro. I mercenari bavaresi (dalla Baviera infatti proveniva gran parte delle truppe prezzolate del tempo) infatti, imitando il gesto di resa dei gladiatori romani, sono soliti sottrarsi con questa maniera beffarda al combattimento, venendo meno al patto di lealtà con il loro signore.
18 Da la matina a la terza: dall’albeggiare sino alle nove del mattino. Secondo Petrarca, per capire il loro errore, basterebbe che i signori italiani ci pensassero sopra lo spazio di circa tre ore.
19 Le domande retoriche concorrono a incrementare sia il patetismo sia la sostenutezza stilistica di questi versi.
20 Il valore di un tempo non si è ancora spento del tutto, ma deve essere rinvigorito dall’alto: in tal senso, per Petrarca, la responsabilità dei regnanti è ancor più forte.
21 L’ultima stanza prima del congedo, con l’allocuzione ai tanto bistrattati “signori”, recupera un tema centrale in tutti i Rerum Vulgarium Fragmenta, e cioè quello della caducità e della fugacità dell’esistenza umana, e dell’appressarsi inesoraile per tutti noi della morte. Calata nel contesto “politico” della canzone, esso vale ad esortare i regnanti ad operare in terra con rettitudine ed onestà, per il bene comune.
22 quel dubbioso calle: il passaggio doloroso è quello della morte, e quindi del giudizio divino; almeno questo pensiero dovrebbe distogliere i potenti dalle loro nefandezze.
23 la strada del ciel si trova aperta: Ecco, dopo la prefigurazione della condanna divina post mortem, l’invito conclusivo ad abbandonare quegli interessi particolaristici che provocano la rovina del paese e ad impiegare degnamente il proprio tempo e le proprie energie. Il premio - coerente con l’impostazione mentale di tutto il Canzoniere - è quello della vita celeste.
24 Canzone: com'è tradizione, il poeta nel congedo si rivolge alla sua stessa creazione letteraria, invitandola a usare toni cortesi quando esporrà le proprie ragioni ai signori, “gente altera”, avvezza all’adulazione e nemica di ogni verità. E, non a caso, i “magnanimi” che le daranno retta sono “pochi”.