I morti è il racconto che chiude la raccolta The Dubliners, che Joyce finì di scrivere nel 1905 ma riuscì a pubblicare solo nel 1914. Fu composto più tardi rispetto agli altri racconti della raccolta ed è infatti il più maturo, oltre a rappresentare una sorta di ponte tra la raccolta e la successiva produzione joyciana. Anche il titolo richiama gli altri racconti che sono popolati di morti viventi, persone vive ma emotivamente morte. Rispetto agli altri racconti è meno realista e referenziale e molto più ricco di simbolismo, e le metafore e la simbologia stessa sono più complesse. Il simbolismo nei I morti è comunque al servizio di una drammatizzazione realistica della vita sociale e dei dilemmi personali. Attraverso le immagini e i simboli Joyce metteva infatti in pratica la trasmutazione del quotidiano, ovvero sapeva cogliere l’elemento universale nascosto nelle piccole cose attorno a noi.
I Morti testimonia anche un rinnovato interesse di Joyce per Ibsen. Già il titolo è un richiamo all’opera Ibseniana When we dead awaken; inoltre la forma drammaturgica preferita di Ibsen era proprio quella in cui una tranquilla e compiacente realtà viene scossa da una rivelazione del passato a lungo nascosta. È ciò che accade in questo racconto nel quale l’autocompiacente Gabriel Conroy scopre che sua moglie Gretta aveva amato un altro uomo prima di lui, il quale possedeva quella natura passionale che manca a Gabriel. Questo genera in lui una rivelazione epifanica sulla sua vita e la sua esistenza che lo costringe a vedere tutto con occhi diversi.